Franco Bechis per "Libero"
Se il buongiorno si vede dal pre-conclave, l'attesa di una elezione a breve del successore di Benedetto XVI rischia di essere assai lunga. Anche ieri durante le congregazioni generali che si tengono sia mattino che pomeriggio, nessuno ha rischiato di fare mettere ai voti la proposta di una data entro cui iniziare il conclave. Fumata nera per l'inizio, cosa che rende ancora più ingarbugliata la strada verso la vera fumata bianca. La data del conclave non viene messa ai voti per paura che sia bocciata dai più. Magari perché la maggioranza dei cardinali pensa che non sia ancora matura la discussione.
Anche però per un timore inconfessabile: che i cardinali non sappiano votare quello che davvero desiderano. Tra le novità di quest'anno nella congregazione generale c'è quella del voto elettronico: premi un pulsante per dire sì, uno per dire no, un altro per astenerti sulla proposta. Molti cardinali più giovani e soprattutto quelli che vengono da oltre oceano se la cavano egregiamente con le tecnologie e l'elettronica. Gli italiani in genere sono un disastro, e anche alcuni europei non capiscono bene che tasto pigiare. Il rischio di un voto fasullo quindi è alto.
Ma oggi qualcuno dovrà prendere il coraggio a quattro mani e mettere ai voti una data: quella di lunedì secondo chi vuole accelerare i tempi, uno dei giorni di metà o fine settimana per chi invece pensa sia meglio parlarsi ancora e soprattutto conoscersi. Se per la data siamo al caro amico, figurarsi sulla scelta del nuovo Papa. Dopo i primi giorni delle congregazioni e soprattutto dopo i primi incontri informali fra i grandi elettori, però qualcosa si sta già delineando almeno per le prime votazioni.
Si è parlato più volte di un contrasto interno al collegio dei cardinali (in questo momento allargato anche agli ultraottantenni che però non prenderanno parte al conclave) fra curiali e anticuriali. Qualcuno ha addirittura immaginato in questo schema un'alleanza fra i due uomini che stanno guidando il pre-conclave: il cardinale camerlengo Tarcisio Bertone (segretario di Stato uscente) e il decano del collegio Angelo Sodano. Vero che i due sono uniti dall'idea di evitare un Papa eccessivamente riformatore della Curia, convinti che sia proprio quella il cemento che ha consentito la storia della Chiesa. Ma oltre questo comune interesse, nessuna alleanza.
I sodaniani stanno cercando di organizzare un gruppo di voto fin dal primo giorno del conclave per l'arcivescovo di San Paolo Odilo Pedro Scherer, che - ormai è certo - sarà uno dei candidati più citati nelle schede della prima votazione. Bertone e i suoi avrebbero potuto confluire lì, ma proprio la diffidenza originaria nei confronti di Sodano l'ha impedito. Voteranno un loro candidato di bandiera, che probabilmente sarà italiano. Secondo alcune indiscrezioni potrebbe anche trattarsi del presidente della Cei, Angelo Bagnasco.
I bertoniani partono da soli in piccolo gruppo, ma dovranno vedersela con gli altri episcopati europei e internazionali. Ormai si è fatta largamente strada la possibile candidatura di un americano, che sarà il candidato forte in prima votazione contro Scherer. Tocca agli stessi americani scegliere chi possa rappresentarli, e in questo momento sono due i «papabili»: l'arcivescovo di Boston, Sean Patrick O'Malley e quello di New York, Timothy Dolan.
Il primo è un cappuccino molto simpatico e comunicativo, ma anche molto rigido sull'etica della Chiesa: è stato fondamentale nella battaglia contro la pedofilia che aveva infestato la chiesa americana e in particolare la diocesi di Boston. Piacerebbe moltissimo ai cattolici, e ha numerosi fan sul web, che frequenta come fosse un cardinale grillino (ha un profilo Twitter usato in abbondanza e un blog che non ha lasciato privo di notizie e foto scattate con il suo telefonino anche in questo tempo).
Dolan come tutti gli americani ha la stessa simpatia e modernità di comunicazione (è anche un appassionato di baseball). È un omone forte e abbastanza giovane, con qualche sponsor in più nel collegio dei cardinali. Ha ottimi rapporti con l'arcivescovo di Milano, Angelo Scola, che è uno dei grandi azionisti del conclave (e lui stesso papabile se ai primi scontri i concorrenti si eliminano). Piace però anche ad altri. Non pochi durante la congregazione hanno riconosciuto Dolan nell'identikit fatto da uno dei vecchi cardinali più ascoltati: Camillo Ruini. Sembra quindi probabile che alla prima votazione il vero confronto sarà fra Dolan e Scherer, con altri voti sparsi e il terzo polo dei bertoniani in attesa di alleanze successive.
Uno scontro Usa-Brasile dunque, però a parti invertite rispetto alla storia. In questo caso infatti il Brasile rappresenterebbe il potere della curia, e quindi la tradizione più conservatrice, mentre gli Stati Uniti sarebbero rappresentano il ritorno alle origini della Chiesa e in qualche modo l'anti-potere. Anche per questo motivo africani e asiatici non mettono più in discussione un papabile americano, contro cui storicamente c'è sempre stato un veto «politico » interno al collegio dei cardinali. In mezzo a tante novità, potrebbe essercene una clamorosa.
Fra mercoledì pomeriggio e giovedì almeno cinque interventi hanno iniziato a disegnare l'identikit del nuovo Papa, con una richiesta esplicita: chi sarà candidato dovrà impegnarsi a non seguire le orme di Benedetto XVI, promettendo quindi o addirittura giurando che il Papa lo farà a vita escludendo dimissioni anticipate.
La preoccupazione è che questa eccezione secolare posa diventare se non la regola la prassi e rendere quindi più forti eventuali pressioni esterne sul pontefice. È possibile che oggi qualcuno chieda anche di mettere ai voti in una formula meno rigida (che non sia offensiva nei confronti del Papa emerito) questa condizione.
IL GOVERNO DI DIO COME L’ITALIA: NON HA LA MAGGIORANZA - PROSEGUONO GLI INCONTRI PRIMA DEL CONCLAVE: L’OBIETTIVO E’ ENTRARE NELLA CAPPELLA SISTINA CON IL PAPA VINCITORE - CLIMA DA GUERRA FREDDA: I CARDINALI POTREBBERO ESSERE PERQUISITI PER EVITARE SPIFFERI VIA SMARTPHONE - LA SEGRETERIA DI STATO SIGILLA LE SACRE STANZE, LA BONIFICA DALLE CIMICI E I “RESIDUATI” DI VATILEAKS - STOP AL WIRELESS E GENDARMERIA ONNIPOTENTE… - -
Giacomo Galeazzi per La Stampa
Nuova «fumata nera» per l'inizio del conclave. Anche negli interventi di ieri si sono ascoltate critiche alla gestione della Curia. Vatileaks, mancanza di coordinamento, difficoltà nei rapporti con gli episcopati sono stati al centro di alcuni interventi. A difendere la Curia è stato il sodaniano Lajolo, mentre un altro curiale (Rodè) ha condiviso le critiche. Slitta ancora l'avvio: non c'è accordo.
CARDINALE MAHONY
Ma l'americano Mahony commenta: «Congregazioni verso la fine, la data è vicina». E il francese Barbarin conferma: «Non tarderemo a decidere». Dopo le dimissioni di Benedetto XVI i porporati devono dimostrare al mondo di aver recepito il suo monito contro le «divisioni che deturpano il volto della Chiesa».
Dunque i nodi (Ior, scandali , governance) vanno sciolti prima dell'ingresso in conclave, altrimenti con ripetute votazioni a vuoto si darebbe al mondo un'immagine di scarsa unitarietà d'intenti e di visione. «I mass media abbondano di papabili dai nomi esotici, ma poi chi li vota?» sorride il curiale italiano davanti alla Basilica di San Pietro.
Non si sa ancora quando comincerà il conclave ma il recinto dell'elezione pontificia (cappella Sistina e residence Santa Marta) è da giorni «sotto bonifica». Si vuole scongiurare il ripetersi dello «strappo» del 2005 quando un cardinale tedesco riuscì a comunicare all'esterno l'elezione di Joseph Ratzinger permettendo a una tv in Germania di dare l'annuncio prima dell'«Habemus Papam» del protodiacono.
JOSEPH RATZINGER PAPA BENEDETTO XVI
Per questo verrà attivata la «gabbia di Faraday», un sofisticato dispositivo in grado di disturbare le trasmissioni delle cimici. Contro il furto di documenti i Sacri Palazzi sono infestati di microspie. Il conclave ai tempi di Vatileaks è anche un gioco di specchi tra quelli che hanno messo le cimici e quelli che debbono rimuoverle. Occorre conciliare due esigenze: la sicurezza della Curia e la segretezza dell'elezione pontificia. In Segreteria di Stato spiegano che è «come per la conversione post-bellica». La caccia ai «corvi» ha legittimato misure eccezionali che in sede vacante si rivelano una minaccia alla riservatezza.
LA CAPPELLA SISTINA JPEG
Un apparato «pesante» da «tempi di guerra» che ora va riadattato alla delicatissima fase «pacifica» della scelta del Pontefice. Già adesso è schermata l'Aula del Sinodo dove si svolgono gli incontri pre-conclave per impedire l'utilizzo dei cellulari ed è stata disattivata la rete wireless al punto da provocare il black out comunicativo nelle vicine postazioni-stampa. Durante l'elezione pontificia sarà sorvegliato il percorso degli elettori tra Santa Marta e la Cappella Sistina e si sta pensando anche alla loro perquisizione. Il rischio è una fuga di notizia anche con mezzi informatici o tecnologici.
PAPA RATZINGER PADRE GEORG PAOLO GABRIELE JPEGCARDINALE ANGELO SODANO
A tutte le persone (laici ed ecclesiastici) che stanno allestendo il seggio elettorale più prestigioso del mondo viene richiesto il giuramento di segretezza. Intanto nelle congregazioni ci sono alcune eminenze interessate a capire il ruolo della Gendarmeria, che ha assunto un notevole rilievo rispetto al passato e che è per questo oggetto di accuse che i dirigenti del corpo definiscono calunnie. In risposta alla crisiVatileaks, la polizia pontificia ha acquisito poteri di controllo, intercettazione e pedinamenti: alle dirette dipendenze del segretario di Stato e della segreteria particolare del Papa.
Nel sacro collegio si riconosce alla Gendarmeria il merito di aver efficacemente condotto le indagini che hanno portato alla sbarra Gabriele e Sciarpelletti, però adesso si vogliono rassicurazioni. L'apparato di sicurezza non deve tramutarsi in un «grande occhio» che tolga «privacy» ai momenti (necessariamente discreti) precedenti l'elezione pontificia.
CARDINALE TARCISIO BERTONE
Con l'arrivo del vietnamita Pham Minh Man tutti i 115 conclavisti attesi sono arrivati a Roma. Non ci sono più impedimenti all'anticipo del conclave autorizzato dal Motu proprio. Però la Curia non vuole più dare l'impressione di affrettare i tempi. Non si trovano le fila per produrre candidature «forti» con un serbatoio già consistente di voti. E si rinvia la decisione sulla data. A Santa Maria Maggiore è cominciato il triduo di messe «Pro Eligendo Pontifice».
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/il-governo-di-dio-come-litalia-non-ha-la-maggioranza-proseguono-gli-incontri-prima-52089.htm
- UOTZAMERICAN PAPA - L’IDEA DI UN PONTEFICE AMERICANO E DECISIONISTA COME TIMOTHY DOLAN SPAVENTA I ‘CURIALI’ CHE VOGLIONO UN PONTEFICE DEBOLE, CHE LASCI SPAZIO DI MANOVRA - ECCO PERCHÉ BERTONE E I SUOI LANCIANO IL BRASILIANO SCHERER, CON L’ARGENTINO SANDRI SEGRETARIO DI STATO - MA IL VESCOVO DI NEW YORK O IL COLLEGA DI BOSTON O’MALLEY RISCUOTONO CONSENSI TRA QUELLI CHE VOGLIONO IMPRIMERE ALLA CHIESA UNA SCOSSA “PRAGMATICA”… -
Sandro Magister per "l'Espresso"
La scommessa più facile è che il prossimo papa non sarà italiano. Ma nemmeno europeo, africano, asiatico. Per la prima volta nella bimillenaria storia della Chiesa il successore di Pietro potrebbe venire dalle Americhe. O a voler azzardare una previsione più mirata: dalla Grande Mela.
TIMOTHY DOLAN ARCIVESCOVO DI NEW YORK JPEGLa scommessa più facile è che il prossimo papa non sarà italiano. Ma nemmeno europeo, africano, asiatico. Per la prima volta nella bimillenaria storia della Chiesa il successore di Pietro potrebbe venire dalle Americhe. O a voler azzardare una previsione più mirata: dalla Grande Mela.
Timothy Michael Dolan, arcivescovo di New York, 63 anni, è un omone del Midwest dal sorriso radioso e dal vigore straripante, proprio quel «vigore sia del corpo che dell'animo» che Joseph Ratzinger ha riconosciuto di aver perduto e ha definito necessario per il suo successore, al fine di bene «governare la barca di Pietro e annunciare il Vangelo».
Nell'atto di rinuncia di Benedetto XVI c'era già il titolo del programma del futuro papa. E a molti cardinali tornò presto in mente la vivacità visionaria con cui Dolan sviluppò proprio questo tema, col suo italiano «primordiale», parola sua, ma scintillante, nel concistoro di un anno fa, quando egli stesso, l'arcivescovo di New York, si apprestava a ricevere la porpora.
ODILO PEDRO SCHERER JPEG
Fu un concistoro molto criticato, quello del febbraio 2012. Da settimane, documenti scottanti prendevano il volo dalle stanze vaticane e persino dalla riservatissima scrivania del papa per rovesciare in pubblico avidità, contrasti, malefatte di una curia alla deriva. Eppure, tra i nuovi cardinali creati da Benedetto XVI, un buon numero erano italiani, erano di curia e, peggio, erano legati a filo doppio al segretario di Stato, Tarcisio Bertone, universalmente ritenuto il principale colpevole del malgoverno.
CARDINALE TARCISIO BERTONE
Ratzinger aggiustò il tiro qualche tempo dopo, in novembre, con altre sei nomine cardinalizie tutte extraeuropee, compresa quella dell'astro nascente della Chiesa d'Asia, il filippino con madre cinese Luis Antonio Gokim Tagle. Ma la frattura rimaneva intatta. Da una parte i feudatari di curia, in strenua difesa dei rispettivi centri di potere. Dall'altra l'ecumene di una Chiesa che non tollera più che l'annuncio del Vangelo nel mondo e il luminoso magistero di papa Benedetto siano oscurati dalle tristi narrazioni della Babilonia romana.
È la stessa frattura che caratterizza l'imminente conclave. Dolan è il candidato tipo che rappresenta la svolta purificatrice. Non l'unico ma certamente il più rappresentativo e audace. Sul fronte avverso, però, i magnati di curia fanno muro e contrattaccano. Non spingono avanti qualcuno di loro, sanno che così la partita sarebbe persa in partenza. Fiutano l'aria che tira nel collegio cardinalizio e puntano anch'essi lontano da Roma, al di là dell'Atlantico, non al nord ma al sud dell'America.
Guardano a San Paolo del Brasile, dove c'è un cardinale nato da emigrati tedeschi, Odilo Pedro Scherer, 64 anni, che in curia conoscono bene, che è stato per anni a Roma a servizio del cardinale Giovanni Battista Re, quando questi era prefetto della congregazione per i vescovi, e che oggi fa parte del consiglio cardinalizio di vigilanza sullo Ior, la "banca" vaticana, riconfermato pochi giorni fa, con Bertone suo presidente.
CARDINAL RE
Scherer è il candidato perfetto di questa manovra tutta romana e curiale. Non importa che in Brasile non sia popolare, nemmeno tra i vescovi, che chiamati ad eleggere il presidente della loro conferenza, due anni fa, lo bocciarono senza appello. Né che non brilli come arcivescovo della grande San Paolo, capitale economica del Paese.
PAPA RATZINGER BENEDETTO
L'importante, per i magnati curiali, è che sia docile e grigio. L'aureola progressista che ammanta la sua candidatura è di derivazione puramente geografica, ma giova anch'essa per accendere in qualche ingenuo porporato il vanto di eleggere il "primo papa latinoamericano".
Come nel conclave del 2005 i voti dei curiali e dei sostenitori del cardinale Carlo Maria Martini si riversarono assieme sull'argentino Jorge Bergoglio, nel tentativo fallito di bloccare l'elezione di Ratzinger, anche stavolta potrebbe avvenire un analogo connubio. Curiali e progressisti uniti sul nome di Scherer, con quel pochissimo che resta degli ex martiniani, da Roger Mahony a Godfried Danneels, entrambi oggi sotto tiro per la cedevole loro condotta nello scandalo dei preti pedofili.
Il papa che piace ai curiali e ai progressisti è per definizione debole. Piace ai primi perché li lascia fare. E ai secondi perché dà spazio al loro sogno di una Chiesa "democratica", governata "dal basso". Non deve stupire che un esponente di grido del cattolicesimo progressista mondiale, lo storico Alberto Melloni, abbia auspicato sul "Corriere della Sera" del 25 febbraio che dal prossimo conclave esca non un «papa sceriffo» ma «un papa pastore», abbia deriso il cardinale Dolan e abbia indicato proprio in quattro magnati di curia i cardinali a suo giudizio più «capaci di comprendere la realtà» e di determinare «l'esito effettivo del conclave»: gli italiani Giovanni Battista Re, Giuseppe Bertello, Ferdinando Filoni «e ovviamente Tarcisio Bertone».
CARDINALE SEAN PATRICK O MALLEY
Cioè esattamente quelli che stanno orchestrando l'operazione Scherer. Ai quattro andrebbe aggiunto l'argentino di curia Leonardo Sandri, del quale si fa correre voce che sarà il futuro segretario di Stato. Per una curia siffatta, la sola ipotesi dell'elezione di Dolan è foriera di terrore. Ma Dolan papa imprimerebbe una scossa anche a quella Chiesa fatta di vescovi, di preti, di fedeli che non hanno mai accettato il magistero di Benedetto XVI, il suo ritorno energico agli articoli del "Credo", ai fondamentali della fede cristiana, al senso del mistero nella liturgia.
Dolan è, nella dottrina, un ratzingeriano a tutto tondo, con in più la dote del grande comunicatore. Ma lo è anche nella visione dell'uomo e del mondo. E nel ruolo pubblico che la Chiesa è chiamata a svolgere nella società. Negli Stati Uniti è alla testa di quella squadra di vescovi "affermativi" che hanno segnato la rinascita della Chiesa cattolica dopo decenni di soggezione alle culture dominanti e di cedimenti al dilagare degli scandali.
MARC OUELLET
In Europa e nel Nordamerica, cioè nelle regioni di più antica ma declinante cristianità, non esiste oggi una Chiesa più vitale e in ripresa di quella degli Stati Uniti. E anche più libera e critica rispetto ai poteri mondani. È svanito il tabù di una Chiesa cattolica americana che si identifica con la prima superpotenza mondiale, e quindi non potrà mai esprimere un papa.
Anzi, ciò che stupisce di questo conclave è che gli Usa offrono non uno, ma addirittura due "papabili" veri. Perché oltre a Dolan c'è l'arcivescovo di Boston, Sean Patrick O'Malley, 69 anni, con saio e barba da bravo frate cappuccino. Il suo appartenere all'umile ordine di san Francesco non è d'ostacolo al papato né è senza precedenti illustri, perché anche il grande Giulio II, il papa di Michelangelo e di Raffaello, era francescano.
Ma ciò che più conta è che Dolan e O'Malley non sono due candidati tra loro contrapposti. I voti dell'uno possono convergere sull'altro, se necessario, perché sono entrambi portatori di un unico disegno. Rispetto a Dolan, O'Malley ha un profilo meno risoluto per quanto riguarda le capacità di governo. E ciò potrebbe renderlo più accettabile ad alcuni cardinali, consentendo a lui di varcare quella soglia decisiva dei due terzi dei voti, 77 su 115, che potrebbe essere invece preclusa al più energico, e quindi molto più temuto, arcivescovo di New York.
Lo stesso ragionamento si potrebbe applicare a un terzo candidato, il cardinale canadese Marc Ouellet, anche lui di salda matrice ratzingeriana e ricco di talenti simili a quelli di Dolan e O'Malley, ma ancor più incerto e timido di quest'ultimo nelle decisioni operative. In un conclave che sul riordino del governo della Chiesa punta molte sue aspettative, la candidatura di Ouellet, pur presa in considerazione dai cardinali elettori, appare la più debole fra le tre nordamericane.
Col suo guardare da Roma al di là dell'Atlantico, l'imminente conclave prende atto della nuova geografia della Chiesa. Il cardinale Ouellet è stato da giovane missionario in Colombia. Il cardinale O'Malley parla alla perfezione spagnolo e portoghese e ha sempre avuto come sua attività preminente la cura pastorale degli immigrati ispanici. Il cardinale Dolan è il capo dei vescovi di un Paese che ha raggiunto le Filippine al terzo posto per numero di cattolici, dopo Brasile e Messico.
E sono "latinos" un terzo dei fedeli degli Stati Uniti, anzi, già la metà tra quelli sotto i 40 anni. Non sorprende che i cardinali dell'America latina siano pronti a votare questi confratelli del nord. E con loro altri porporati di peso: l'italiano Angelo Scola, l'arcivescovo di Parigi André Vingt-Trois, l'australiano George Pell. Chiuse le porte del conclave, nel primo scrutinio potrebbero cadere su Dolan già molti voti, non i 47 di Ratzinger nella prima votazione del 2005, ma pur sempre parecchi. Il seguito è ignoto.
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