ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 10 luglio 2021

Un’orazione che diventa azione

 Morire al mondo

               https://i0.wp.com/www.archeboli.it/wp-content/uploads/MISTICA.jpg?resize=254%2C275 (immagine aggiunta)

Sulla via dell’unione con Dio viene il momento della morte mistica. Il cristiano reso degno di lasciarsi sprofondare nell’abisso dell’amore divino tronca ogni legame con il vecchio io, con il mondo corrotto e con la vita stessa, tesa alla ricerca della propria riuscita. Attraverso ripetute morti interiori provocate da cocenti delusioni e disinganni, susseguitisi come colpi letali che pur non uccidono, lo Spirito Santo conduce il cuore docile al perfetto distacco da tutto, condizione indispensabile dell’abbandono totale alla grazia. Allora la piccola barca, tranciate le gomene che la tenevano fissa alla riva, comincia ad inoltrarsi nell’oceano del Bene infinito, mentre le cose della terra si rimpiccioliscono, perdendo ogni mordente, e gli affanni di quaggiù si smorzano come un’eco sempre più lontana.

«Per me non sia mai che mi vanti, se non della croce del Signore nostro Gesù Cristo, per cui mezzo il mondo è crocifisso per me e io lo sono per il mondo» (Gal 6, 14). «Chi ama l’anima sua la rovina; chi odia l’anima sua in questo mondo la custodirà per la vita eterna» (Gv 12, 25). «Che gioverà all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perderà l’anima sua?» (Mt 16, 26). Mai come ora le parole della Scrittura fan sentire la forza dell’eterna verità che contengono, suonando come ciò che di più certo e reale possa esserci. Nell’interiorità purificata la luce divina penetra ormai senza più trovare ostacoli e comunica la vita: «In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini» (Gv 1, 4). Un sentimento di sicurezza incrollabile si irradia allora nell’anima, pacificandola.

Raccogliamo dunque l’eredità dell’uomo che finora ha lottato con i mezzi offerti dalla preghiera e dalla meditazione, ma che ora lo Spirito sospinge nel deserto sotto l’effetto del desiderio di farsi egli stesso preghiera. C’è dapprima un’azione che nasce dall’orazione, ma c’è poi un’orazione che diventa azione, benché invisibile al mondo, tanto più potente quanto più è Dio stesso ad agire nell’anima e per mezzo dell’anima, in quell’economia di salvezza che non si apprezza con le misure del mondo. Non ci sentiremo per questo abbandonati, ma sperimenteremo un aiuto diverso. Abbiamo ben compreso quanto c’era da sapere per interpretare l’attuale epoca storica; ora è il momento di entrare in una nuova fase, in cui concentrare le forze nell’invocazione dell’intervento divino.

Le parole della nostra supplica saranno tanto più efficaci quanto più sgorgheranno da un cuore puro, esente da passioni e da moventi umani. Per questo dobbiamo placare l’io psichico, ancora esposto a ricadere nei vizi dell’io carnale, e tendere verso l’io spirituale, che va ritrovato sotto le incrostazioni dell’uomo vecchio e liberato da ciò che lo soffoca. A tal fine bisogna abituarsi a rientrare spesso in sé stessi, nel centro dell’essere: Accedet homo ad cor altum, et exaltabitur Deus (L’uomo avrà accesso al cuore profondo e Dio sarà esaltato; Sal 63, 7-8 Vulg.). Questo esercizio è inizialmente difficoltoso, ma con l’ausilio della grazia, se ci si sforza di creare un perfetto silenzio interiore, porta col tempo frutti sorprendenti, purché non ci si scoraggi troppo presto.

La tradizione monastica ha sviluppato tale principio a partire dall’insegnamento degli Apostoli. San Paolo ha pregato chiedendo per noi questo dono: «Piego le mie ginocchia verso il Padre, dal quale prende nome ogni paternità, nei cieli e sulla terra, perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua grazia, di essere potentemente rafforzati, mediante il suo Spirito, nell’uomo interiore, così che Cristo abiti per la fede nei vostri cuori» (Ef 3, 16-17). Il testo originale suggerisce l’idea di un passaggio dall’esterno all’interno (eis tòn ésō ánthrōponin interiorem hominem): la potenza del Paraclito, invocata con fiducia incondizionata, ci fa penetrare nella regione più intima di noi stessi, dove, se siamo in stato di grazia, è presente la Trinità santissima e noi viviamo al Suo cospetto.

San Pietro precisa ulteriormente questa segreta identità del cristiano. Parlando alle donne, egli offre un’esortazione valida per tutti: «Il vostro ornamento sia non quello esteriore […], ma l’uomo nascosto del cuore, nell’incorruttibilità dello spirito mansueto e tranquillo, che è prezioso davanti a Dio» (1 Pt 3, 3-4). L’homo cordis absconditus è il nucleo sostanziale della persona umana, quella profondità del cuore su cui il Diletto ha posto il Suo sigillo, prima creandoci a Sua immagine, poi imprimendoci il carattere battesimale, che ci ha abilitati a realizzare, mediante l’attiva corrispondenza alla grazia, una somiglianza sempre maggiore, cioè la santità. Non c’è nulla al mondo che possa raggiungerci laggiù né ledere quel santuario inviolabile, al sicuro da qualsiasi attacco.

Per accedervi con facilità e trovarvi la pace, bisogna custodire la mente da ciò che la turba e il cuore da ciò che lo dissipa, coltivando la mitezza e la tranquillità di spirito, l’hesychía perseguita dai Padri del deserto. Per questo occorre evitare di esporsi continuamente a un bombardamento indiscriminato di notizie e di sollecitazioni emotive, disciplinando con fermezza l’uso delle reti sociali e dei mezzi di comunicazione. Il mondo moderno ci ha resi dipendenti da un apparecchio che in pochissimi anni è diventato quasi un prolungamento della mano, come se non potessimo farne a meno; ciò crea enormi difficoltà al santo sforzo del raccoglimento e della discesa nel cuore, fatto che esige da noi un severo impegno di regolazione, senza il quale la vita spirituale rimane soffocata.

Oltre a filtrare le fonti esterne di agitazione, va messo al bando ogni pensiero e sentimento di astio, orgoglio e vanità, cioè le sorgenti interiori di veleno e di disgregazione. Più si avanza nell’unione con Dio, più le tentazioni del maligno si fanno sottili, facendo leva sulla tendenza ad autogiustificarsi propria dell’io non ancora completamente purificato. Il far venire alla luce l’uomo nascosto del cuore è un parto delicato, ricco di pericoli e di insidie, ma il risultato è motivo di una gioia ineffabile: «La donna, quando partorisce, è triste, perché è giunta la sua ora; quando però ha partorito il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è nato nel mondo un uomo» (Gv 16, 21). Più le doglie saranno state dolorose, maggiore sarà l’intimo gaudio della rinascita.

Nulla può tanto aiutare tale laborioso parto quanto una frase della mirabile elevazione a Dio composta dalla carmelitana Elisabetta della Trinità: «Pacificate l’anima mia, fatene il vostro cielo, la vostra dimora amata e il luogo del vostro riposo». In vista di tale risultato, com’è evidente, bisogna imparare a non lasciarsi scuotere da sterili polemiche o impaurire da dichiarazioni che sembrano rese apposta per far crollare il morale della popolazione e annientare ogni resistenza. Se la tua pace interiore è minacciata, distogliti da ciò che la turba e rientra in te stesso alla ricerca del Diletto, il quale sopirà tutte le angosce e rinfrancherà il tuo cuore con il Suo sorriso. Non essere come un albero agitato dal vento; se avrai fede, sarai sempre stabile (cf. Is 7, 2.9).

Ricorda che non è il molto sapere che salva o protegge; al contrario, esso diventa facilmente fomite di superbia e arroganza: «La scienza gonfia, la carità edifica» (1 Cor 8, 1). Dedicare eccessivo impegno all’acquisizione di conoscenze, togliendo tempo ed energie all’adempimento dei propri doveri di stato e all’esercizio concreto dell’amore disinteressato, inaridisce l’anima e la estrania da Dio, il quale è carità per essenza. È utile e in certa misura doveroso tenersi al corrente di ciò che accade, onde poter efficacemente collaborare con il Cielo, ma senza dimenticare che tutto è nelle mani del Signore e che la Provvidenza dispone ogni cosa, fin nei minimi dettagli, a favore di coloro che vivono pienamente abbandonati ad essa: Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum (Rm 8, 28).

Dilectus meus mihi, et ego illi (Ct 2, 16).

Pubblicato da 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.