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sabato 2 ottobre 2021

Chi voleva rovesciare la Chiesa come un calzino

Mascarucci: Fuori dal Coro anche con Bergoglio. Onore a Mario Giordano.

 

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, Americo Mascarucci ci offre questa riflessione su un programma che spicca nel panorama televisivo italiano (che non vogliamo definire per pietà), e cioè Fuori dal Coro di Mario Giordano. Buona lettura.

§§§

 

Ma

Meno male che Giordano c’è. Eh sì, perché è la prima volta che un programma televisivo si occupa di questioni vaticane uscendo dalla logica della narrazione filo bergogliana a senso unico, che ormai unisce i media mainstream, come ha fatto martedì scorso Mario Giordano con il suo “Fuori dal Coro”. Per altro dando voce al nostro Marco Tosatti e a Riccardo Cascioli, che hanno rotto l’alone politicamente corretto che regna intorno al governo della Chiesa.

Per la prima volta non abbiamo sentito parlare del Vaticano come di un lurido covo di scandali e misfatti (stile Report), dove Bergoglio, elevato a martire, è ostacolato dalle lobby interne che vogliono impedirgli di fare pulizia, lui che è santo, puro e immacolato. Uno stile comunicativo costruito ad arte per far credere al pubblico che si voglia difendere il papa dai suoi nemici, e che invece è finalizzato unicamente ad utilizzare Bergoglio per infangare la Chiesa, dipingendola appunto come indegna e corrotta (come ha dovuto riconoscere anche Avvenire criticando il programma di Raitre). Poi ci sono i portavoce mascherati nei vari tg, ma sarebbe meglio chiamarli porta-microfono, quelli pronti sempre a correre in Vaticano per intervistare Papa Francesco e fargli dire tutto ciò che vuole, senza contraddittorio e naturalmente abbellendo ogni servizio con la santificazione in vita del pontefice argentino. Mario Giordano per la prima volta non ha seguito questo schema, ha rotto un tabù, come del resto sta facendo egregiamente anche per ciò che riguarda la questione del green pass obbligatorio, andando anche qui controcorrente rispetto al resto del sistema mediatico.

E così si è potuto affrontare con maggiore obiettività il tema del complotto denunciato dal pontefice regnante. Uscendo anche qui dalla logica dei “cattivi tradizionalisti” che vogliono morto il papa, ed evidenziando invece, come ha fatto proprio Tosatti, come il collegio cardinalizio sia ormai pressoché in mano ad una maggioranza bergogliana, con porporati scelti personalmente da lui con il chiaro obiettivo di costruirsi un largo consenso. E ora sono quegli stessi cardinali che si è messo intorno, insieme ai dirigenti di Curia anche questi da lui pescati con il lanternino, a tramargli contro, o forse molto più semplicemente a preparare la sua successione. E non è certo un caso se fra i papabili sia circolato anche il nome del fedelissimo Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e indicato addirittura come possibile candidato anti-Parolin sostenuto dai cardinali asiatici, africani e da parte di quelli latino-americani. E non è certo colpa dei cattivi tradizionalisti se il segretario di Stato Pietro Parolin è stato il primo a commentare con stupore, e con una vena di ilarità, le denunce di Bergoglio sul complotto, dicendo che lui non ne sa nulla e che forse il papa ha notizie che lui non possiede. Ma quanto è credibile che un primo ministro non sappia delle congiure in atto nel “suo” governo contro il sovrano? E quando mai un segretario di stato ha potuto smentire le parole di un pontefice in segno quasi di sfida? A Francesco sembrano essere rimasti soltanto i suoi confratelli gesuiti come alleati, e non è certamente un caso se la denuncia del complotto l’abbia fatta proprio nel corso di un incontro con i membri della Compagnia, e che Civiltà Cattolica abbia poi rilanciato in pompa magna le parole del pontefice con il chiaro intento di farle deflagrare.

Ma il programma di Giordano ha avuto il merito di squarciare anche il velo di ipocrisia che regna intorno al tema dei due papi e addirittura ha in parte riconosciuto cittadinanza alle posizioni di don Minutella e del piccolo resto cattolico, evidenziando, con tanto di articoli di Andrea Cionci in evidenza, come esista chi sostiene che Benedetto XVI non si sia mai dimesso e sia ancora il papa.

Ovviamente, come tutti noi del resto, ne ha dato notizia senza sposare apertamente la posizione che, per quanto supportata da elementi concreti, è lontana dall’essere dimostrata. Così come appare assai poco credibile la tesi di un Ratzinger “prigioniero di Bergoglio” come Celestino V lo fu di Bonifacio VIII e con il fedelissimo padre George nel ruolo di carceriere. Ipotesi poco convincente, considerando che Benedetto XVI in questi anni ha continuato spesso a parlare e a prendere posizione anche in aperto contrasto con la politica di Bergoglio (vedi la comunione ai divorziati risposati, vedi i temi dell’omosessualità, vedi il celibato sacerdotale, l’ordinazione delle donne tutti argomenti su cui Francesco ha lasciato aperte le porte del dialogo e che Ratzinger ha sempre bollato come irricevibili). Ma non è questo il problema. Perché comunque la si pensi in Vaticano ci sono oggi due papi, che indossano entrambi la talare bianca, uno dei quali “emerito” in assenza di riconoscimento giuridico (dopo otto anni se ne sono accorti e stanno correndo ai ripari) che usa la firma del papa regnante e che in otto anni ha ripetuto continuamente che “il papa è uno solo” ma senza mai dichiarare esplicitamente “il papa è Francesco”.

Sulla talare bianca ci hanno raccontato che si è trattato di una scelta pratica, perché il papa emerito non possedeva più la veste da cardinale. Ma questo poteva essere convincente al momento delle dimissioni, non dopo otto anni, periodo decisamente sufficiente per chiamare un sarto e farsi cucire una talare nera. E’ stato il cardinale George Pell, non noi, a dire che sarebbe stato opportuno da parte di Benedetto XVI togliersi la talare bianca per evitare di ingenerare confusione fra i fedeli. E il fatto che a distanza di otto anni si sia deciso di affrontare il vulnus dell’istituto del papato emerito mai esistito nella Chiesa, la dice lunga su come in Vaticano si siano resi conto di dover sanare una situazione quantomeno anomala ed ambigua.

Ci diranno che è tutto normale, che è tutto a posto, che il papa è Francesco e bisogna farsene una ragione. E noi una ragione ce la siamo fatta anche se i dubbi rimangono. E con tutto il rispetto non ci sentiamo proprio di far finta di nulla. Come non siamo disposti a passare sopra l’ennesima sparata di Bergoglio sul complotto contro di lui, che puzza di bruciato nel momento stesso in cui si lancia il sasso nascondendo la mano. Mi è stato obiettato che Francesco ha fatto bene a denunciare in pubblico la cospirazione contro di lui perché ha avuto il coraggio di mettere in luce i comportamenti riprovevoli  di chi governa la Chiesa. Ma questa Chiesa è la sua, l’ha voluta lui. E non ci vengano a raccontare la storia dei tradizionalisti che complottano contro di lui, visto che nel collegio cardinalizio i cardinali conservatori sono ormai messi quasi tutti fuori gioco dall’età e dai malanni fisici. E l’autorevole voce di monsignor Carlo Maria Viganò è chiaramente una “voce che grida nel deserto” visto che ciò che sostiene è scomodo e inaccettabile tanto per i bergogliani modernisti che per i ratzingeriani, fautori di quell’ermeneutica della continuità del Concilio Vaticano II che ha lasciato proliferare il grande equivoco di un Concilio buono che ha prodotto alcuni frutti malati. Frutti che, come nel caso dell’ecumenismo hanno proliferato purtroppo anche negli anni della restaurazione wojtyliana come dimostrano lo spirito di Assisi e le controverse aperture al mondo luterano.

La verità è che probabilmente Bergoglio non ha soddisfatto fino in fondo le aspettative dei modernisti modello Kasper, Marx e compagni nell’attuazione dell’agenda progressista che era alla base della sua elezione. Un’agenda che si è limitato ad interpretare convocando sinodi dagli esiti disastrosi ma comunque insufficienti per chi voleva rovesciare la Chiesa come un calzino. O dichiarando guerra alla messa in latino e ai tradizionalisti, perseguitando gli ordini religiosi più conservatori pensando così di far contenti i suoi sostenitori. I quali hanno invece capito di aver fatto un buco nell’acqua e non vogliono aspettare che sia il Signore a liberare il trono di Pietro. Del resto chi di mafia colpisce, di mafia perisce. Di San Gallo naturalmente.

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