ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 21 aprile 2013

Fuori dalla Chiesa visibile?


di Don Benoît Storez, FSSPX

Editoriale del Priore del Priorato Saint Nicolas di Nancy, della Fraternità San Pio X in Francia, pubblicato sul bollettino Le Belvédère.


«Voi non siete in piena comunione, voi siete fuori dalla Chiesa!»
Ecco l’arma fatale, l’argomento definitivo spesso ribadito come ultima risorsa contro la Fraternità San Pio X e i suoi fedeli.
È un’accusa molto grave, poiché «fuori dalla Chiesa non c’è salvezza»; essa non può essere trascurata con un gesto della mano ed è necessario esaminarla con cura, a costo di superare la lunghezza abituale di questo editoriale.

La storia della Chiesa mostra come tutti gli eretici e altri falsificatori del Vangelo abbiano preteso di ritornare alla purezza del messaggio di Gesù Cristo. Come dunque conoscere con certezza se si è nella Chiesa di Dio e non si è caduti vittime di una contraffazione?
Il principio è semplice, lo dichiariamo nel Credo: «Credo… nella Chiesa, una santa, cattolica, apostolica».
Questi quattro termini sono quattro segni, quattro marchi dai quali si può riconoscere con certezza la vera Chiesa di Dio. La Provvidenza non ha voluto abbandonarci ai flutti del mondo senza fornirci dei fari, dei ripari visibili sui quali fidare.
Così, per distinguere la vera Chiesa dalla moltitudine di credenze ispirate dal padre della menzogna, bisogna verificare se in essa si ritrovano i quattro marchi seguenti:
- essa è una per l’unità della fede, di culto e di governo,
- essa è santa per il suo fondatore, la sua dottrina, la sua morale e i suoi frutti,
- essa è cattolica, cioè universale, diffusa nel mondo intero, adattata a tutti gli uomini e a tutte le culture,
- essa è apostolica, fondata sugli Apostoli da cui ha ricevuto dottrina e autorità.

La Chiesa è una, e questa unità è caratterizzata dal fatto che l’insieme dei fedeli battezzati, sotto l’autorità di uno stesso capo, professano la stessa fede e praticano lo stesso culto in vista della salvezza eterna. Questa unità si estende, non solo a tutti i luoghi, ma anche a tutti i tempi: la Chiesa attraversa i secoli e si adatta a tutte le epoche, restando identicamente la stessa.
La fede di ieri deve riconoscersi nella fede di oggi, come il culto di ieri deve riconoscersi nel culto di oggi, e questo sotto l’autorità del Sommo Pontefice, la cui azione prosegue quella dei suoi predecessori.
La nostra cappella, cari fedeli,  si incorpora in questa unità. La dottrina che vi si insegna è la dottrina della Chiesa, senza alterazioni né cambiamenti, quella stessa dottrina che è stata predicata da Nostro Signore, dagli Apostoli, dai Padri della Chiesa, dai papi e da tutti i concilii fino al Vaticano I.

Sfortunatamente non si può dire altrettanto di quelle cappelle dove si sente spiegare che ci si può salvare in tutte le religioni, che l’inferno è vuoto, che l’importante è essere sinceri, che la fede è un sentimento religioso o che la Verginità di Maria non dev’essere intesa alla lettera. Ma se non bisogna più prendere alla lettera i dogmi, cosa rimane della fede cattolica?
Non è la Chiesa che parla cosi.

Anche il culto che noi celebriamo e vogliamo conservare ad ogni costo è il culto di sempre.
In seno alla Tradizione, cambiano le cappelle, cambiano i sacerdoti, ma non si può cambiare il culto: la Messa è dappertutto lo stesso omaggio reso dalla Chiesa al Creatore.
La storia della Chiesa ci insegna che nel passato vi sono state delle riforme, ma mai una rivoluzione. Dei Pontefici hanno operato per restaurare la liturgia, ma mai per cambiarla radicalmente: mai s’è vista una nuova Messa, un nuovo modo di amministrare i sacramenti, una nuova liturgia, perché questo avrebbe danneggiato l’unità del culto, come invece si vede oggi. E questo è aggravato dalla flessibilità straordinaria concessa da questa nuova liturgia: si può scegliere l’epistola, il Vangelo, un buon numero di preghiere e perfino il canone della Messa. Dov’è l’unità del culto in una riforma simile? Cambiando paese, regione, perfino cappella, ecco che la Messa cambia, è celebrata in maniera diversa.
Chi ha dunque rotto l’unità?
Ma a questo ci si sente rispondere: «Siete voi che rompete l’unità perché non rispettate il Papa», e poi arriva come una frustata l’ingiuria suprema: «Siete scismatici».
Cosa grave! Infatti lo scisma è direttamente in opposizione all’unità della Chiesa, per il fatto che rompe l’unità di governo. Così, nel 1054, gli ortodossi hanno lasciato la Chiesa di Dio quando hanno preteso che l’autorità del Papa fosse circoscritta all’Occidente, i patriarchi d’Oriente non dipendono dalla sua giurisdizione.
Ma mai la Fraternità ha preteso una cosa simile. Il Papa, vescovo di Roma, ha autorità universale e tutti gli devono obbedienza.
Noi riconosciamo l’autorità del Pontefice romano, successore di Pietro e Vicario di Cristo.
E tuttavia vi è una precisazione importante da fare: l’obbedienza verso un uomo, quale che sia la sua autorità, è sempre inquadrata nei limiti di questa stessa autorità e sottomessa agli imperativi della legge di Dio. Questa precisazione fonda una distinzione che può essere esposta al meglio citando la famosa dichiarazione dottrinale di Mons. Lefebvre del 1974:
«Noi aderiamo con tutto il cuore e con tutta l'anima alla Roma cattolica custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie al mantenimento della stessa fede, alla Roma eterna, maestra di saggezza e di verità.
Noi rifiutiamo, invece, e abbiamo sempre rifiutato di seguire la Roma di tendenza neo-modernista e neo-protestante che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne sono scaturite.»
Ecco qual è la nostra posizione, e rifiutando di seguire quella voce discordante, che non è quella del Buon Pastore, noi non rompiamo affatto l’unità.
Al contrario, sono i promotori di questo nuovo orientamento, che predicano una nuova dottrina, celebrano un nuovo culto, stabiliscono un nuovo Diritto Canonico, insegnano un nuovo catechismo, sono questi novatori che rompono l’unità e rinnegano venti concilii dottrinali (e non semplicemente pastorali), duecentosessanta papi, l’unanimità dei Padri della Chiesa e l’intera Sacra Scrittura.
No, la nostra fedeltà alla Tradizione non rompe l’unità della Chiesa, ma la preserva, mantenendola radicata nella sua immutabile Tradizione ricevuta da Nostro Signore.

La Chiesa è santa: santa per il suo fondatore, santa per la sua dottrina, santa per la sua morale e infine santa per i suoi frutti.
Non è neanche necessario sviluppare il primo punto, tanto esso è evidente. «Chi tra voi potrà convincermi di peccato», gridava Nostro Signore in faccia ai suoi nemici, e nessuno di essi raccolse questa sfida formidabile.
La Chiesa cattolica è stata fondata da Colui che è il riferimento assoluto di ogni santità.
La dottrina che ha insegnato Nostro Signore è santa, soprannaturale, divina.
Gesù Cristo è venuto a rivelare Dio agli uomini e non l’uomo all’uomo.
La morale che ha predicato è santa, invita l’uomo a santificarsi e ad elevarsi al di sopra della sua condizione umana, per divinizzarsi per mezzo della grazia di Dio. Morale esigente, certo, che impone sacrifici e rinunce, ma morale entusiasmante. Dio stesso ci invita a seguirlo sulle vette della perfezione: «Siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro».
Di fatto, essa produce frutti di santità. Anche se, purtroppo, non tutti i suoi figli sono dei santi, tutt’altro, questo non impedisce che coloro che seguono la sua voce progrediscano nella virtù, realmente si santifichino, fino al punto che i migliori di essi meritano di essere citati ad esempio con la canonizzazione.
Ecco la santità della Chiesa, nella sua fonte, nel suo insegnamento, nelle sue opere.

Ma da dopo il Concilio, quale cambiamento!
Dov’è la nota di santità in queste cappelle dove ci si occupa così tanto dell’uomo e così poco di Dio?
Qual è elevazione prodotta da questa dottrina naturale e naturalista che si sente così spesso fluire da certe cattedre? Dio è il grande assente in un buon numero di predicazioni moderne, dove si sente parlare di disuguaglianza sociale e di fame nel mondo molto di più che di Gesù Cristo.
Dov’è la santità in questa morale relativista che si sente predicare oggi, morale che minimizza il peccato e si mostra talmente comprensiva col peccatore da dimenticare di esortarlo alla conversione, col pretesto che Dio è amore.
E d’altronde non vi è più il peccato, secondo molti, poiché in tanti ambiti si vedono i confessionali abbandonati, immersi nel silenzio e coperti di polvere.

Per contro, che si vede nella Tradizione? Niente di originale, ma semplicemente ciò che la Chiesa fa da tantissimo tempo, ciò che ha prodotto frutti di santità nel passato e ancora ne porta oggi in chi vuol mettere in pratica i consigli della Chiesa.

La Chiesa è cattolica: cioè universale. «Andate, istruite tutte le azioni». Nostro Signore, venuto in terra per salvare tutti gli uomini, vuole che tutti prendano parte alla salvezza entrando nella Chiesa. All’epoca era una novità assoluta: i culti erano locali, e ogni nazione, ogni cultura aveva il suo. La Chiesa invece non ha nazione, essa supera tutte le differenze, trascende tutte le culture, si adatta a tutti i paesi senza rinnegare la sua intrinseca unità. Si trattava di una connotazione talmente nuova, talmente propria della Chiesa di Dio, che per indicarla si instaurò l’abitudine di chiamarla “Chiesa cattolica”.
Ma oggi, le diverse credenze sono viste, in generale, come trascendenti le differenze di popoli e culture. Il demonio ha capito che non attirava più gli uomini con gli errori localizzati, come accadeva un tempo con gli dei di questo o quel paese. Così, le false religioni che egli suscita oggi sono anch’esse universali, al punto che questo marchio, nonostante si trovi sempre pienamente nella vera Chiesa di Dio, da sola non basta più a distinguerla chiaramente da tutto il resto.

La Chiesa è apostolica: è stata fondata dagli Apostoli che sono stati scelti da Dio per essere le colonne della Chiesa. Per tre anni, Nostro Signore li ha formati, perché dopo la Sua Ascensione potessero insegnare la Verità, santificare le anime e governare il gregge che aveva acquistato col Suo Sangue.
La Chiesa prolunga questa missione originaria, perpetua attraverso i secoli l’opera di salvezza realizzata da Gesù Cristo e da Lui affidata agli Apostoli.
La Chiesa è apostolica: la dottrina che insegna le viene dagli Apostoli. Essa l’ha ricevuta come un deposito sacro e deve conservarla fedelmente seguendo la consegna di San Paolo: «E tu, Timoteo, conserva il deposito». Ogni generazione riceve dalla precedente questo deposito divino, deve difenderlo e trasmetterlo alla generazione successiva.
Poiché questa trasmissione fedele è inseparabile dall’apostolicità della Chiesa, ne consegue che la Chiesa non può rompere col suo passato senza smettere di essere apostolica, senza rinnegare se stessa.
La Chiesa è una Tradizione, essa vive della trasmissione dell’eredità ricevuta dagli Apostoli, conservata con cura, sviluppata ed esplicitata dal Magistero, sempre alla luce dell’insegnamento costante della Chiesa e degli Apostoli. La Chiesa è tradizionale perché è apostolica.

Ciò posto, in che modo saremmo fuori dalla Chiesa, noi che vogliamo propriamente conservare ciò che la Tradizione venuta dagli Apostoli ci ha trasmesso?
In che modo saremmo fuori dalla Chiesa, noi che vogliamo preservare l’unità della Chiesa mantenendola radicata nella Tradizione?
In che modo saremmo fuori dalla Chiesa, noi che ci rifiutiamo di tollerare che si desacralizzi la liturgia, che si svilisca la sovrana autorità di Cristo Re, che in nome dell’ecumenismo si lasci credere che tutte le religioni porterebbero a Dio, che si organizzino ad Assisi dei pubblici peccati contro il primo Comandamento?
In una parola, in che modo saremmo fuori dalla Chiesa, noi che giustamente vogliamo difenderla contro le perfide novità e vogliamo mantenerla nella sua unità, nella sua santità, nella sua cattolicità e nella sua apostolicità?

La voce della Chiesa è la voce degli Apostoli, quella stessa voce santa e sanificante che si fa ascoltare in una perfetta unità da duemila anni. Noi vogliamo continuare ad ascoltare questa voce e farla ascoltare ai fedeli. San Paolo ci ha avvertiti: se fosse diffuso un altro Vangelo, foss’anche da un Angelo di Dio, noi non dovremmo crederci.
E questa fedeltà ha valso a Mons. Lefebvre l’infamia di una scomunica ingiustificata. «Giudicate secondo giustizia e non secondo le apparenze» diceva Nostro Signore ai Farisei.

Come potremmo essere puniti davanti a Dio quando noi vogliamo solo seguire la voce della Chiesa, fare ciò che la Chiesa ha sempre fatto, e trasmettere ai nostri figli ciò che noi stessi abbiamo ricevuto?
Questa fedeltà ci ha valso l’essere trattati come paria, cacciati dai santuari costruiti peraltro da dei cattolici per servire il culto cattolico. È stato necessario trasformare dei garage in cappelle, ricostruire scuole e seminari, e la crisi, lungi dal finire, sembra aggravarsi di più.
Questa prova del tempo è la più difficile.
Bisogna lasciarsi andare alla disperazione? Non sia mai. In alto i cuori!

La Chiesa è divina: un giorno essa uscirà dalla tomba, uscirà da questa crisi, più forte e più bella di un tempo. Un giorno la luce brillerà nuovamente a Roma e questa luce illuminerà il mondo intero.

Nell’attesa di questo giorno benedetto, non lasciamoci turbare: checché si dica di noi, noi siamo membri della Chiesa di Dio, di questa Chiesa visibile e concreta, facilmente riconoscibile da tutti per mezzo dei suoi quattro marchi. E poiché noi ne facciamo parte pienamente, è impossibile venirci a dire che dobbiamo rientrarvi.

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