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lunedì 5 luglio 2021

Un modo elegante per salvare capra e cavoli

“Subsistit in”? Dal Vaticano II ad Abu Dhabi. Storia di una definizione ambigua e delle sue drammatiche conseguenze

    In ambito ecclesiale una delle parole che da anni sentiamo pronunciare con più insistenza è ecumenismo. Il rapporto con le altre confessioni cristiane è stato nell’ultimo mezzo secolo uno dei temi centrali di discussione ed ha avuto un’influenza decisiva non solo sulla teologia, ma anche sulla stessa liturgia.

Non tutti però sono contenti di questa enfasi e anzi alcuni sollevano serie obiezioni. Si è molto di dibattuto, in particolare, su quella definizione contenuta nella dichiarazione sulla libertà religiosa del Concilio Vaticano II, la Dignitatis humanae, in base alla quale la vera religione sussiste nella Chiesa cattolica. Rileggiamo allora il documento conciliare: «Anzitutto, il sacro Concilio professa che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo trovare salvezza e pervenire alla beatitudine. Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini, dicendo agli apostoli: “Andate, dunque, istruite tutte le genti battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto quello che io vi ho comandato” (Mt 28,19-20). E tutti gli esseri umani sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa, e sono tenuti a aderire alla verità man mano che la conoscono e a rimanerle fedeli. Il sacro Concilio professa pure che questi doveri attingono e vincolano la coscienza degli uomini, e che la verità non si impone che per la forza della verità stessa, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore. E poiché la libertà religiosa, che gli esseri umani esigono nell’adempiere il dovere di onorare Iddio, riguarda l’immunità dalla coercizione nella società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo. Inoltre, il sacro Concilio, trattando di questa libertà religiosa, si propone di sviluppare la dottrina dei sommi Pontefici più recenti intorno ai diritti inviolabili della persona umana e all’ordinamento giuridico della società».

Nella Lumen gentium, la costituzione dogmatica sulla Chiesa, sempre del Vaticano II, troviamo poi affermato: “Questa è l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica e che il Salvatore nostro, dopo la sua resurrezione, diede da pascere a Pietro (cfr. Gv 21,17), affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida (cfr. Mt 28,18ss), e costituì per sempre colonna e sostegno della verità (cfr. 1 Tm 3,15). Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica».

In proposito Romano Amerio, nel suo Iota unum, faceva osservare: «L’unità non deve farsi per ritorno dei separati alla Chiesa cattolica, bensì per conversione di tutte le Chiese nel Cristo totale, il quale non sussiste in alcuna di esse ma va reintegrato mediante la convergenza di tutte in uno. Dove gli schemi preparatorii definivano che la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica, il Concilio concede soltanto che la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica, adottando la teoria che anche nelle altre Chiese cristiane sussiste la Chiesa di Cristo e che tutte devono prendere coscienza di tale comune sussistenza nel Cristo. Le Chiese separate, come scrive in OR [Osservatore romano, ndr], 14 ottobre, un cattedratico della Gregoriana, sono riconosciute dal Concilio come “strumenti di cui lo Spirito Santo si serve per operare la salvezza dei loro aderenti”. Il cattolicismo, in questa veduta paritaria di tutte le Chiese, non ha più nessun carattere di preminenza e di esclusività».

Che il problema ci sia, e sia serio, è confermato dal fatto che se ne è occupata la Congregazione per la dottrina della fede, che nei Responsa ad quaestiones de aliquibus sententiis ad doctrinam de Ecclesia pertinentibus, nel 2007, rispondeva così alla domanda sul perché del subsistit al posto dell’est: »«È stato precisamente questo cambiamento di terminologia nel descrivere il rapporto tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa cattolica che ha dato adito alle più svariate illazioni, soprattutto in campo ecumenico. In realtà i Padri conciliari hanno semplicemente inteso riconoscere la presenza, nelle Comunità cristiane non cattoliche in quanto tali, di elementi ecclesiali propri della Chiesa di Cristo. Ne consegue che l’identificazione della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica non è da intendersi come se al di fuori della Chiesa cattolica ci fosse un “vuoto ecclesiale”. Allo stesso tempo essa significa che, se si considera il contesto in cui è situata l’espressione subsistit in, cioè il riferimento all’unica Chiesa di Cristo “in questo mondo costituita e organizzata come una società… governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui”, il passaggio da est a subsistit in non riveste un particolare significato teologico di discontinuità con la dottrina cattolica precedente. Infatti, poiché la Chiesa così voluta da Cristo di fatto continua a esistere (subsistit in) nella Chiesa cattolica, la continuità di sussistenza comporta una sostanziale identità di essenza tra Chiesa di Cristo e Chiesa cattolica. Il Concilio ha voluto insegnare che la Chiesa di Gesù Cristo come soggetto concreto in questo mondo può essere incontrata nella Chiesa cattolica. Ciò può avvenire una sola volta e la concezione secondo cui il “subsistit” sarebbe da moltiplicare non coglie proprio ciò che si intendeva dire. Con la parola “subsistit” il Concilio voleva esprimere la singolarità e la non moltiplicabilità della Chiesa di Cristo: esiste la Chiesa come unico soggetto nella realtà storica. Pertanto la sostituzione di “est” con “subsistit in”, contrariamente a tante interpretazioni infondate, non significa che la Chiesa cattolica desista dalla convinzione di essere l’unica vera Chiesa di Cristo, ma semplicemente significa una sua maggiore apertura alla particolare richiesta dell’ecumenismo di riconoscere carattere e dimensione realmente ecclesiali alle Comunità cristiane non in piena comunione con la Chiesa cattolica, a motivo dei “plura elementa sanctificationis et veritatis” presenti in esse. Di conseguenza, benché la Chiesa sia soltanto una e “sussista” in un unico soggetto storico, anche al di fuori di questo soggetto visibile esistono vere realtà ecclesiali».

A me, e lo dico con profondo rispetto per la Congregazione per la dottrina della fede, sembra un modo elegante per salvare capra e cavoli: se queste comunità ecclesiali non in comunione con Roma hanno elementi propri alla Chiesa di Cristo, a quale grado di proprietà dobbiamo riferirci? Perché, se si lascia tutto indeterminato, accade poi che lo scivolamento dall’avere «alcuni elementi della vera Chiesa di Cristo» all’avere «gli elementi della Chiesa di Cristo» non è impensabile.

Per esempio, nella famosa (o famigerata) Dichiarazione di Abu Dhabi del 2019 leggiamo: «La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente a aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano».

Ecco dichiarato, nero su bianco, che la diversità di religione (neanche di confessione cristiana) è frutto della stessa volontà divina. Ma questo può armonizzarsi con quanto detto dalla Cdf, e cioè che la Chiesa voluta da Cristo è la Chiesa cattolica? Sembra quindi, a questo punto, che il Figlio voglia la Chiesa cattolica e il Padre più religioni. E lo Spirito Santo che cosa vorrà?

Moltissimi esponenti cattolici, a diversi livelli, hanno contestato il documento di Abu Dhabi. Corrado Gnerre, per esempio, scrive che il testo «va a compromettere l’affermazione “Extra Ecclesiam nulla salus”. Affermazione che è “definita”. Infatti, Pio XII dice: “Ora tra le cose che la Chiesa ha sempre predicate, e che non cesserà mai dall’insegnare, vi è pure questa infallibile dichiarazione che dice che non vi è salvezza fuori della Chiesa” (Lettera al Sant’Officio, 8 novembre 1949). Questa affermazione prevede che nelle altre confessioni ci si possa salvare non grazie, bensì malgrado l’appartenenza a esse. Quello che poi sarà il Papa del Concilio, Giovanni XXIII, così disse nell’omelia nel giorno della sua incoronazione, il 4 novembre del 1958: “(…) gli uomini possono sicuramente raggiungere la salvezza, solamente quando sono a lui (Romano Pontefice) congiunti, poiché il Romano Pontefice è il Vicario di Cristo e rappresenta in terra la sua persona”».

Padre Angelo, su amicidomenicani.it, così risponde alla domanda annosa circa il subsistit o est: «I trattati apologetici classici sulla Chiesa miravano in gran parte a stabilire prima di tutto che Cristo fondò un’unica Chiesa, che affidò al Collegio degli Apostoli con a capo Pietro, in qualità di Pastore, Guida e Maestro supremo. Il loro intendimento era quello di dimostrare che l’unica vera Chiesa di Cristo oggi esistente è la Chiesa cattolica. Senza dubbio con questa dimostrazione non si è voluto negare l’esistenza di valori cristiani e di realtà ecclesiali presso gli Ortodossi, i Protestanti, gli Anglicani o presso altri cristiani. Ma la preoccupazione apologetica ha costretto a sottolineare i punti di differenziazione tra le varie chiese e a lasciare nell’ombra il patrimonio cristiano presente nelle diverse chiese e denominazioni non cattoliche. Il movimento ecumenico e il desiderio dell’unione di tutti i cristiani hanno contribuito efficacemente a far superare uno stadio puramente apologetico dell’ecclesiologia e a far sorgere l’urgenza di una visione più serena e oggettiva di quegli elementi di verità e di santità che sono il frutto dell’azione di Cristo e del suo Spirito e della buona fede dei membri di tali comunità cristiane. I Padri del Concilio furono unanimemente concordi nel ritenere che bisognava presentare fedelmente il pensiero di Cristo circa la sua Chiesa e indicare senza equivoci dove oggi si concretizza e si manifesta l’unica vera Chiesa di Cristo. E furono pure unanimi nel riconoscere valori cristiani autentici nelle diverse chiese e comunità non cattoliche. L’espressione “l’unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica” sottolinea questo convincimento ed è ben adatta a esprimere un atteggiamento ecumenico. L’altra espressione “l’unica Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica” mette in risalto gli errori e le lacune presenti nelle altre confessioni e sembra voler dire che dalle esperienze delle altre Chiese non abbiamo nulla da prendere, nulla da imparare».

A me questa risposta fa pensare all’atteggiamento che si è diffuso in ambito missionario, per cui sembra che l’obiettivo delle missioni sia apprezzare le culture dei non cristiani piuttosto che portarli al cristianesimo. Ma il nostro sforzo deve essere volto a rallegrarci delle cose buone presenti nelle altre religioni o a mostrare che la salvezza è nella nostra?

Apprezzo il commento fatto da Benedetto XVI in conversazione con i suoi ex studenti: «A proposito di subsistit devo aggiungere due aspetti. La proposta di utilizzare il termine subsistit venne da padre Tromp. Questo è già di per sé interessante. Direi […] da una parte esso è più ampio e dall’altra più ristretto del solo termine estSubsistit è certo un concetto della filosofia scolastica. La sussistenza è il modo in cui un soggetto esiste in quanto tale. In questo senso la Chiesa cattolica dice che in essa la Chiesa di Cristo sussiste e, in quanto soggetto, è presente concretamente nella storia e quindi non rimane un’idea platonica. In questo senso si tratta di una concretizzazione molto forte. La Chiesa cattolica è sussistenza della Chiesa stessa. D’altro canto, essa è al contempo vastità maggiore in quanto in questo modo non si esclude che al di fuori della sussistenza possa esistere una realtà ecclesiale. Per questo si è creato il plurale Chiese accanto allo spazio singolo. A proposito dello sviluppo drammatico e traumatico postconciliare trovo molto interessanti i ricordi del cardinale Cottier che, come domenicano, ha vissuto nei conventi la drammaticità e il trauma della frantumazione della comunità in un modo che il Concilio è stato appunto inteso come rottura, vale a dire che si tentò un rinnovamento interno nella vera linea del Concilio. A titolo di esempio si può costatare qui quanto sia stato distrutto da una falsa ermeneutica del Concilio con l’idea “adesso tutto è diverso, adesso siamo uno con il mondo. Adesso non abbiamo bisogno più di ordini, adesso non abbiamo più bisogno di eucaristia, questa la celebriamo come banchetto”, e così via. D’altro canto, si rende contemporaneamente visibile come la fede rinnovata, ricevuta nuovamente dal profondo, si manifesti in modo nuovo. In questi esempi ci si scontra con la drammaticità, la traumaticità e il rinnovamento, l’intera realtà della disputa di questo tempo. A me pare importante che proprio al di là di tutte le discussioni intellettuali ed esegetiche si guardi a questa realtà e si comprenda che cosa sia veramente lo spirito del Concilio e cosa no» (Benedetto XVI, Il Circolo degli studenti, cardinale Kurt Koch, Il Concilio Vaticano II. L’ermeneutica della riforma, Libreria Editrice Vaticana).

Quanto affermato da Benedetto XVI è interessante, in quanto da una parte ribadisce l’interpretazione cautelativa di certi settori ecclesiali, ma dall’altra spiega come il dopo Concilio abbia portato una rottura con la prassi precedente e come fosse evidente fin dall’inizio che questi scivolamenti semantici sarebbero stati interpretati in un’ottica estremista piuttosto che nel rispetto della Tradizione.

di Aurelio Porfiri

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