Il cardinale Angelo Scola introduce nel Duomo di Milano, davanti al Papa, la preghiera dell’Ora media e dice che i frutti dell’“eredità del lungo e ricco ministero del cardinale Carlo Maria Martini e quella del cardinale Dionigi Tettamanzi” sono “gli esempi più manifesti della sagace azione ecclesiale che ho ricevuto e che sto facendo mia nell’assunzione del compito che la Santità ha voluto affidarmi”.
Parole importanti, certo, ma dirette a chi? Secondo molti è al loro pronunciamento che don Julián Carrón, leader di Comunione e Liberazione, ha capito che non è aria.
Che l’ex patriarca di Venezia, insomma, avrebbe fatto di tutto per non farsi imbrigliare nel pregiudizio che lo dipinge come l’arcivescovo ciellino (o presunto tale) che arriva a Milano per mettere finalmente ogni cosa al proprio posto.
Fu Carrón, in sostanza, ad auspicare la cosa. In una lettera inviata nel marzo del 2011 all’allora nunzio in Italia Giuseppe Bertello – lettera che il libro “Sua Santità” di Gianluigi Nuzzi ha recentemente reso pubblica – chiedeva per il dopo Tettamanzi “una scelta di discontinuità significativa rispetto all’impostazione degli ultimi trent’anni”, quell’impostazione che a detta del leader di Cl avrebbe prodotto una “crisi profonda della fede del popolo di Dio”. E ancora: “In trent’anni abbiamo assistito a una rottura di questa tradizione, accettando di diritto e promuovendo di fatto la frattura caratteristica della modernità tra sapere e credere, a scapito della organicità dell’esperienza cristiana, ridotta a intimismo e moralismo”.
L’accusa di Carrón è esplicita: nella Milano di Martini e Tettamanzi è stata spesso “teorizzata una sorta di ‘magistero alternativo’ a Roma e al Santo Padre che rischia di diventare ormai una caratteristica consolidata dell’‘ambrosianità’ contemporanea. La presenza dei movimenti è tollerata, ma essi vengono considerati più come un problema che una risorsa… come fossero una ‘chiesa parallela’”. E poi la politica: c’è stato, per Carrón, “un certo sottile, sistematico, neocollateralismo soprattutto della curia verso una sola parte politica (il centrosinistra) trascurando, se non avversando, i tentativi di cattolici impegnati in politica”.
Anche se una certa crudezza di stile è motivata dal fatto che la lettera sarebbe dovuta restare riservata e anche se, come la storia insegna, dietro ogni accusa, anche la più ingiusta, si nasconde solitamente un fondo di verità, la notizia è un’altra. Ed è che Scola questa lettera non l’ha digerita.
Lui che già poco tempo prima aveva dichiarato durante una conferenza stampa che “da più di vent’anni non frequento Cl, gli appartenenti che conosco hanno più di sessant’anni, non sono collaterale al movimento”, non solo ha comunicato al Consiglio presbiteriale della diocesi di aver incaricato il neo vicario generale Mario Delpini di convocare in curia sia il successore di don Luigi Giussani sia i responsabili del movimento ecclesiale per i necessari chiarimenti. Ma ha anche agito con delle nomine curiali che hanno valorizzato, al contrario di quanto forse auspicava Carrón, l’“ambrosianità” della diocesi stessa: Franco Agnesi, nominato responsabile della zona di Varese e moderator curiae, ricoprì posti chiave già con Martini: da assistente dell’Azione cattolica (Ac) a responsabile dell’ufficio pastorale giovanile fino all’incarico di provicario generale quando la casella di numero due di piazza Fontana era ricoperta dal “martiniano doc” Giovanni Giudici, attuale vescovo di Pavia. Anche Delpini è della covata di Martini, già rettore del seminario ambrosiano. E così Franco Carnevali, anch’egli assistente dell’Ac.
Scola, come già avvenne a Venezia e prima ancora a Grosseto, ha lavorato per supereare i pregiudizi di coloro che lo dipingono come vescovo di parte. La sua elezione a Milano venne letta da molti con miopia: come la vittoria di una fazione ecclesiale sull’altra. E dopo aver visto la gran folla che ha risposto al suo invito per il raduno delle famiglie di Milano, sono in molti (anche nella curia pervicacemente martiniana) a ricredersi su di lui. Gran folla certo, molta però di “fede” ciellina.
Pubblicato sul Foglio venerdì 23 giugno 2012
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