Phil Lawler, giornalista e scrittore, si pone, e ci pone, tre interessantissime domande a proposito del Concilio Vaticano II, la Tradizione e il rapporto con il mondo moderno. Ecco il suo articolo, apparso su Catholic Culture, nella mia traduzione. 

Concilio Vaticano II (foto CNS)
Concilio Vaticano II (foto CNS)

La promulgazione della Traditionis Custodes ha dato nuova urgenza a un vecchio dibattito sull’interpretazione del Concilio Vaticano II. Papa Francesco ritiene che i cattolici che preferiscono la tradizionale messa in latino sono propensi a rifiutare gli insegnamenti del Concilio. I tradizionalisti replicano che gli insegnamenti del Concilio – in particolare quelli sulla riforma della liturgia – sono stati regolarmente ignorati. E così torniamo ancora una volta alla questione se lo “spirito del Vaticano II”, così frequentemente invocato dai cattolici liberali, sia in contrasto con l’effettivo lavoro del Concilio.

È strano, vero, che cinquant’anni dopo il Concilio, non ci sia un consenso stabile su ciò che i padri conciliari hanno insegnato? Il disaccordo sulle sfumature della teologia sarebbe comprensibile, ma in questo caso, teologi competenti hanno opinioni completamente incompatibili, e citano il Concilio per sostenerle. Ci sono precedenti di feroci dispute sulla scia dei concili della Chiesa; si ricorda che le chiese ortodosse orientali si sono divise con Roma sulle definizioni cristologiche del Concilio di Calcedonia. Ma c’è mai stata prima d’ora una così profonda divisione di opinioni su ciò che ha detto il Concilio?

Con pochissime speranze di risolvere questa vecchia discussione – dal momento che le parti opposte si sono trincerate nelle loro posizioni fortificate per diversi decenni ormai – permettetemi di porre alcune domande retoriche, che potrebbero almeno aiutare a chiarire la situazione che ora affrontiamo.

 

1 – Dobbiamo interpretare gli insegnamenti del Vaticano II alla luce della tradizione o interpretare la tradizione alla luce del Vaticano II? Questa è essenzialmente la questione che Papa Benedetto XVI ha sollevato, quando ha denunciato l'”ermeneutica della rottura” che ha portato molti teologi a suggerire che il Concilio Vaticano II ha segnato una rottura radicale con i precedenti insegnamenti della Chiesa.

Nella Traditionis, Papa Francesco sostiene giustamente che un cattolico credente non può rifiutare il lavoro di un concilio ecumenico senza mettere in discussione il principio dottrinale che lo Spirito Santo guida il lavoro della Chiesa. Ma per la stessa logica, un cattolico fedele non può accettare la nozione che la Chiesa sia stata mal guidata per secoli; lo Spirito Santo era all’opera anche prima del Vaticano II. L'”ermeneutica della continuità” – la comprensione che il Concilio non poteva cambiare fondamentalmente l’insegnamento della Chiesa, ma solo chiarire e sviluppare ciò che già veniva insegnato – è l’unica opzione disponibile per un cattolico fedele. Quindi il Concilio deve essere correttamente compreso attraverso la prospettiva della costante tradizione della Chiesa. Se ci sono passaggi nei documenti del Concilio che sembrano essere in conflitto con quella tradizione, allora è necessario un ulteriore chiarimento, un ulteriore sviluppo, o forse anche una semplice correzione.

 

2 – Il Concilio ha voluto che la Chiesa si impegnasse con il mondo moderno o che fosse guidata dal mondo moderno? Le epoche dell’Illuminismo, della Riforma e della Rivoluzione Francese avevano spinto la Chiesa in una posizione difensiva nei confronti della modernità. Papa Giovanni XXIII vide la necessità di uscire dalla fortezza ecclesiastica, di aprire nuove linee di comunicazione con il mondo secolare. Ma lui, o i padri conciliari, intendevano che la Chiesa dovesse giudicare i suoi successi e i suoi fallimenti secondo gli standard di quel mondo secolare? Certamente no. Al contrario, il Concilio esortava i laici cristiani a trasformare il mondo secolare attraverso la forza del Vangelo.

Oggi, purtroppo, quell’esortazione è troppo spesso ridotta a un suggerimento che i cristiani dovrebbero concentrarsi sulle “buone opere” che la nostra società secolare riconosce – a scapito della testimonianza profetica che la Chiesa offre quando i cristiani condannano i mali di una società che calpesta la dignità della vita umana.

Il che mi porta alla mia terza e ultima domanda retorica.

 

3 – Il Concilio ha proclamato la chiamata universale alla santità, o la chiamata universale della santità? Cioè, i padri conciliari hanno insegnato che tutti i cristiani sono chiamati a santificare se stessi e il mondo che li circonda? O hanno insegnato che tutti i cristiani sono già santificati, e dovrebbero essere incoraggiati e lodati in ogni azione che intraprendono? Noi cattolici eravamo chiamati a rendere santo il mondo o a riconoscere il mondo come già santo?

La ricerca della santità è una lotta ardua, mentre una Chiesa compiacente sarebbe soddisfatta di fissare standard più bassi, di accettare i fallimenti personali, di strizzare l’occhio alle piccole trasgressioni. Il lettore può giudicare da solo se, per esempio, il “cammino sinodale” della gerarchia tedesca porterà alla santità o alla compiacenza.

Ci possono effettivamente essere alcuni cattolici tradizionalisti che rifiutano tutti gli insegnamenti del Vaticano II. Ma ce ne sono molti di più, credo, che riconoscono che qualcosa è andato seriamente storto all’interno della Chiesa nelle ultime generazioni. E se i problemi del cattolicesimo non possono essere attribuiti al Concilio – perché quei problemi erano in evidenza prima che i padri conciliari si riunissero – è anche tristemente evidente che il Concilio non ha risolto tutti i problemi. Così i cattolici più seri guardano più indietro nelle tradizioni della Chiesa per trovare un fondamento sicuro su cui costruire.

Di Sabino Paciolla

https://www.sabinopaciolla.com/tre-domande-retoriche-sul-concilio-vaticano-ii-e-la-tradizione/