San Francesco, senza miele
Dispiace ripetere quello che gli storici sanno benissimo e da tempo, ma l’approssimarsi del discorso che Papa Francesco terrà domani ad Assisi – e delle ormai consuete strumentalizzazioni -, impone un riassunto: san Francesco (1182 – 1226) fu un uomo diverso dalla caricatura dolciastra che, purtroppo con successo, gli è stata cucita addosso. Perché? Per più ragioni. Tanto per cominciare, non era affatto un personaggio ossessionato dalla povertà materiale alla quale anteponeva, come preoccupazione, quella spirituale. Mai, infatti, esortò i bisognosi alla rivolta bensì, semmai, alla pazienza; fu seguito anche dai rampolli della nobiltà italiana del suo tempo ai quali disse che la povertà era una strada per il Paradiso senza però mai – attenzione – azzardarsi a suggerirla come unica.
Francesco lottò dunque contro la vanità terrena ma non demonizzò i materiali preziosi, che difatti raccomandava esplicitamente ai suoi di impiegare per la Messa: «Vi prego […] i calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, devono essere preziosi. E se in qualche luogo trovassero il santissimo corpo del Signore collocato in modo miserevole, venga da essi posto e custodito in un luogo prezioso, secondo le disposizioni della Chiesa, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione» (Prima lettera ai Custodi). Se poi pensiamo che fra gli studiosi c’è chi sostiene che pure la moderna teoria del libero mercato debba molto al contributo culturale dei teologi discepoli del Poverello, si può definitivamente comprendere l’infondatezza del mito di un predicatore della povertà assoluta quale Francesco mai, di fatto, volle essere.
Priva di fondamento è anche l’idea di un san Francesco eternamente sorridente e dalla personalità tiepida e buonista: basti ricordare che un giorno – stando agli scritti di Tommaso da Celano (1200-1270) – informato della presenza di detrattori del suo Ordine si rivolse al suo vicario, frate Pietro di Cattaneo, intimandogli quanto segue: «Coraggio, muoviti, esamina diligentemente e, se troverai innocente un frate che sia stato accusato, punisci l’accusatore con un severo ed esemplare castigo! Consegnalo nelle mani del pugile di Firenze, se tu personalmente non sei in grado di punirlo (Chiamava col nome di pugilatore frate Giovanni di Firenze, uomo di imponente statura e dl grandi forze)». Un tono e un atteggiamento, converrete, che mal si concilia con l’immagine mielosa che i più hanno in mente. Ma questo non è certo il solo episodio significativo.
Possiamo anche ricordare, per rendere giustizia del Francesco della storia – così diverso da quello di certa propaganda -, che quando costui, nell’anno 1219, si trovò al cospetto del Sultano Malik al-Kami, anziché tessere l’elogio del dialogo e della pace non esitò a ricorrere a parole oggettivamente forti: «Gesù ha voluto insegnarci che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell’occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo». Che il Poverello fosse guerrafondaio? Ma no, ci mancherebbe. Semplicemente era un uomo non solo di solidi principi ma anche di solida personalità, incline all’amore, certo. Ma non ai compromessi. Mai.
di Giuliano Guzzo
Dispiace ripetere quello che gli storici sanno benissimo e da tempo, ma l’approssimarsi del discorso che Papa Francesco terrà domani ad Assisi – e delle ormai consuete strumentalizzazioni -, impone un riassunto: san Francesco (1182 – 1226) fu un uomo diverso dalla caricatura dolciastra che, purtroppo con successo, gli è stata cucita addosso. Perché? Per più ragioni. Tanto per cominciare, non era affatto un personaggio ossessionato dalla povertà materiale alla quale anteponeva, come preoccupazione, quella spirituale. Mai, infatti, esortò i bisognosi alla rivolta bensì, semmai, alla pazienza; fu seguito anche dai rampolli della nobiltà italiana del suo tempo ai quali disse che la povertà era una strada per il Paradiso senza però mai – attenzione – azzardarsi a suggerirla come unica.
Francesco lottò dunque contro la vanità terrena ma non demonizzò i materiali preziosi, che difatti raccomandava esplicitamente ai suoi di impiegare per la Messa: «Vi prego […] i calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, devono essere preziosi. E se in qualche luogo trovassero il santissimo corpo del Signore collocato in modo miserevole, venga da essi posto e custodito in un luogo prezioso, secondo le disposizioni della Chiesa, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione» (Prima lettera ai Custodi). Se poi pensiamo che fra gli studiosi c’è chi sostiene che pure la moderna teoria del libero mercato debba molto al contributo culturale dei teologi discepoli del Poverello, si può definitivamente comprendere l’infondatezza del mito di un predicatore della povertà assoluta quale Francesco mai, di fatto, volle essere.
Priva di fondamento è anche l’idea di un san Francesco eternamente sorridente e dalla personalità tiepida e buonista: basti ricordare che un giorno – stando agli scritti di Tommaso da Celano (1200-1270) – informato della presenza di detrattori del suo Ordine si rivolse al suo vicario, frate Pietro di Cattaneo, intimandogli quanto segue: «Coraggio, muoviti, esamina diligentemente e, se troverai innocente un frate che sia stato accusato, punisci l’accusatore con un severo ed esemplare castigo! Consegnalo nelle mani del pugile di Firenze, se tu personalmente non sei in grado di punirlo (Chiamava col nome di pugilatore frate Giovanni di Firenze, uomo di imponente statura e dl grandi forze)». Un tono e un atteggiamento, converrete, che mal si concilia con l’immagine mielosa che i più hanno in mente. Ma questo non è certo il solo episodio significativo.
Possiamo anche ricordare, per rendere giustizia del Francesco della storia – così diverso da quello di certa propaganda -, che quando costui, nell’anno 1219, si trovò al cospetto del Sultano Malik al-Kami, anziché tessere l’elogio del dialogo e della pace non esitò a ricorrere a parole oggettivamente forti: «Gesù ha voluto insegnarci che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell’occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo». Che il Poverello fosse guerrafondaio? Ma no, ci mancherebbe. Semplicemente era un uomo non solo di solidi principi ma anche di solida personalità, incline all’amore, certo. Ma non ai compromessi. Mai.
di Giuliano Guzzo
DOCUMENTI: San Francesco d’Assisi e il suo desiderio di restaurare la Chiesa – di San Bonaventura da Bagnoregio
[…]
7. Ormai ben radicato nell’umiltà di Cristo, Francesco richiama alla memoria l’obbedienza di restaurare la chiesa di San Damiano, che la Croce gli ha imposto.
Vero obbediente, ritorna ad Assisi, per eseguire l’ordine della voce divina, se non altro con la mendicazione.
Deposta ogni vergogna per amore del povero Crocifisso, andava a cercar l’elemosina da coloro con i quali un tempo aveva vissuto nell’abbondanza, e sottoponeva il suo debole corpo, prostrato dai digiuni, al peso delle pietre.
Riuscì così, a restaurare quella chiesetta, con l’aiuto di Dio e il devoto soccorso dei concittadini. Poi, per non lasciare intorpidire il corpo nell’ozio, dopo la fatica, passò a riparare, in un luogo un po’ più distante dalla città, la chiesa dedicata a San Pietro spinto dalla devozione speciale che nutriva, insieme con la fede pura e sincera, verso il Principe degli Apostoli.
8. Riparata anche questa chiesa, andò finalmente in un luogo chiamato Porziuncola, nel quale vi era una chiesa dedicata alla beatissima Vergine: una fabbrica antica, ma allora assolutamente trascurata e abbandonata. Quando l’uomo di Dio la vide così abbandonata, spinto dalla sua fervente devozione per la Regina del mondo, vi fissò la sua dimora, con l’intento di ripararla.
Là egli godeva spesso della visita degli Angeli, come sembrava indicare il nome della chiesa stessa, chiamata fin dall’antichità Santa Maria degli Angeli. Perciò la scelse come sua residenza, a causa della sua venerazione per gli Angeli e del suo speciale amore per la Madre di Cristo.
Il Santo amò questo luogo più di tutti gli altri luoghi del mondo. Qui, infatti, conobbe l’umiltà degli inizi; qui progredì nelle virtù; qui raggiunse felicemente la meta. Questo luogo, al momento della morte, raccomandò ai frati come il luogo più caro alla Vergine.
Riguardo a questo luogo, un frate, a Dio devoto, prima della sua conversione ebbe una visione degna di essere riferita. Gli sembrò di vedere innumerevoli uomini, colpiti da cecità, che stavano attorno a questa chiesa, in ginocchio e con la faccia rivolta al cielo. Tutti protendevano le mani verso l’alto e, piangendo, invocavano da Dio misericordia e luce.
Ed ecco, venne dal cielo uno splendore immenso, che penetrando in loro tutti, portò a ciascuno la luce e la salvezza desiderate.
È questo il luogo, nel quale san Francesco, guidato dalla divina rivelazione, diede inizio all’Ordine dei frati minori. Proprio per disposizione della Provvidenza divina, che lo dirigeva in ogni cosa, il servo di Cristo aveva restaurato materialmente tre chiese, prima di fondare l’Ordine e di darsi alla predicazione del Vangelo. In tal modo non solamente egli aveva realizzato un armonioso progresso spirituale, elevandosi dalle realtà sensibili a quelle intelligibili, dalle minori alle maggiori; ma aveva anche, con un’opera tangibile, mostrato e prefigurato simbolicamente la sua missione futura.
Infatti, così come furono riparati i tre edifici, sotto la guida di quest’uomo santo si sarebbe rinnovata la Chiesa in tre modi: secondo la forma di vita, secondo la Regola e secondo la dottrina di Cristo da lui proposte – e avrebbe celebrato i suoi trionfi una triplice milizia di eletti. E noi ora costatiamo che così è avvenuto.
Tratto da “Legenda Maior” – (Vita di san Francesco d’Assisi) di San Bonaventura da Bagnoregio, capitolo II, traduzione di Simpliciano Olgiati
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