ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 3 ottobre 2013

Ermeneutica della discontinuità: a quando il dogma?

La strategia dello strappo

Altro che stile e povertà, la chiesa di Francesco è dottrina e discontinuità

“Assodata l’intenzione di svoltare”. Per lo storico del Cristianesimo Filoramo gli “annunci programmatici” sono chiari

Altro che continuità. Papa Francesco sta cambiando la concezione del papato così come l’abbiamo conosciuto negli ultimi secoli. Il professor Giovanni Filoramo, storico del Cristianesimo all’Università di Torino, vede uno strappo con il Magistero precedente all’elezione del gesuita Jorge Mario Bergoglio. “Si può dire ormai, leggendo le interviste che ha concesso nell’ultimo periodo, che in quelle parole c’è una volontà, un’intenzione di cambiare. Emerge una novità. Si tratta di una specie di annuncio programmatico, il Papa dice che si vuole intervenire su punti nodali e delicati”.
Certo, aggiunge al Foglio Filoramo, “si tratterà di capire ora come si concretizzeranno questi aspetti di discontinuità. Quel che sembra assodato, però, è che l’intenzione di svoltare c’è ed è chiara”.  Una discontinuità che non si limita allo stile, ai toni, al ritmo. Non è una questione di pantaloni bianchi o neri sotto la talare, di mozzetta scomparsa o di tronetti barocchi foderati di velluto cremisi riposti nei magazzini dopo la parentesi ratzingeriana. E’ qualcosa di più, che va a intaccare perfino la dottrina. “Si possono pure firmare insieme le encicliche, come accaduto a luglio con la Lumen Fidei”, spiega il nostro interlocutore, ma se poi si legge quanto il Papa dice alla Civiltà Cattolica si coglie la portata del nuovo corso: “In quel colloquio con padre Antonio Spadaro, si notava chiaramente l’invito a non puntare sulle questioni di differenza dottrinale, mirando quindi a ristabilire verità dogmatiche o aggiungerne di nuove. Bisogna fare altro, puntare su altri aspetti più pastorali”. E’ un ribaltamento di prospettiva: valori e princìpi fino a sette mesi fa non negoziabili e al centro del Magistero, diventano marginali, preceduti da altre priorità. Il Pontefice, questo, l’ha detto espressamente: “Non serve parlarne sempre”.

Il primato di Agostino

Fondamentale, per cogliere sfumature e linee del pontificato, è il riferimento alla Compagnia di Gesù: “Un aspetto che mi ha colpito nell’intervista con Eugenio Scalfari – nota Filoramo – è che nella sua galleria di santi e modelli non mette al primo posto Ignazio, dicendo di preferire Agostino. La mia impressione, però, è che Ignazio di Loyola sia presente eccome nell’azione di Francesco. Basti pensare al tema del discernimento spirituale, che evidenzia il profondissimo influsso del santo che fondò la Compagnia”. Ma è in un altro passaggio degli ultimi interventi di Bergoglio che emerge con forza la matrice tipica della Compagnia: “Francesco – dice Filoramo – non vuole fare proseliti, e questo è un tema centrale in tutta la missionarietà ignaziana. I gesuiti non devono andare in periferia per ridurre gli altri al proprio messaggio, ma sono chiamati a esprimersi attraverso l’accomodatio, cioè la capacità del gesuita missionario di adattarsi alla cultura e agli usi locali. Un po’ come accaduto in India, in Cina, in Giappone e in America del sud con le reducciones”. Tentativi non sempre andati a buon fine, spesso effimeri che si sono dimostrati incapaci di radicare in modo perenne la fede cristiana in quelle terre. “Questo è un capitolo centrale del Vaticano II, poiché viene messa in discussione e conseguentemente in crisi l’inculturazione. Il gesuita deve disporsi ad ascoltare gli altri. E’ qualcosa di più del semplice dialogo, è la capacità di ricezione, di adattamento che in termini teologici e pastorali si traduce poi nell’amore e in tutti gli altri elementi che il Pontefice argentino cita così di frequente”. Una discontinuità che è destinata ad apportare profondi mutamenti anche nella gestione della chiesa, a cominciare dalla sua struttura piramidale. “La questione della sinodalità – sostiene Filoramo – è un punto delicato e il modo in cui si concretizzerà sul piano pratico è tutto da vedere. Se confermata, però, comporterebbe la ripresa di linee decise nell’assise ecumenica convocata da Giovanni XXIII e poi bloccate con l’avvento del papato di Karol Wojtyla. Si tratterebbe innanzitutto di far uscire dal cono d’ombra le conferenze episcopali locali, alcune delle quali oggi sono molto forti e penso a quella tedesca e altre debolissime, come quella francese”. Per il momento, Francesco ha “innescato una dinamica di confronto con l’istituzione del Consiglio degli otto cardinali” che lo assisterà nel governo della chiesa universale e che sarà chiamato a studiare la riforma della curia romana alla luce della riscoperta dell’ecclesiologia del Vaticano II. “Anche qui si vede il tratto tipico dell’organizzazione gesuitica, si pensi solo al modo di procedere dei generalati più antichi. C’è ampia consultazione, ma poi il generale, il superiore, decide. Da solo”.

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