W CRISTO RE!
L’epopea dei “cristeros” nel Messico martire
Pochi,
purtroppo, ricordano che nel cuore nero del Novecento il Messico
martire offrì una testimonianza di fede e di fedeltà al Soglio di Pietro
pressoché unica al mondo.
Dall’inizio del secolo, il Paese nordamericano era stato squassato da
una serie di colpi di Stato inframmezzati a faide politiche che altro
non erano se non “guerre civili” intestine all’unico apparato
massonico-laicista costantemente al potere, che, attraversato pure da
inquietanti atmosfere giacobino-nazionalistiche e da forti pulsioni
socialistiche, era rigorosamente definito dall’anticattolicesimo
“scientifico”.
Nel 1917, del resto – un annus fatalis – il Messico retto dal
despota Venustiano Carranza (1859-1920) giunse persino a darsi una
Costituzione che quell’anticattolicesimo formalizzava positivamente e
coscientemente in legge fondamentale del Paese.
Raccogliendo dunque la tempesta che tale vento aveva da tempo seminato,
fu in specie il governo del generale Plutarco Elías Calles (1877-1945),
ennesimo despota, che mirò alla rivoluzione socio-culturale più
compiuta e “globalizzante” da ottenersi attraverso la lotta frontale
all’unico, vero grande ostacolo che, nella pratica e nella quotidianità,
ancora aveva il potere di arrestarne la marcia: la Chiesa Cattolica,
cioè la sua gerarchia e il suo popolo di fedeli, generatori di istituti,
di società, di storia.
In questo quadro, le insopportabili angherie e le persecuzioni scatenate dal
governo contro i cattolici risvegliarono una vera e propria “Vandea
messicana”, disposta anche al sacrificio in armi di sé pur di difendere
il diritto di cittadinanza che spetta alla verità delle cose e a
quell’unico umanesimo autentico che solo la prospettiva cattolica anche
sulla società e sulla polticia garantisce per tutti, non cioè solo per i
cattolici.
L’insurrezione messicana prese un nome divenuto – in un
circolo di cultori che non hanno rinunciato alla memoria viva – famoso.
Si chiamò “Cristiada”, praticamente una crociata, e i suoi cavalieri
dell’ideale, nobilmente straccioni, furono i “cristeros“. Era
infatti così che con arroganza e saccenza li apostrofavano i nemici,
storpiando la dizione “Cristos Reyes”, cioè i “Cristi-Re”, insomma
quella gente che si ostinava a battersi e a soccombere al grido di «Viva
Cristo Re!». Del resto, i cristeros combatterono indossando
l’uniforme del rosario o di un grande crocifisso appesi al collo,
proprio come i loro “avi” in Vandea. E quegli insorti, pur nulla offesi,
se ne fecero un vanto adottando volentieri l’epiteto (del resto
“cretino” viene da “cristiano” usato per offendere…): come san Paolo
insegna che “cristiano” è una “aggettivo di possesso” che indica “colui
che appartiene a Cristo” così cristero indicò chi apparteneva in toto all’unico re, Gesù. Fu una bandiera, insomma, quel nomignolo; anzi la bandiera,
emblema di una concezione diversa dell’agire politico e
dell’organizzare la società, antitetica a quella che li perseguitava.
Nel 1926 i cristeros insorsero e tennero per tre anni, fino al 1929,
testa a un nemico incommensurabile. Irrorarono il suolo del Messico di
sangue martire, quello che genera conversioni, santi e l’unico bene
autentico: la memoria corre qui doverosamente almeno al giovane
presbitero gesuita Miguel Agustín Pro (1891-1927), beatificato dal beato
Giovanni Paolo II (1920-2005) il 25 settembre 1988, ma i martiri
messicani, laici e consacrati, furono legione. Alla fine sui campi di
battaglia ne rimasero un numero calcolato tra i 70 e gli 85mila.
Dopo quel triennio di sangue, la guerra si fermò pur senza davvero (mai) finire.
Né si esaurirono le cause profonde che l’avevano generata. Il governo
era solamente riuscito di fatto a dividere gli avversari e, complice
anche la pavidità di certi vertici cattolici, le armi furono deposte
(almeno da una delle parti in causa, visto che le rappresaglie della
vendetta governativa continuarono a mietere vittime).
A quasi un secolo di distanza resta la memoria di un sacrifico immenso:
che non è una semplice consolazione, ma la testimonianza, dura, di una
storia gloriosa verso la quale un certo mondo non ha ancora fatto bene
tutti i conti. A partire dagli anni 1960 ne ha raccontato le vicende in
modo ancora insuperato lo storico e sociologo alsaziano Jean Meyer Barth
(da non confondere con lo storico francese Jean Meyer, che, assieme al
collega Pierre Chaunu [1923-2009], ha dato impulso alle ricerche sul
genocidio vandeano condotte dallo studioso bretone Reynald Secher). Tra
1973 e 1974 Meyer Barth ha quindi dato alle stampe una monografia in tre
tomi, La Cristiada, continuamente – per fortuna – in edizione
(la più recente è uscita a Buenos Aires nel 2003 per l’editore Siglo
XXI), un’opera monumentale di cui in italiano esiste solo una sintesi –
il saggio Quando la storia è scritta dai vincitori. Insurrezione
vandeana e rivolta dei cristeros messicani: due sollevazioni popolari
escluse dalla storia ufficiale e dalla memoria nazionale, accolto nel volume a più mani La Vandea (trad. it., Corbaccio, Milano 1995) – e qualche “reperto” in forma di intervista giornalistica.
Utilissimi sono dunque due volumi di recenti produzione italiana. Anzitutto Dio, Patria e libertà! L’epopea dei Cristeros,
firmato dallo storico militare Alberto Leoni e uscito nella collana “I
quaderni del Timone” (Edizioni Art, Milano 2010, pp. 64, € 6,00), poi il
freschissimo di stampa Cristiada. Messico martire. Storia della persecuzionedi Luigi Ziliani (Amicizia Cristiana, Chieti 2012, pp. 216, €15,00).
Il libro di Zuliani è un felice reprint di un’opera pubblicata in
presa diretta, una cronaca frutto di un viaggio-pellegrinaggio
effettuato dall’autore, un sacerdote cattolico italiano, sul posto nel
1928. Don Ziliani (che tra il 1928 e il 1938 tenne in Italia e in tutta
Europa circa 300 conferenze per denunciare il “dispotismo
giacobino-bolscevico” del governo Calles) pubblicò il proprio reportage esplosivo dapprima con il titolo Tre mesi nel Messico Martire e poi lo trasformò in Messico martire. Storia della persecuzione, eroi e martiri di Cristo Re
(Società Editrice S. Alessandro, Bergamo, 1929). Il testo venne
ripubblicato ben 15 volte in 10 anni, dall’edizione del 1933 recò
l’approvazione dell’arcivescovo messicano di Guadalajara, mons.
Francisco Orozco y Jiménez (1864-1936), e diverse altre edizioni postume
uscirono sino all’ultima del 1951.
In esso il sacerdote spiegò benissimo come fu la natura autenticamente popolare del
cattolicesimo messicano a far sì che a quelle latitudini la fede
costituisse anche una irrinunciabile quanto cristallina scelta sociale e
politica, che dunque non poteva per forza di cose essere tollerata
dalle forze laiciste in quel frangente al potere nel Paese. Lo scontro
fra le due civiltà antagoniste – quella edificata prendendo sul serio in
ogni piega anche della storia temporale la Rivelazione del Dio che si
fa uomo e quella che vorrebbe costruire prescindendo coscientemente da
Dio – fu dunque “naturale”, inevitabile; meraviglierebbe, cioè, se in
Messico, date le premesse, fosse accaduto qualcosa di diverso da una
guerra aperta…
Perché, una volta fallito il tentativo di rispondere alla persecuzione sul piano legislativo e dunque legale, non rimase che l’extrema ratio dell’insurrezione. Non a caso il Messico cristero godette “dell’imprimatur”
– caso più unico che raro – della stessa Santa Sede. Papa Pio XI
(1857-1939) dedicò infatti alla persecuzione anticattolica di quello
sfortunato Paese nordamericano non uno ma ben quattro documenti
magisteriali, tre dei quali furono nientemeno che encicliche, oggi
opportunamente raccolti nel volume Encicliche sulle persecuzioni in Messico, 1926-1937 (Amicizia Cristiana, 2012, pp. 78, € 7,00).
Il primo fu la lettera apostolica Paterna sane,
del 2 febbraio 1926, con cui il pontefice suggeriva all’episcopato
messicano modi concreti per contrastare le leggi anticristiane promosse
dal governo di Città del Messico. La seconda fu la lettera enciclica Iniquis afflitisque,
del 18 novembre del medesimo anno, che, rivolgendosi significativamente
alla Chiesa universale, additava la sofferenza del popolo cattolico
messicano a modello di virtù per tutti. Dunque, a guerra finita, il Papa
promulgò la lettera enciclica Acerba animi, del 29 settembre 1932, esortando i cattolici messicani a una nuova (forma di) resistenza. Infine venne la lettera enciclica Firmissimam constantiam,
del 28 marzo 1937, la quale persino legittimò – a norma
dell’antichissimo diritto di resistenza all’oppressione tirannica, che
il diritto naturale e la dottrina cattolica contemplano positivamente -,
l’insurrezione dei cristeros.
Solo pochi giorni, anzi ore prima di quest’ultimo documento “messicano”,
rispettivamente il 14 e il 28 marzo, Pio XI aveva promulgato le due
storiche encicliche di scomunica delle ideologie violente più note del
secolo XX e in quel momento massimamente distruttive, ovvero il
nazionalsocialismo ateo (e l’eresia del “cristianesimo tedesco”)
attraverso l’enciclica Mit brennender sorge, nonché il socialcomunismo materialistico e altrettanto ateo con l’enciclica Divini redemptoris.
Alla Cattedra sempiterna di Pietro era cioè chiaro il volto che
l’anticristianesimo militante, non certo una novità, assumeva in quel
momento: la somma tra i due totalitarismi di massa che avvelenavano
l’Europa e la persecuzione “liberale” americana che divorava il Messico.
Un vero peccato che oggi solo pochi ricordino il fato dei cristeros.
Eppure è un argomento di cui dovrebbe impossessarsi l’immaginario
collettivo. Pensare che nel 2011 vi è stato dedicato persino un film, Cristiada, con un cast (Andy
Garcia, Peter O’Toole, Eduardo Verástegui, Eva Longoria; musiche del
talentuoso James Horner; effetti speciali di chi ha lavorato per i
Tolkien cinematografici di Peter Jackson…) e un budget da vero kolossal, ma che forse nessuno riuscirà a vedere, dato che da mesi e mesi cerca invano un distributore [qui alcune immagini del film]. Che i poveri cristeros scamiciati e con le pezze alle ginocchia facciano ancora tremare i potenti del mondo?…
[Fonte: La Bussola Quotidiana, 4.2.12]
1926, Messico. Quando il governo mise al bando la fede
Scritto da Michael James Love e diretto da Dean Wright, Cristiada è stato dichiarato uno dei colossal più belli realizzati negli ultimi anni, con un cast di eccezione /Andy Garcia, Peter O' Toole, Eva Longoria, Catalina Sandino Moreno, Oscar Isaac. Era il 1926, quando il Messico si presentava teatro di una feroce persecuzione anticristiana ad opera di un apparato politico massonico e laicista. Dal despota Venustiano Carrenza (1917) a Plutarco Elias Celles (1924-1928), promulgatore e acceso sostenitore di una "nuova rivoluzione culturale globalizzata", si cercava a tutti i costi di estirpare dalla società i princìpi del cattolicesimo. La persecuzione, iniziata con l'introduzione di leggi che discriminavano i cristiani impedendo la professione pubblica della loro fede, ebbe il suo culmine nell'uccisione di sacerdoti, autentici e coraggiosi testimoni della fede, e nella violazione e profanazione sistematica di chiese e luoghi di culto. Alla popolazione cattolica messicana, una volta fallito il tentativo di rispondere alla persecuzione sul piano pacifico e legale, non rimase che la strada della resistenza armata. Nacquero così i cristeros, che al grido di "Evviva Cristo Re!" combatterono con eroismo, testimoniando col martirio la loro fedeltà al Vangelo. Molti di essi sono stati canonizzati e beatificati da Giovanni Paolo II (21 maggio 2000).
di Marco Respinti
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