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lunedì 15 ottobre 2012

Prove di dialogo teologico?


"Il Vaticano II una delle più brillanti espressioni della tradizione"

Padri conciliari
PADRI CONCILIARI


Intervista con Umberto Casale, teologo e docente presso l'Istituto Superiore di Scienze religiose della Facoltà di Teologia di Torino e appassionato studioso del concilio


Le interpretazioni storiche, le ermeneutiche ‘rottura’ o ‘continuità’: una sua valutazione a tale riguardo?

Il Vaticano II, come gli altri concili non è una rottura della Tradizione bensì un’espressione fra le più brillanti della tradizione stessa. Neanche l’idea di ‘discontinuità’ (separata, o opposta alla continuità) è in grado di cogliere il senso e il valore dell’ultimo concilio. Occorre lavorare teologicamente a fondo sul concetto di Tradizione se si vuole arrivare a situare il Vaticano II nella lunga storia della Tradizione cristiana (e dei documenti del Magistero della Chiesa).

La Tradizione di Gesù – perché di questo si tratta – non è un dato fisso o morto, bensì è realtà viva e vivace, «progredisce e cresce (come dice il concilio stesso, DV 8), sicché la dinamicatradizione-progresso ne costituisce il tratto saliente. «Tradizione e progresso sono una coppia di termini omogenei» (come diceva lo storico della Chiesa H. Jedin), non possono essere separati o disgiunti. Tradizione senza progresso sarebbe la cristallizzazione della tradizione; il progresso senza tradizione sarebbe stravolgimento della tradizione. Sono le posizioni dei ‘conservatori’ (cristallizza la tradizione) e dei ‘progressisti’ (cambia la tradizione) a separare scorrettamente tradizione e progresso, una tale separazione ostacola la corretta comprensione dell’evento e dei testi conciliari, dal momento che evento e testi si muovono nella suddetta dinamica. Da questo punto di vista credo sia corretto superare le parziali interpretazioni “ermeneutica della continuità” e “ermeneutica della discontinuità” con quella che Benedetto XVI chiama “l’ermeneutica della riforma” (già chiaramente presente nelle intenzioni di Giovanni XXIII e ripresa da Paolo VI).
Così non si tratta di giudicare il concilio alla luce della tradizione, ma di vederlo come sorgente di tradizione: Giovanni XXIII aveva assegnato proprio questo compito: la fede deve parlare in modo rinnovato al mondo che cambia rapidamente, mantenendo inalterati i suoi contenuti perenni, perenni perché germinano dall’unica Parola di vita eterna che è Cristo stesso. In questa prospettiva va interpretato l’evento conciliare e va letto il corpus dei testi, questa era l’intenzione prima e ultima di chi il concilio ha convocato e di chi il conclio ha concluso (da questo punto di vista andrebbero riletti i bei discorsi di apertura – Giovanni XXIII, 11 ottobre 1962 – e di chiusura – Paolo VI, 7 dicembre 1965 – ) dell’evento.

E’ importate oggi conoscere i documenti del Vaticano II? Come leggerli?

I documenti conciliari sono come un grande affresco, dipinto nella sua grande varietà di elementi, offrono un grande quadro non soltanto di quel momento di grazia che fu l’assise conciliare, ma anche oggi costituiscono una ricchezza da riscoprire. Essi vanno letti e assimilati nel rispetto dei tre ‘poli’: l’opera dei Padri conciliari, i ricettori odierni e la lunga tradizione della Chiesa. La sinergia di questi tre ‘poli’ permette di cogliere l’affondo operato dal concilio: la presentazione dell’identità cristiana nel legame col suo principio (la Rivelazione, attesta dalla Scrittura) e nel suo legame comunicativo (la testimonianza) col mondo contemporaneo.
Direi soprattutto le quattro costituzioni (SD, LG, DV. GS), che rappresentano l’orizzonte entro il quale leggere i decreti e le dichiarazioni, sono i quattro punti cardinali della bussola capace di orientarci. Tra queste, un primato ‘teologico’ spetta alla Dei Verbum, dove vengono riproposte le assi portanti del Cristianesimo e della stessa teologia, a tanti anni dalla sua promulgazione la DV non ha esaurito la sua carica innovativa e offre ai cristiani che la leggono la sensazione di una sorprendente freschezza. Il principale impegno della pastorale oggi è quello di creare degli ‘spazi’ in cui «la grazia profetica del Vaticano II possa essere recepita» (come ha scritto recentemente C. Theobald). Questi testi costituiscono oggi un forte appello a riscoprire la bellezza della fede cristiana, a un più intenso rapporto con il Signore e a comunicarla ad altri con la stessa vita.

Quale eredità ha lasciato il Vaticano II? Quale lezione cogliere per la Chiesa presente e futura?

Dal punto di vista della forma direi senz’altro l’agire sinodale, collegiale della Chiesa a vari livelli, l’istanza dell’ ‘aggiornamento’ e del principio dell’Ecclesia semper reformanda, la sottolineatura della dimensione cattolica o universale della Chiesa (per la prima volta è radunato l’episcopato di tutto il mondo, circa 3000 Padri, mentre nei precedenti concili erano poche centinaia e quasi tutti europei); il rispetto, la valorizzazione  e la concordia dei vari ministeri e carismi che vivono e operano nelle comunità; l’atteggiamento ecumenico nelle relazioni fra le confessioni cristiane e il dialogo fra le religioni.
Dal punto di vista dei contenuti soprattutto il ripensamento delle caratteristiche essenziali della fede cristiana. Nel mio libro ne ho segnalato alcune: la centralità del mistero trinitario di Dio (rivelato dal Cristo e donato dallo Spirito: Dio/Agape) e la correlativa concezione della “fede che salva”, della “fede testimoniale”: tutto questo soprattutto in un mondo che ‘dimentica’ Dio e ricorre agli idoli (‘mammona’, in primis). Inoltre la priorità della Parola di Dio nella vita del cristiano e della Chiesa tutta; una rinnovata ecclesiologia (“popolo di Dio”, “sacramento universale di salvezza”); una partecipazione piena alla celebrazione liturgica (come actio Christi et Ecclesiae); il ripensamento del rapporto Chiesa – mondo e , infine, un rinnovamento teologico e pastorale dell’escatologia cristiana.
In questo senso il Vaticano II è stato “la grande grazia” che lo Spirito ha fatto alla Chiesa del XX secolo e può costituire la ‘bussola’ della Chiesa del XXI secolo (secondo le parole di Giovanni Paolo II), o, con un’espressione felice di Paolo VI: «il Vaticano II è stato un triplice atto d’amore: verso Dio, verso la Chiesa, verso il mondo».
  
Umberto Casale, Il Concilio Vaticano II. Eventi, documenti, attualità, Lindau, Torino 2012, pp. 206, €. 18,00.
LUCA ROLANDIROMA

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