L'Osservatore Romano
(Mons. Gerhard L. Muller) Joseph Ratzinger, da teologo, ha contribuito a dar forma e ha accompagnato il concilio Vaticano II in tutte le sue fasi. Il suo influsso si fa sentire già nella fase preparatoria, prima dell’apertura ufficiale del concilio, l’11 ottobre 1962. Egli prese parte in misura rilevante alla genesi dei più vari testi, prima a fianco dell’arcivescovo di Colonia, il cardinale Joseph Frings, e più tardi quale membro autonomo di diverse commissioni.
Nella fase della recezione, egli non si stanca di ricordare che il concilio va valutato e compreso alla luce della sua intenzione autentica. Il concilio è parte integrante della storia della Chiesa e pertanto lo si può comprendere correttamente solo se viene considerato questo contesto di duemila anni. Grazie ai suoi lavori sul concetto di Chiesa in sant’Agostino e sul concetto di Rivelazione in san Bonaventura, con i quali aveva ottenuto i gradi accademici, Joseph Ratzinger era particolarmente idoneo e preparato ad affrontare le questioni centrali poste alla Chiesa nel XX secolo. Tra queste, dopo le esperienze della guerra e di una società in profonda trasformazione negli anni Sessanta, vi era anche la crescente perdita di significato e di presenza della Chiesa nel mondo.
Nella sua prefazione al presente volume, Papa Benedetto XVI ha così descritto il compito del concilio: «La percezione di questa perdita del tempo presente da parte del cristianesimo e del compito che ne conseguiva era ben riassunta dalla parola “aggiornamento”. Il cristianesimo deve essere nel presente per potere dare forma al futuro».
Come settimo volume dell’Opera omnia, appare dunque ora la raccolta, in una sintesi di taglio cronologico e sistematico, degli scritti di Joseph Ratzinger sugli insegnamenti del concilio, giusto in tempo per il cinquantesimo anniversario del Vaticano II. Il sottotitolo del volume Formulazione, trasmissione, interpretazione desidera documentare le fasi del lavoro di Joseph Ratzinger in relazione al concilio.
Possiamo partire dall’attività di formulazione con la partecipazione di Ratzinger alle Commissioni e con il suo lavoro per il cardinale Frings. La collaborazione tra il cardinale Frings e Joseph Ratzinger, improntata a grande fiducia, emerge nelle vicende che possono essere messe in relazione con la conferenza di Genova. È da rinvenire qui anche l’origine della nomina di Ratzinger a perito e a consigliere teologico dell’arcivescovo di Colonia. Frings pregò Ratzinger di predisporre una prima stesura della conferenza che il cardinale doveva tenere a Genova il 20 novembre 1961. Ratzinger gli consegnò in poco tempo il manoscritto richiesto, che Frings giudicò talmente riuscito da assumerlo così com’era, a eccezione di una piccola modifica finale. Finanche Papa Giovanni XXIII, venuto a conoscenza della relazione dell’arcivescovo di Colonia, convocò Frings e gli disse: «Caro cardinale, Lei ha detto tutto quello che pensavo e avrei voluto dire, ma che non potevo dire»; e quando Frings con sincerità rispose che era stato il giovane professore Ratzinger a scrivere il testo, il Papa si limitò a osservare che lui stesso aveva bisogno di farsi aiutare. Sarebbe importante, continuò, trovare consiglieri giusti.
Da quel momento in poi, Frings fece esaminare tutti i testi di carattere teologico-sistematico al professore di Teologia fondamentale di Bonn.
Nel presente volume sono raccolti testi per la maggior parte inediti sino a oggi. Vi sono pareri su bozze di schemi conciliari, su bozze di discorsi di Frings poi tenuti in aula, su prese di posizione e proposte di modifica rispetto a singoli documenti del concilio, come anche pareri, esposti da Ratzinger anche in cerchie più ristrette, di fronte a vescovi e cardinali, su concrete proposte di testi.
Solo la visione d’insieme dei testi qui raccolti permetterà a molti di accorgersi chiaramente dell’intensità, della competenza e della precisione con le quali l’allora giovane professore trentacinquenne Joseph Ratzinger si mise al servizio della Chiesa e del concilio. Il concilio ha la calligrafia di Benedetto XVI.
Il 10 ottobre 1962 ci fu una conferenza nella Biblioteca del Collegio di Santa Maria dell’Anima. Ratzinger critica soprattutto la definizione di “Fonti” della Rivelazione al plurale che non sarebbe realmente in linea con la tradizione. Mette in guardia dall’approvare una dottrina controversa a livello teologico e sviluppa nei tratti fondamentali la sua concezione di Tradizione. Il cardinale Frings fa propria la critica costruttiva allo schema De fontibus dell’allora professore di Teologia fondamentale a Bonn, come attesta il suo intervento alla Congregazione generale del 14 novembre.
È stato lo stesso Joseph Ratzinger a narrare in due saggi della sua collaborazione, sin dall’inizio delle consultazioni conciliari, con il cardinale Frings, già allora quasi completamente cieco. In essi è evidente la discrezione che lo anima ed egli mette in risalto il contributo creativo proprio di Frings. Alla base di tutti e diciannove gli interventi conciliari dell’arcivescovo di Colonia in cui sono formulate questioni teologico-sistematiche, stanno bozze predisposte da Ratzinger. Per la prima volta, in questo volume esse sono accessibili al pubblico. Esse sono anche un omaggio al cardinale Frings che sempre ne integrò e sviluppò le linee fondamentali, potendo fornire così ai Padri conciliari stimoli decisivi.
Passiamo all’attività di elaborazione di Ratzinger. Dagli atti conciliari risulta la sua collaborazione a due commissioni: egli era in primo luogo membro della sottocommissione della commissione teologica che aveva il compito di elaborare i passaggi decisivi dello schema De ecclesia. Inoltre contribuì alle proposte di miglioramento dello schema De fontibus, e perciò direttamente alla costituzione dogmatica sulla Divina rivelazione Dei Verbum.
In secondo luogo Ratzinger operò efficacemente alla stesura del decreto Ad gentes, il quale ricollega di nuovo in modo forte l’attività missionaria della Chiesa alla missione del Figlio nel mondo, che trova nella Chiesa la sua prosecuzione, rendendo così evidente che la missione appartiene alla natura stessa della Chiesa.
Vi fu poi un’attività di comunicazione di Ratzinger, dedicata alla trasmissione dei contenuti. Durante il concilio, sia a Roma sia nei luoghi della sua attività scientifica a Bonn e a Münster, egli fu un interlocutore spesso richiesto per delle interviste e un conferenziere ambìto sul Vaticano II. Da questa intensa attività di trasmissione di contenuti nacquero i volumi più volte pubblicati sui quattro periodi conciliari, che offrirono al lettore tedesco utili e interessanti prospettive sul concilio. Nel settimo volume dell’Opera omnia sono incluse anche queste pubblicazioni, che aiutano a comprendere la prima attività di recezione in stretto rapporto coi singoli periodi e i diversi gruppi di lavoro del concilio. Ratzinger trasmise per così dire “di prima mano” al lettore i risultati del concilio, stimolando il dibattito e la recezione.
Dopo il Vaticano II prese avvio in tutto il mondo una fase di commento. I testi furono tradotti nelle lingue principali e consegnati al mondo scientifico. Joseph Ratzinger scrisse dei commenti alla Lumen gentium, alla Sacrosantum Concilium, alla Dei Verbum e alla Gaudium et spes. I suoi lavori, scritti tra il 1966 e il 2003 — a oggi insuperati e che ormai appartengono ai classici della teologia — sono sempre animati dal desiderio di non tradire la fonte.
Punto di partenza di tutte le sue prese di posizione sul concilio è il testo approvato nell’originale latino, dal quale emerge la volontà dei Padri nella sua forma originaria. Chiunque voglia intendere il Vaticano II deve considerare con attenzione tutte le costituzioni, i decreti e le dichiarazioni perché esse sole, nella loro unità, rappresentano la valida eredità del Concilio. E nel presente volume è adeguatamente documentato, in tutta la sua chiarezza e precisione, anche questo passo decisivo nell’accoglimento del concilio.
Nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005 che suscitò notevole interesse, Benedetto XVI mise in evidenza «l’ermeneutica della riforma nella continuità» a fronte di una «ermeneutica della discontinuità e della rottura». Joseph Ratzinger si pone così nel solco delle sue affermazioni del 1966. Questa interpretazione è l’unica possibile secondo i principi della teologia cattolica, vale a dire considerando l’insieme indissolubile tra Sacra Scrittura, la completa e integrale Tradizione e il Magistero, la cui più alta espressione è il concilio presieduto dal Successore di san Pietro come capo della Chiesa visibile. Al di fuori di questa unica interpretazione ortodossa esiste purtroppo un’interpretazione eretica, vale a dire l’ermeneutica della rottura, sia sul versante progressista, sia su quello tradizionalista. Entrambi questi versanti sono accomunati dal rifiuto del concilio; i progressisti nel volerlo lasciare dietro, come fosse solo una stagione da abbandonare per approdare a un’altra Chiesa; i tradizionalisti nel non volervi arrivare, quasi fosse l’inverno della Catholica.
“Continuità” significa la permanente corrispondenza con l’origine, non adattamento di qualsiasi cosa sia stata, che può portare anche sulla strada sbagliata. La tanto citata parola d’ordine “aggiornamento” non significa dunque “secolarizzazione” della fede, cosa che porterebbe al suo dissolvimento, ma l’origine annunciata in tempi di volta in volta nuovi, origine a partire dalla quale viene donata agli uomini la salvezza; aggiornamento significa dunque “rendere presente” il messaggio di Gesù Cristo. Si tratta, in fondo, di quella riforma necessaria in tutti i tempi in costante fedeltà al Christus totus, secondo le note parole di sant’Agostino: «Tutto Cristo, cioè il Capo e le membra. Che significano il Capo e le membra? Cristo e la Chiesa» (In Iohannis evangelium tractatus, 21, 8).
Lo stesso Vaticano II ha dichiarato che, «seguendo le orme dei concili Tridentino e Vaticano I, intende proporre la genuina dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione, affinché per l’annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami» (costituzione dogmatica Dei Verbum, 1). Il concilio non vuole annunciare alcun’altra fede bensì, in continuità con i precedenti concili, intende renderla presente.
Al di là di questo, la «Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Luca, 2, 19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio (...) Così Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell’Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza (cfr. Colossesi, 3, 16)» (ibidem, 8).
Il settimo volume delle Gesammelte Schriften fonde in unità lavori sparsi e di origine diversa, fornendo così al lettore uno strumento per comprendere e interpretare il concilio Vaticano II a partire dai suoi testi. Nella prefazione al volume, Papa Benedetto ricorda l’atmosfera che precedette l’apertura del concilio: «Era un momento di straordinaria aspettativa. Doveva accadere qualcosa di grande». Se a cinquant’anni da quell’avvenimento storico ci volgiamo indietro, si può davvero dire con convinzione che veramente “è accaduto” qualcosa di grande! Il concilio apre il cammino della Chiesa verso il futuro e si presenta come strumento fondamentale per la nuova evangelizzazione.
L'Osservatore Romano, 29 novembre 2012.
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