L’arcivescovo di Vienna, papabile fra i papabili, piace molto al mondo, al gran mondo, ma anche a quello degli strati più bassi, dove si agitano i movimenti che danno alle elite l’occasione per suscitare i cambiamenti più radicali.
E lui li accontenta entrambi, l’alto e il basso, navigando nel complicato Orbe cattolico e sui grandi mezzi di informazione fregiandosi del titolo di “allievo prediletto di Ratzinger” che però non esita a mettere in riga Roma quando serve. Eccolo dunque, quando serve, lasciarsi spacciare persino per restauratore. Ma, sempre quando serve, o quando vuole, correre in avanti dove neanche il progressismo più spinto osa avventurarsi. Se questo è un conservatore…
Persino i migliori intenzionati faticheranno a scordare la vicenda del Consiglio pastorale di Stützenhofen. Tre anni fa venne eletto come presidente del Consiglio tale Florian Stangl, omosessuale convivente con il proprio compagno. Il parroco, don Gerhard Swierzzek, si appellò all’arcivescovo sperando che lo sostenesse nella sua opposizione all’elezione. Ma Schönborn, dopo aver incontrato il signor Stangl e il suo compagno a pranzo, ha detto: “Ora capisco perché la comunità di Stützenhofen l’ha votato. E’ una persona impressionante, un uomo umile e di grande fede”. E ha aggiunto “Conosco le regole, ma so anche che Gesù è venuto per l’uomo e non per le regole. Penso che questo giovane è nel posto giusto e per questo acconsento alla sua elezione”.
Poi davanti alle telecamere, sempre per tenere insieme la passione per il gran e il piccolo mondo ha spiegato: “E’ una scelta per il popolo, non contro il popolo, alla quale ho dato il mio assenso autonomamente”. I giornali, naturalmente, hanno elogiato il “cardinale generoso” che ha deciso di “aprire la chiesa al futuro”. Una scelta in perfetto “stile pastorale” per accogliere il diverso. Peccato che non ci si sia preoccupati del destino di un parroco abbandonato dal suo vescovo. Ma questi dettagli clericali non vanno più di moda. Certo che, se un Papa dovesse comportarsi in tal modo con i vescovi, la Chiesa non si troverebbe certo in buone acque. Leggere per credere quanto il cardinale Schönborn ha detto in proposito in un’intervista successiva: “La mia è stata una ‘non decisione’, ho solo deciso di non interferire con l’elezione avvenuta. È la parrocchia che deve scegliere bene i candidati per il consiglio pastorale, in conformità con i requisiti previsti. Nel caso di cui parliamo ciò purtroppo non è avvenuto”. Una bella pezza, rosso porpora con mira al bianco, ma, come tutte le pezze, peggio del buco.
Altra mossa apprezzata dai media planetari, e quindi antiromana, è stata l’opposizione alla nomina di don Gerhard Maria Wagner a vescovo ausiliare di Linz. Era il 2009 e già montavano le polemiche sulla revoca della scomunica ai vescovi della Fraternità San Pio X. Un vescovo, sia pur ausiliare, in quota agli ultraconservatori l’episcopato austriaco, guidato dall’arcivescovo di Vienna, proprio non la volle mandare giù. E non la mandò. Roma venne costretta ad accettare la rinuncia di don Wagner. Non male per un “allievo prediletto di Ratzinger”.
Tanto più se si dà una scorsa alla lettera, pubblicata in Italia da “Jesus”, che Schönborn mandò ai preti e agli impiegati della sua arcidiocesi: “Posso immaginare che molti di voi non si sentano al meglio in questo momento. Nemmeno io. Ancora una volta siamo stati messi di fronte a circostanze che provocano dolore e indignazione. Che ci fanno scuotere la testa e sembrano incomprensibili. E ancora una volta si è fatta sembrare stupida la Chiesa, e noi stessi. Ancora una volta chiediamo: ‘È davvero necessario? Ce lo siamo meritati? Non ci deve essere risparmiato nulla?’. In un momento nel quale la Chiesa dovrebbe affrontare i problemi cruciali che ci troviamo di fronte oggi, come la crisi finanziaria e la disoccupazione, deve invece occuparsi delle polemiche su un piccolo gruppo di persone che si rifiutano di riconoscere il Concilio Vaticano II. E oltre a tutto ciò, dobbiamo affrontare il tumulto per il nuovo ausiliare di Linz. È un po’ troppo, e potrebbe lasciare spazio a un senso di disperazione”.
Può un papabile simile lasciarsi sfuggire la questione del celibato sacerdotale? Non che non può, ma lo fa dicendo e non dicendo, abbastanza per far intendere al mondo che cosa vuole ma senza suscitare il rimprovero del professore di cui fu “allievo prediletto”. Così, ed è solo un esempio, quando monsignor Paul Iby, vescovo di Eisenstadt, disse che “i preti dovrebbero essere liberi di scegliere se sposarsi o meno” e che “la Santa sede è troppo timida su tale questione”, Schönborn prese la palla al balzo speigando che “Le preoccupazioni espresse dal vescovo Iby sono le preoccupazioni di tutti noi, anche se le proposte di soluzione dei problemi sono differenti”.
Per non parlare della liturgia. E’ nota la sua insofferenza per la liberalizzazione della Messa in rito gregoriano. Ma ancor più note solo le devastazioni liturgiche di cui l’Austria è, non si può usare altro termine, teatro. E il cardinale non si limita alla tolleranza. Basta farsi un giretto fra servizi fotografici e filmati in cui lo si scorge celebrare tra luci psichedeliche, palloncini gonfiati, materia eucaristica che quanto meno lascia perplessi e agghindato in paramenti a voler essere indulgenti di dubbio gusto.
Però Schönborn è un grande fan di Medjugorje, dove è andato in visita a capodanno del 2010 per poi spiegare in un’intervista televisiva: “Bisogna chiudere gli occhi per dubitare che a Medjugorje scorrano fiumi di grazia”. In Vaticano non hanno gradito molto. In quel periodo si stava preparando una commissione d’inchiesta sulle apparizioni guidata dal cardinale Camillo Ruini. Come spiega Guido Horst, “Schönborn sapeva che era ardito andare a Medjugorje con una troupe televisiva. Ma ci è andato lo stesso perché lui è fatto così. Va oltre il consuetudinario sentendosi di poterlo fare”.
C’è poi il tema del rapporto con l’ebraismo. In Sfide per la Chiesa (ESD, 2007) Schönborn dedica un intero capitolo all’argomento. Ventiquattro pagine di confusione che si aprono con una domanda eloquente: “Il cristianesimo è una setta ebraica?”. Alla fine, il cardinale non risponde esplicitamente, ma scrive che “non c’è niente di essenziale nel cristianesimo che non abbia le proprie radici nell’ebraismo (sic)”. Il presule austriaco spiega inoltre che “siccome volevano restare fedeli a Dio, i responsabili religiosi di Israele non potevano accettare la testimonianza di Gesù di Nazareth”. Secondo Schönborn, i cristiani devono ammirare negli ebrei questa “testimonianza di fedeltà a Dio, al giogo della Torah”.
Se questo è un papabile “conservatore”, buon conclave a tutti. (Leandro Mariani)
http://www.corrispondenzaromana.it/christoph-schonborn-se-questo-e-un-conservatore/
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