ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 18 novembre 2013

Tutti contro?

La parola ai tradizionalisti “Dissolvete la fede nel mondo”. di Mario Palmaro

Apprendo dal sito Vino Nuovo, che Francesco ha telefonato a Mario Palmaro. Sappiamo che non sta bene, e con questo post, intendo assicurargli anche la mia vicinanza e le mie povere preghiere per lui e per la sua famiglia. 
L’OCCASIONE PERDUTA
 DEI LEFEBVRIANI
 
Prof. Palmaro, lei (e il mondo ecclesiale che in qualche maniera interpreta) ha sostenuto giustamente il tentativo di Benedetto XVI di far rientrare nella comunione il movimento “scismatico” lefebvriano. Ma quando, nel luglio del 2012, il capitolo generale si è rifiutato di dare una risposta positiva all’invito della Santa Sede, quale posizione ha preso in merito? Quale giudizio dà ora all’atteggiamento di quel movimento? 
 
Pur non avendone mai fatto parte, qualche anno fa ho avuto la fortuna di conoscere da vicino la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), fondata da mons. Marcel Lefebvre. Insieme al giornalista Alessandro Gnocchi, abbiamo deciso di andare a vedere con i nostri occhi questo mondo, e di raccontarlo in due libri e in alcuni articoli. Devo dire che molti pregiudizi che avevo dentro di me si sono rivelati infondati: ho incontrato molti buoni sacerdoti, delle suore e dei fratelli dediti ad una seria esperienza di vita cattolica, dotati di un’umanità cordiale e aperta; e sono rimasto colpito molto favorevolmente dalla persona di mons. Bernard Fellay, il vescovo che guida la FSSPX, un uomo buono e di grande fede. Abbiamo scoperto un mondo di laici e di sacerdoti che pregano ogni giorno per il papa, pur collocandosi in una posizione decisamente critica soprattutto sulla liturgia, sulla libertà religiosa, sull’ecumenismo. Abbiamo visto tanti giovani, tante vocazioni religiose, tante famiglie cattoliche “normali” che frequentano la Fraternità. Preti in abito talare che, camminando per le vie di Parigi o di Roma, sono fermati dalla gente che chiede loro conforto e speranza. 
Conosciamo molto bene il polimorfismo contemporaneo della Chiesa nel mondo, cioè il fatto che oggi dirsi cattolici non significa seguire la stessa dottrina: l’eterodossia è assai diffusa, e ci sono suore, preti, vescovi, teologi che apertamente contestano o negano porzioni di dottrina cattolica. Di conseguenza ci siamo chiesti: ma come è possibile che nella Chiesa ci sia posto per tutti, tranne che per questi nostri fratelli in tutto cattolici, assolutamente fedeli a 20 concili su 21 svolti nella storia del cattolicesimo? 
Mentre stavamo scrivendo il primo libro, arrivò l’annuncio della revoca della scomunica da parte di Benedetto XVI, una decisione storica. Rimaneva a quel punto la sistemazione canonica della Fraternità. Papa Ratzinger teneva molto a questa riconciliazione, che per ora non si è concretizzata. Ritengo che il pontificato di Benedetto XVI sia stato un’occasione storica per la piena riconciliazione, e che sia stato un vero peccato lasciare che questo treno passasse. Da sempre sostengo che la FSSPX debba fare il possibile per la sua sistemazione canonica, ma aggiungo che Roma deve offrire a mons. Fellay e ai suoi fedeli delle garanzie di rispetto e di libertà, soprattutto per quanto concerne la celebrazione del vetus ordo e la dottrina normalmente insegnata nei seminari della Fraternità, che è la dottrina cattolica di sempre. 
 
AGGRESSIVITÀ DIFENSIVA  
 
Il pieno sostegno a Benedetto XVI non pare si realizzi ora con papa Francesco. I papi si accettano o si “scelgono”? Cosa rappresenta il papato oggi? 
 
Il fatto che un papa “piaccia” alla gente è del tutto irrilevante nella logica bimillenaria della Chiesa: il papa è il vicario di Cristo in terra, e deve piacere a Nostro Signore. Questo significa che l’esercizio del suo potere non è assoluto, ma è subordinato all’insegnamento di Cristo, che si trova nella Chiesa cattolica, nella sua Tradizione, e che è alimentato dalla vita di Grazia attraverso i sacramenti. Ora, questo significa che il papa stesso è giudicabile e criticabile dal cattolico, a patto che ciò avvenga nella prospettiva dell’amore alla verità, e che si usi come criterio di riferimento la Tradizione, il Magistero. Un papa che contraddicesse in materia di fede e di morale un suo predecessore, dovrebbe senz’altro essere criticato. Dobbiamo diffidare sia della logica mondana per cui il papa si giudica con i criteri democratici del gradimento della maggioranza, sia della tentazione papolatrica secondo cui “il papa ha sempre ragione”. Oltretutto, da decenni siamo abituati a criticare in maniera distruttiva decine di papi del passato, esibendo scarsa serietà storiografica; ebbene, allora non si vede perché i papi regnanti o più recenti dovrebbero essere sottratti a qualunque tipo di critica. Se si giudicano Bonifacio VIII o Pio V, perché allora non giudicare anche Paolo VI o Francesco? 
 
Nel mondo dei siti e delle riviste più legate alla tradizione (recente) si registra spesso una forte esposizione aggressiva. È vero? Da cosa dipende? Come la giudica? 
 
Il problema degli atteggiamenti di alcune persone o realtà legate alla tradizione è serio, e non si può negare. Una verità presentata o proposta senza carità è una verità tradita. Cristo è la nostra via, verità e vita, e dunque dobbiamo prendere sempre esempio da lui, che fu sempre tetragono nella verità e imbattibile nell’amore. Io credo che il mondo della tradizione sia talvolta puntuto e polemico per tre motivi: il primo, una certa sindrome da isolamento, che rende sospettosi e vendicativi, e che si manifesta anche attraverso personalità problematiche; il secondo, lo scandalo sincero che certi orientamenti del cattolicesimo contemporaneo suscitano in chi conosca bene l’insegnamento dottrinale dei papi e della Chiesa fino al Vaticano II; il terzo, per la poca carità che il cattolicesimo ufficiale dimostra verso questi fratelli, che sono apostrofati con disprezzo come “tradizionalisti” o “lefebvriani”, dimenticando che costoro sono comunque più vicini alla Chiesa di quanto possa esserlo l’appartenente a qualsiasi altra confessione cristiana o addirittura a qualche altra religione. La stampa ufficiale cattolica non dedica una riga a questa realtà – fatta da centinaia di sacerdoti e di seminaristi – e poi magari regala paginate a pensatori che nulla hanno anche solo di vagamente cattolico. 
 
CONTRO IL MODERNISMO  
 
Commentando la disposizione vaticana in ordine ai Frati dell’Immacolata, lei ha invocato l’obiezione di coscienza dei religiosi in ordine alle indicazioni sulla liturgia. Come deve essere l’obbedienza dei religiosi alla loro famiglia spirituale? Come collocare l’obiezione di coscienza nella tradizione del Sillabo? 
 
La vicenda dei Francescani dell’Immacolata è a mio parere molto triste. Si tratta di un provvedimento di commissariamento deciso da Roma con inusitata fretta e con altrettanta inspiegabile severità. Siccome conosco bene questa famiglia religiosa, trovo del tutto ingiustificata questa decisione, e ho presentato in Vaticano insieme ad altri tre studiosi una sorta di memoria-ricorso. 
Ricordo, in sintesi, che il provvedimento “destituisce” il fondatore, e impedisce la celebrazione della messa in rito antico a tutti i sacerdoti della congregazione, in palese contraddizione con quanto stabilito dal motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI. Lei dice bene: la resistenza a un ordine dell’autorità legittima pone sempre problemi al cristiano, tanto più se membro di una famiglia religiosa. Tuttavia, qui ci sono alcuni aspetti palesemente inaccettabili, e ritengo che i sacerdoti Francescani dell’Immacolata dovrebbero proseguire a celebrare la messa nella forma straordinaria del vetus ordo, assicurando quel bi-ritualismo (cioè anche la “nuova” messa) che mi risulta essere stato normalmente praticato dai frati. Aggiungo che non è bello constatare come, in una Chiesa scossa da mille problemi e mille ribellioni, una Chiesa nella quale congregazioni gloriose si stanno estinguendo per mancanza di vocazioni, si vadano a colpire i Francescani dell’Immacolata, che invece hanno copiose vocazioni in tutto il mondo. 
 
Quali sono a suo avviso i limiti più evidenti della sensibilità cattolica “conciliare” (o “liberale”, se preferisce)? Quali sono le sue fragilità più vistose? 
 
Il problema fondamentale a mio parere è il rapporto con il mondo, segnato da un atteggiamento di sudditanza e di dipendenza, quasi che la Chiesa si debba adattare ai capricci degli uomini, quando invece sappiamo che è l’uomo a doversi adattare alla volontà di Cristo, re della storia e dell’universo. Quando Pio X attaccò duramente il modernismo, volle respingere questa tentazione mortale per il cattolicesimo: mutare dottrina per assecondare lo spirito del mondo. Poiché l’umanità è preda del processo di dissoluzione avviato con la rivoluzione francese, e proseguito con la modernità e la post-modernità, la Chiesa è oggi più che mai chiamata a resistere allo spirito del mondo. Molte scelte fatte negli ultimi 50 anni dalla Chiesa sono invece il sintomo di un cedimento: la riforma liturgica, che ha costruito una messa per la sensibilità contemporanea, distruggendo un rito in vigore da secoli, orientandolo tutto sulla parola, l’assemblea e la partecipazione, e mortificando la centralità del Sacrificio; l’insistenza sul sacerdozio universale, che ha svalutato il sacerdozio ministeriale, deprimendo generazioni di preti e portando a una crisi senza precedenti delle vocazioni; l’architettura sacra, che ha edificato mostri antiliturgici; l’abolizione de facto dei novissimi, quando il tema della salvezza delle anime (e del pericolo della dannazione eterna) è l’unico argomento soprannaturale che differenzia la Chiesa da un’agenzia filantropica; e così via. 
 
DIVENTARE SANTI 
 
I credenti si uniscono sull’essenziale e si dividono sui temi discussi. Tutti però sono chiamati al rispetto e all’accompagnamento di quanti sono segnati dal dolore e dalle fatiche della vita. Come cambia la propria sensibilità spirituale quando la sofferenza, come sta capitando a lei, attraversa con violenza i nostri giorni? 
 
La prima cosa che sconvolge della malattia è che essa si abbatte su di noi senza alcun preavviso e in un tempo che noi non decidiamo. Siamo alla mercé degli avvenimenti, e non possiamo che accettarli. La malattia grave obbliga a rendersi conto che siamo davvero mortali; anche se la morte è la cosa più certa del mondo, l’uomo moderno è portato a vivere come se non dovesse morire mai. Con la malattia capisci per la prima volta che il tempo della vita quaggiù è un soffio, avverti tutta l’amarezza di non averne fatto quel capolavoro di santità che Dio aveva desiderato, provi una profonda nostalgia per il bene che avresti potuto fare e per il male che avresti potuto evitare. Guardi il crocifisso e capisci che quello è il cuore della fede: senza il Sacrificio il cattolicesimo non esiste. Allora ringrazi Dio di averti fatto cattolico, un cattolico “piccolo piccolo”, un peccatore, ma che ha nella Chiesa una madre premurosa. 
Dunque, la malattia è un tempo di grazia, ma spesso i vizi e le miserie che ci hanno accompagnato durante la vita rimangono, o addirittura si acuiscono. È come se l’agonia fosse già iniziata, e si combattesse il destino della mia anima, perché nessuno è sicuro della propria salvezza. 
D’altra parte, la malattia mi ha fatto anche scoprire una quantità impressionante di persone che mi vogliono bene e che pregano per me, di famiglie che la sera recitano il rosario con i bambini per la mia guarigione, e non ho parole per descrivere la bellezza di questa esperienza, che è un anticipo dell’amore di Dio nell’eternità. 
Il dolore più grande che provo è l’idea di dover lasciare questo mondo che mi piace così tanto, che è così bello anche se così tragico; dover lasciare tanti amici, i parenti; ma soprattutto di dover lasciare mia moglie e i miei figli che sono ancora in tenera età. Alle volte mi immagino la mia casa, il mio studio vuoto, e la vita che in essa continua anche se io non ci sono più. È una scena che fa male, ma estremamente realistica: mi fa capire che sono, e sono stato, un servo inutile, e che tutti i libri che ho scritto, le conferenze, gli articoli, non sono che paglia. Ma spero nella misericordia del Signore, e nel fatto che altri raccoglieranno parte delle mie aspirazioni e delle mie battaglie, per continuare l’antico duello». 
 

A proposito della presunta deriva “lefebvriana” dei Francescani dell’Immacolata…

 Riceviamo e pubblichiamo:
C’è un elemento nella vicenda dei Francescani dell’Immacolata che ormai sta emergendo sempre di più. Ascoltando diverse persone del mondo dei Frati, di entrambe le “fazioni”, risulta più chiaramente il “capo d’accusa” nei confronti di Padre Stefano Manelli: quello cioè di avere favorito una svolta tradizionalista e critpo-lefebvriana nell’Istituto (ed ecco perché nei siti ufficiali dei F.I. si possono trovare numerosi articoli contro la Fraternità e contro vari esponenti - reali o immaginari – del mondo tradizionalista).
Per questo mi sento in dovere di scrivere qualche riga – un dovere di riconoscenza, come poi capirete -  nella speranza che questa testimonianza possa aiutare a riacquisire una prospettiva un po’ più oggettiva. Desidero mantenere l’anonimato, non per paura, ma solo per delicatezza nei confronti di altre persone che vengono coinvolte in questo scritto.
Sono stato “lefebvriano” (termine che non mi piace, ma pazienza) per molti anni. Non posso non guardare con gratitudine al Signore per gli anni trascorsi in questo ambiente sia per ciò che di buono (e non è poco) vi ho potuto trovare, sia per le prove sofferte, a motivo delle chiusure, degli errori e delle mancanze che ho potuto costatare (e subire).
Come ebbe a dire una volta confidenzialmente l’allora Cardinal Ratzinger, “la Fraternità San Pio X ha tante ragioni, ma non ha ragione”. Due proposizioni che dicono tutto.
Vengo al sodo. Posso testimoniare che, quando mi sono rivolto ad un Padre FI, uno di quelli che oggi vengono accusati di essere “cripto-lefebvriani” e che è già stato mandato in esilio, questo Frate mi ha ascoltato e non ha esitato un attimo ad indicarmi le asserzioni e gli atteggiamenti della Fraternità San Pio X, che viziano alla radice la sua posizione.
Un’altra persona molto amica, in un’altra circostanza, ha voluto chiedere consiglio direttamente a P. Stefano. Anche in quel caso, P. Stefano dopo aver prestato grande attenzione, ha anche aggiunto che in coscienza, se la Fraternità non fosse rientrata nella Chiesa (si era ai tempi dei colloqui dottrinali), il suo interlocutore era tenuto ad allontanarsene, conformemente a quanto affermò in più occasioni Benedetto XVI, e cioè che la Fraternità non esercita in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa. Né più, né meno.
Terzo caso. Chiesi preoccupato ad un Padre F.I. – anche questi caduto in disgrazia e “spedito” – cosa effettivamente dovevo pensare di amici che continuano a confessarsi dai sacerdoti della FSSPX oppure si sono sposati presso i loro priorati. Anche in questo caso, la risposta è stata chiara: questi due sacramenti sono oggettivamente invalidi, anche se nel caso della confessione è possibile pensare che valga il principio dell“Ecclesia supplet”.
Un’altra persone mi confidava che era sul punto di passare nella Fraternità e fu proprio un Frate – sempre uno di quelli “spediti in posta prioritaria” – a frenarlo.
Si potrà essere d’accordo o meno su tante cose scritte, dette o fatte, ma è ingiusto e calunnioso accusare P. Manelli e altri Frati di aver portato l’Ordine ad una deriva lefebvriana. Padre Stefano ama la Chiesa e il Papa più di se stesso e questo suo amore non retorico ma fattivo – che lo sta portando a sopportare in silenzio decisioni molto ingiuste -  è evidente in ogni suo figlio spirituale e si riversa su tutti coloro che lo avvicinano.
E’ grazie a lui e a questi Padri che io ed altre persone abbiamo trovato forza e determinazione per ritornare nella Chiesa; è grazie ai FI che ho potuto costatare che effettivamente le due forme del Rito romano, celebrate con dignità e sacralità, possono coesistere (il che non significa che si equivalgano); è grazie a loro che ho riconosciuto che eventuali riserve su alcuni passaggi del Vaticano II non devono mai sostituirsi al giudizio ultimo che ne dà il Magistero o che la perplessità su alcuni elementi della riforma liturgica non devono portare ad escludere il nuovo Messale (esattamente quello che scrisse Benedetto XVI nella lettera del 2007 ai Vescovi, in occasione della pubblicazione del Summorum Pontificum).
Adesso invece mi ritrovo che proprio questi Frati, che hanno aiutato me ed altri a prendere le distanze dalla Fraternità San Pio X, vengono accusati di aver favorito una svolta lefebvriana nell’Ordine! E addirittura si arriva a sostenere che bisognerebbe aiutare p. Stefano a rimanere nella Chiesa!
Queste calunnie – perché tali sono – si scontrano con i fatti: le storie che ho raccontato e che sono pronto a testimoniare davanti a chiunque; il fatto, altrettanto incontestabile, che i Frati non hanno mai adottato la forma straordinaria come esclusiva; la considerazione che gli studi fatti dai Frati sul Vaticano II non hanno mai avuto la pretesa di dire l’ultima parola sul Concilio, e non hanno mai parlato di eresie presenti nei testi conciliari.
C’è un altro fatto che può aiutare a capire come si sia arrivati a costruire il mito di un Istituto che stia andando verso una deriva lefebvriana. Nel gennaio 2010, come ogni anno, la Fraternità San Pio X organizzò a Parigi ilCongès théologique du Courrier de Rome. Quell’anno p. Stefano decise di mandare due Frati a portare la loro testimonianza. L’intento di P. Manelli era chiaro: estendere quella mano che Benedetto XVI stava tendendo nei loro confronti, perché potessero comprendere – più con l’esempio che con le parole – che nella Chiesa possono stare anche coloro che sono fortemente legati alla Tradizione, in tutte le sue espressioni: liturgia, teologia, ascetica… P. Stefano fu incoraggiato da quelle domande così accorate che Benedetto XVI pose nel 2009, in occasione della lettera scritta per motivare la remissione delle scomuniche dei quattro Vescovi ordinati da Mons. Lefebvre: “Ma ora domando: Era ed è veramente sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che “ha qualche cosa contro di te” (cfr Mt 5, 23s) e cercare la riconciliazione?… Può essere totalmente errato l’impegnarsi per lo scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per l’insieme? Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme. Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa?”.
Bene, anzi male. Perché questi due Frati vennero immediatamente accusati – guarda a caso, proprio da coloro che oggi hanno assunto posti di guida nell’Istituto, dopo il commissariamento – di essere lefebvriani. Mentre invece né l’uno né l’altro approvano quelle posizioni della Fraternità che non sono state accettate nemmeno dalla Santa Sede.
Padre Stefano e i Frati che in questo momento vengono allontanati hanno le idee molto ben chiare a riguardo. Avere avuto contatti con la Fraternità ai tempi dei colloqui non significa affatto sposarne le tesi, ma significa ricordarsi che la carità va esercitata con tutti… Forse qualcuno si è dimenticato quello che scrisse Benedetto XVI, poco oltre, nella lettera già citata: “A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi… perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo”.
In effetti, l’attuale corso dei F.I. ha tanto il sapore di un regolamento di conti covato da tempo (già era ben attivo nel 2010…) ed esploso repentinamente, perché sta succedendo l’inimmaginabile: oltre alle accuse, alle calunnie, ai toni arroganti con cui alcuni Frati si rivolgono a colui che è stato per loro non solo superiore, ma padre, provvedimenti coercitivi senza spiegazioni di nessun tipo, manipolazioni di dati (in effetti stiamo ancora aspettando il numero effettivo delle risposte al questionario…), etc., c’è il tristissimo “spettacolo” dello spostamento repentino di tutti quei Frati ritenuti “cripto-lefbvriani”…
Che cosa rimarrà dei FI, se si proseguirà in questo modo? C’è un brano del Liber vitae meritorum di Santa Ildegarda che descrive esattamente quello che sta accadendo e l’origine di questa situazione. Trattando della coppia discordia/concordia, la Santa afferma: “Quando degli uomini cattivi cercano per cupidigia di avere molte cose che non possono avere, nella loro follia giungono alla discordia e attaccano gli altri come un cane arrabbiato attacca una persona. Seminando il dissenso, nella loro durezza e nel loro rancore, sperperano ciò che è stato fatto da Dio, perché non vogliono la pace e trovano piacere nel fare a pezzi gli altri con le parole e gli atti. Costoro non vogliono cedere a nessuno, non risparmiano nessuno, e non hanno alcuna preoccupazione del bene comune. Quando la discordia ha commesso molte azioni inique, essa giunge ad un punto tale di confusione e di scandalo che, secondo lei, è come se non le avesse mai commesse!”.
Se l’ultima parola sulla vicenda dei Francescani dell’Immacolata sarà quel delirio che stiamo vedendo, in cui non si è cercato un riequilibrio, ma si è dato ragione esclusivamente ad una parte contro l’altra (e questo è evidente a chiunque abbia occhi per vedere e cervello per pensare), allora davvero si darà il colpo di grazia a quella grande opera di riconciliazione interna inaugurata da papa Benedetto e che ha visto proprio nei Francescani dell’Immacolata un esempio da seguire. E’ inutile nascondere che i provvedimenti presi sono stati unilaterali: imposizione di un’unica forma del Rito romano; oltre 100 richieste interne di autorizzazione a celebrare secondo la Forma straordinaria, ovviamente respinte; nessuna riconferma dei Frati che occupavano posti nel governo e nella formazione fino al Commissariamento; allontanamento dei Frati poco graditi, etc.
In una tale situazione, è meglio per tutti imitare il grande Patriarca Abramo: “Non vi sia discordia tra me e te – disse a Lot -, tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli. Non sta forse davanti a te tutto il territorio? Separati da me. Se tu vai a sinistra, io andrò a destra; se tu vai a destra, io andrò a sinistra” (Gen. 13, 8-9).

2 commenti:

  1. è grazie ai FI che ho potuto costatare che effettivamente le due forme del Rito romano, celebrate con dignità e sacralità, possono coesistere (il che non significa che si equivalgano); è grazie a loro che ho riconosciuto che eventuali riserve su alcuni passaggi del Vaticano II non devono mai sostituirsi al giudizio ultimo che ne dà il Magistero o che la perplessità su alcuni elementi della riforma liturgica non devono portare ad escludere il nuovo Messale

    AHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!
    Che dire un bel "ritorno nella grande ed ampia Chiesa" di Ratzinger dove ci possono stare tutti dai FI ai luterani, dai NC all' IBP.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E' vero che il mix Tradizione/Novus ordo possa anche destare perplessità o ripulsa, ma è anche vero che nel campo è stata seminata la zizzania e che togliendola prima del tempo si rischia di sradicare anche il grano.
      Importante è non dormire, finchè verrà la mietitura, che non è decisa da noi..

      Elimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.