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domenica 19 maggio 2013

RIFLESSIONI A MARGINE DELLA MARCIA PER LA VITA


Marcia per la Vita: la “primavera latina” e i problemi dell’ora presente

Marcia della Vita 2013(di Roberto de Mattei) Tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, la grancassa mediatica mondiale annunciò l’arrivo della «primavera araba», ovvero di una nuova era di democrazia, di libertà e di sviluppo economico sociale in Medio Oriente e nel Nord Africa. Qualcuno, come il ministro Andrea Riccardi, arrivò a dichiarare che «il Mediterraneo è divenuto un mare tutto democratico», fingendo di ignorare che dalla Libia alla Siria, dall’Egitto alla Tunisia, le rivoluzioni arabe hanno prodotto la crisi economica, l’instabilità politica, l’ascesa dei movimenti islamisti e una violenta repressione anticristiana. Non si è trattato di primavera ma di un duro inverno per quelle sfortunate regioni.
Se la primavera araba, accuratamente organizzata dai centri di potere occidentali e dai Fratelli musulmani è miseramente fallita, una ben diversa primavera si sta sviluppando nei primi mesi del 2013 in Europa: è quella che potremmo definire un “primavera latina”.
A Roma, la Terza Marcia Nazionale per la Vita ha raccolto il 12 maggio quarantamila persone, che hanno sfilato dal Colosseo a San Pietro, dove li ha accolti la benedizione di Papa Francesco. Nessuno dei grandi movimenti “ecclesiali”, da Comunione e Liberazione ai Neocatecumenali, dai Carismatici ai Focolarini, ha partecipato alla Marcia, che si è affermata dunque come un “movimento” diverso da tutti gli altri, non riconducibile al mondo cattolico ufficiale.
La Marcia per la Vita italiana ha ben scritto Mario Palmaro «non ha carattere ecclesiale, non è una processione, non è un incontro di preghiera: ad essa partecipano cattolici e altri cristiani, esponenti di altre religioni, credenti e non credenti. Molti tacciono, molti altri pregano, in un clima di grande libertà. In questo modo, la Marcia documenta la ragionevolezza delle ragioni della vita. La Marcia è autonoma e indipendente, e si garantisce una libertà che la sottrae a condizionamenti, compromessi, tattiche, censure interne, pavidità travestite da prudenza».
In Francia, dopo la legalizzazione del cosiddetto «matrimonio omosessuale», il 23 aprile scorso, le Manifs pour tous (”manifestazioni per tutti”) uniscono a loro volta centinaia di migliaia di persone, che continuano a protestare contro il governo, con un’inventiva, ha scritto Patrice de Plunckett sull’“Osservatore Romano” dell’8 maggio, che stupisce i media: mobilitazione via twitter, raduni spontanei per le strade, accampamenti di fronte all’Assemblea Nazionale, operazioni “risveglio mattutino” davanti alle abitazioni dei ministri, affissione di striscioni sui ponti delle autostrade.
E c’è pure la rete dei veilleurs (coloro che vegliano) e delle mères veilleuses – “madri che vegliano”, ma anche, con un gioco di parole, “meravigliose”, che esprimono in piccoli gruppi la loro protesta e la loro indignazione. Nell’uno e nell’altro caso, si tratta di un movimento spontaneo che parte soprattutto dalla base del mondo cattolico. Ciò che accade è qualcosa di più di una manifestazione è la ricostruzione di un tessuto sociale: è un germe di salute e di vita che si sviluppa in un organismo malato, come avverte Rémi Fontaine in un bel libro dedicato a questo fenomeno (Les enjeux du printemps français, Editions de Paris, Versailles 2013).
Se la cultura relativista produce la decomposizione di una società, la cultura pro-life e antiomosessualista rivitalizza il corpo sociale. I potentati internazionali che controllano, o condizionano, le scelte politiche dei governi nazionali, seguono con preoccupazione questo inatteso risveglio. Il loro timore è che affiorino nuove forme di presenza politica e sociale e nuove classi dirigenti, in grado di provocare insorgenze popolari contro il sistema di cultura e di potere stabilito in Europa dall’epoca della Rivoluzione francese. Il tentativo a cui assisteremo sarà quello di cercare di “riconvertire” e “normalizzare” il movimento di opposizione all’establishment. Ma se è possibile ingannare gli uomini, è impossibile “comprare” la Grazia divina, che, quando si manifesta, innesca un processo irreversibile.
Dietro la primavera latina, oltre all’azione invincibile della Grazia, c’è una concezione del mondo che affonda le sue radici nelle radici latine della cultura occidentale. In Grecia nasce il concetto di humanitas, l’idea che esiste una natura umana, caratterizzata da leggi costanti e universali che la filosofia ha il compito di riconoscere.
L’uomo, infatti, non è solo un animale sociale, ma è innanzitutto un animale razionale. L’ humanitas, non è l’Io soggettivo dell’umanesimo moderno, ma la consapevolezza di queste leggi universali della natura umana. Questo quadro di leggi e di principi assoluti e universali, è la legge naturale del Decalogo che, dopo la filosofia greca, troviamo riconosciuta dal Diritto romano. Il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica ricorda le parole di Cicerone, secondo cui «certamente esiste una vera legge: è la retta ragione; essa è conforme alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti chiamano al dovere, i suoi divieti trattengono dall’errore» (Marco Tullio Cicerone, La Repubblica, 3,22,33, cit. in Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1956). San Tommaso d’Aquino ci ricorda a sua volta che la legge stabilita dai parlamenti, e da ogni altra istanza legislativa umana, non può essere in contraddizione con l’eterna Legge di Dio. La legge naturale, infatti, «altro non è che la luce dell’intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce o questa legge Dio l’ha donata alla creazione» (San Tommaso d’Aquino, In duo praecepta caritatis et in decem Legis praecepta expositio, c. 1).
Giovanni Paolo II, nel suo ultimo libro Memoria e identità, ha bollato a fuoco «lo sterminio legale degli esseri umani concepiti e non ancora nati (…) uno sterminio deciso addirittura da Parlamenti eletti democraticamente, nei quali ci si appella al progresso civile delle società e dell’intera umanità. Né – aggiunge – mancano altre gravi forme di violazione della Legge di Dio. Penso, ad esempio, alle forti pressioni del Parlamento europeo perché le unioni di omosessuali siano riconosciute come una forma alternativa di famiglia, a cui competerebbe anche il diritto di adozione. È lecito e anzi doveroso porsi la domanda se qui non operi ancora una nuova ideologia del male, forse più subdola e celata, che tenta di sfruttare contro l’uomo e contro la famiglia, perfino i diritti dell’uomo. Perché accade tutto questo? Qual è la radice di tali ideologie post-illuministe? La risposta, in definitiva, è semplice: questo avviene perché è stato respinto Dio quale Creatore, e perciò quale fonte della determinazione di ciò che è bene e di ciò che è male. (…) Se vogliamo parlare in modo sensato del bene e del male, dobbiamo tornare a san Tommaso d’Aquino, cioè alla filosofia dell’essere» (Memoria e identità, Rizzoli, Milano 2005, pp. 22, 23).
La Marcia per la Vita italiana e le Manifs pour tous francesi si fondano su quella “filosofia dell’essere” a cui il mondo moderno ha voltato le spalle, con i disastrosi risultati che sono sotto i nostri occhi. Dietro la primavera latina c’è la ferma convinzione che la legge divina e naturale non possa rimanere confinata all’ambito privato, ma debba proiettarsi nella sfera pubblica e costituire la base dell’ordine sociale cristiano, che è l’unica possibile soluzione dei drammatici problemi dell’ora presente. (Roberto de Mattei)























Con l’arroganza dei falsi vincitori, i Radicali Italiani, per bocca del loro presidente, tale Viale, hanno commentato la Marcia per la Vita di domenica 12 maggio, con la frase “indietro non si torna”.
E’ singolare notare come questa frase è la stessa che ripetevano i bolscevichi durante la rivoluzione d’ottobre del 1917, quando, con enorme spargimento di sangue, presero il potere, credendo che fosse per sempre. Ritenendo che "il sol dell’avvenire” fosse sorto su quelle terre per non tramontare più.

La storia, però, ha reso ragione alla Verità e ha smentito, nel giro di 70 anni, il beffardo e vuotamente ironico “indietro non si torna” di una ideologia menzognera e criminale, quale è stata quella marxista – leninista, declinata nel comunismo, con i suoi oltre 100 milioni di morti immolati sull’altare del falso progresso umano, del materialismo storico e della dittatura del proletariato.
Così la storia renderà ragione alla Verità distruggendo i falsi miti dei “diritti civili”: perché non è un diritto uccidere il bimbo innocente che vive nel grembo materno, così come non è un diritto quello di sottrarsi alle responsabilità verso la famiglia che hai creato, utilizzando l’uscita di scurezza del divorzio, non è un diritto quello di toglierti la vita quando sei vecchio o malato posto che non hai vissuto e non vivi solo per te stesso, ma, sei parte di una storia più grande e hai responsabilità famigliari e sociali che superno il tuo egoismo solipsistico.
La Marcia Nazionale per la Vita a cui hanno aderito 40mila persone, tra cui anche una piccola delegazione di 45 biellesi, ha voluto essere pietra di inciampo per questa generazione disperata che, uccidendo la vita nel grembo materno, uccide sé stessa in ossequio alla falsa libertà dell'autodeterminazione quale valore assoluto.
Valore falso e menzognero, così come falsi e menzogneri erano i valori del comunismo. Radice comune è la non assoggettabilità dell'uomo alle leggi di natura, ovvero l'uomo che si crede svincolato dalla sua stessa essenza, l'uomo che si fa Dio.
Questa visione antropologica comune ai totalitarismi di tutte le epoche ha quale gravissimo effetto collaterale quello di sacrificare i deboli a vantaggio dell'egoismo dei forti che, facendosi falsi creatori della propria vita, distruggono quella altrui.
Il bimbo nel grembo materno viene sacrificato sull'altare del "diritto di scelta" della donna-madre.
I bimbi nella famiglia vedono minato il loro sviluppo psicologico sulla base del diritto degli adulti a rifarsi una vita, mettendo nel nulla la fedeltà ad una promessa, posto che oggi quella promessa vale tre anni di separazione.
Il malato o l’anziano, in balia di visioni della vita che rivendicano una non meglio specificata dignità di vita, viene spinto a togliere il disturbo perché il suo essere malato sconvolge l'equilibrio salutista di una società che ha tolto valore alla sofferenza.
In buona sostanza, per questa falsa cultura dei diritti, l’uomo è pura materia, non ha un valore in quanto tale, ma solo se vive una vita “degna”, seguendo regole morali dettate dal desiderio. L’anima non esiste e tutto si chiude dentro un forno crematorio, quale ultimo atto necessario ad affermare la pura materialità dell’uomo. Questa, però, non è cultura, non è umanità. È solo nichilismo.
 di Pietro Brovarone (*)
(*) Gruppo Vita e Famiglia - Biella

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