ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 13 maggio 2013

Confiteor sine iPod nec twitter, prima dei dimissionari..


L’Italia torna a confessarsi in Chiesa come dal terapeuta

Punto di rottura. O nuovo inizio. Da un anno a questa parte le chiese italiane, in testa i santuari
mariani, registrano un fenomeno che pare senza sosta: il ritorno della confessione. Uomini, donne,
soprattutto quaranta-cinquantenni, tornano a inginocchiarsi davanti a un sacerdote che, come scrisse
nel XIII secolo il chierico inglese Tommaso di Chobham, «siede nel confessionale come Dio e non
come uomo».
Tornano a chiedere perdono perché — spiega il padre gesuita Francesco Occhetta —vedono soltanto in questo sacramento l’appiglio per rompere col passato, per ricominciare daccapo,fare nuova la propria esistenza». Non si tratta, dunque, di mera espiazione delle colpe. Anche, ma non solo. Né di trovare «una nuova etica» dentro il vivere quotidiano. Si tratta, soprattutto, «di cambiare cammino una volta per tutte». Spesso, dice Occhetta, «i peccati sono dolori che macerano nel profondo. Aborti mai confessati, ad esempio. Il sacramento permette di ricominciare, nonostante il dolore permanga. Ma i peccati sono diversi. E oggi, come secoli fa, è sempre il decalogo a essere disatteso». Dice monsignor Gianfranco Girotti, per anni numero due della Penitenzieria apostolica:
«Al di là delle colpe gravi del passato — fra questi anche i tradimenti, le menzogne pronunciate a
danno di altri, i torti comminati con l’intento di ferire e fare male — i fedeli cadono principalmente
sui sette vizi capitali. È così da sempre: superbia, avarizia, lussuria (qui c’è la dedizione al piacere e
al sesso), l’invidia, la gola, l’ira, e l’accidia (che non è depressione, quanto lasciarsi andare al
torpore dell’animo fino a provare fastidio per le cose spirituali) albergano nella maggior parte delle
confessioni di oggi».
Ancora prima dell’elezione al soglio di Pietro di José Mario Bergoglio, le chiese italiane hanno
registrato un aumento di persone che chiedono di confessarsi attestabile circa intorno al venti per
cento. Numeri certi non esistono, perché non esistono registri in merito nelle diocesi. Lo scorso
febbraio, però, Civiltà Cattolica — la storica rivista italiana dei gesuiti — chiudeva un numero con
un articolo intitolato proprio “Il ritorno della confessione”. Lo spunto era l’aumento dei penitenti
riscontrato nelle principali basiliche romane, e insieme nei santuari italiani.
Un aumento circoscrivibile all’ultimo anno, visibile a occhio nudo semplicemente contando le ore
che i confessori hanno dovuto trascorrere chiusi all’interno dei confessionali. «La crisi economica è
anzitutto crisi di valori», spiegano i gesuiti della Chiesa del Gesù, in centro a Roma. «Viviamo in
una società in cui manca la figura del padre. Negli ultimi mesi la sofferenza causata da questo vuoto
si è acuita inesorabilmente. E i nostri confessionali sono tornati a riempirsi. Dietro questo fenomeno
c’è una nuova domanda di spiritualità. La domanda preme, finché rompe gli argini e implora
risposte». Point break, lo chiamano i surfisti. «Il punto di rottura di un’anima alla ricerca di Dio», la
definisce padre Occhetta.
Dice san Gregorio di Narek, poeta, monaco, teologo e filosofo mistico armeno che «anche nella più
oscura cisterna, brucia sempre una piccola fiamma. Voluta da Dio». È questa fiamma che spinge a
uscire di casa e a entrare in un confessionale. Ma per dire cosa? Quali i peccati ricorrenti? La
risposta non è semplice. Qualche giorno fa Papa Francesco ha ricordato che il confessionale «non è
una lavanderia». Molti, evidentemente, la usano così. Un luogo in cui lavare le proprie colpe
indicando uno dopo l’altro quali dei dieci comandamenti sono stati disattesi. «Tante volte — dice
Bergoglio — pensiamo che andare a confessarci è come andare in tintoria per pulire la sporcizia sui
nostri vestiti. Ma Gesù nel confessionale non è una tintoria. Confessarsi è un incontro con Gesù, ma
con questo Gesù che ci aspetta, ma ci aspetta come siamo».
Non per tutti confessarsi è smacchiare i vestiti sporchi in una tintoria a gettoni. Esiste anche una
tendenza opposta: la confessione come se fosse una seduta di analisi dallo psicologo.
Scrisse anni fa in merito più pagine monsignor Mario Canciani, ai tempi confessore di Giulio
Andreotti, spiegando che i penitenti parlano soprattutto di «stress, impazienza e depressione». Dice:
«Quasi ne chiedono scusa. Senza rendersi conto che non sono peccati».Ancora Girotti spiega che «sempre più il confessionale viene usato come luogo in cui parlare di sé,
dei propri problemi, in effetti un po’ come se si fosse a una seduta di analisi. Ma al di là di questi
casi, e ai casi di coloro che confessano i peccati che potremmo impropriamente definire “classici”,
noto che si offende Dio anche per altre vie, ad esempio con azioni di inquinamento sociale,
rovinando l’ambiente, compiendo esperimenti scientifici moralmente discutibili. Per non dire poi
della sfera dell’etica pubblica dove pure entrano in gioco nuovi peccati come la frode fiscale,
l’evasione, la corruzione». Ma qual è il peccato più confessato? Girotti non ha dubbi: «Sempre lui,
il peccato contro il sesto comandamento: non commettere atti impuri. La sfera sessuale sembra
essere quella più difficile da domare, o forse rode la coscienza più di altre offese». Lo disse ancora
Canciani: «Al di là di tutto, il peccato più disatteso resta quello relativo al sesto comandamento. È
un peccato che si riferisce alla vita privata della gente. In questo campo, purtroppo, si nota un
distacco tra ciò che insegna la Chiesa e il disordine nel quale vivono tante persone. Mi riferisco
quindi non solo alla sfera sessuale, ma anche ai divorziati o a situazioni familiari complesse. La
Chiesa deve però accogliere tutti con amore».
Recentemente il Centro Studi sulle Nuove Religioni ha pubblicato un’indagine sul sacramento della
penitenza a seguito dell’elezione di Papa Francesco. L’insistenza del Papa sulla parola
«misericordia» ha spinto molti a tornare a confessarsi, in scia al trend precedente all’elezione. Fra
questi, dice l’indagine, tante coppie per la Chiesa «irregolari » che spinte dal “fuoco” di Bergoglio
si sono decise per un nuovo cammino.
Aumentano i penitenti, certo, ma diminuiscono i confessori. La crisi di vocazioni sacerdotali rischia
sempre più di far sì che la Chiesa non sappia rispondere alla domanda. Così, in alcune diocesi, c’è
chi abbozza nuove soluzioni. Una di queste, molto discussa ma prevista dal canone 961 del codice
di diritto canonico, è l’assoluzione a più penitenti insieme senza la previa confessione individuale. Il
codice dice che essa non può essere impartita se non vi sia imminente pericolo di morte e al
sacerdote o ai sacerdoti non basti il tempo per ascoltare le confessioni dei singoli penitenti. Insieme,
può essere concessa se «vi sia grave necessità, ossia quando, dato il numero dei penitenti, non si ha
a disposizione abbondanza di confessori per ascoltare, come si conviene, le confessioni dei singoli
entro un tempo conveniente». La pratica comunitaria nacque in Belgio, nel 1947-48, in una comune
parrocchia di operai. Durante la messa i fedeli, su invito del sacerdote, riflettevano sui propri
peccati, se ne pentivano e venivano collettivamente assolti. Poi il Concilio Vaticano II ricalibrò la
spinta, ribadendo che la confessione auricolare resta l’unica via di remissione dei peccati gravi. Ma
intanto il ritorno alla confessione individuale da parte di molti fedeli lascia in secondo piano altre
dispute. Anche perché, come scrive sempre Civiltà Cattolica, coloro che tornano a confessarsi lo
fanno dopo aver dialogato «con la propria coscienza». Dice la rivista: «Si assiste a un ritorno
silenzioso ma significativo alla confessione da parte della generazione dei quarantenni e
cinquantenni, che ridanno valore al sacramento, a volte dopo anni di lontananza. Coloro che
ritornano a confessarsi dichiarano di averlo fatto dopo aver riletto il Vangelo, dialogato con la voce
della propria coscienza, incontrato testimoni credenti e credibili».

di Paolo Rodari
in “la Repubblica” del 13 maggio 2013

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