I Francescani dell’Immacolata ed il mistero dei beni scomparsi
Non
mi sarei aspettato che il commissariamento dell’Istituto dei Frati
Francescani dell’Immacolata potesse giunger a tanto. Trattati con una
durezza senza precedenti nella Chiesa,
come se avessero diffuso la più grande eresia di tutti i tempi, eccoli
ora nei panni di abili manovratori dell’occulto. Apparentemente,
professerebbero obbedienza al Papa e alla Chiesa, segretamente,
coverebbero uno scisma, una deriva tradizionalista, a seconda delle
opportunità. Sotterraneamente, come abili strateghi, diffonderebbero la
cultura della disobbedienza al Santo Padre.
Il
passo di questo commissariamento è stato segnato da accuse imprecise,
vaghe, da diffamazioni. Adesso arriva la questione dei beni temporali.
Il
commissario Volpi denuncia “il trasferimento delle disponibilità dei
beni mobili e immobili dell’Istituto ai laici”. È falso, categoricamente
falso! Padre Stefano Maria Manelli, il Fondatore, non ha mai voluto
alcun bene, né privatamente né comunitariamente, nemmeno un’automobile,
ciò per aderire all’invito della Santa Madre Chiesa di vivere la vita
religiosa in modo autenticamente povero. I beni in uso dell’Istituto dei
Frati Francescani dell’Immacolata sono sempre
stati intestati ad Associazioni non profit. Il fatto che il Fondatore
abbia dato il consenso affinché potessero associarsi anche laici,
dovrebbe essere un atto lodevole, invece no, è messo in discussione,
facendolo apparire un astuto colpo di mano per sottrarre i beni al
controllo della Santa Sede. Se si conoscesse meglio la normativa delle
non profit si capirebbe che le critiche sferzanti contro i Francescani
dell’Immacolata sono prive di fondatezza: non
è avvenuto nessun trasferimento di proprietà, né di disponibilità, né
di uso, né sotto forma di qualsiasi altro titolo: sono solo
semplicemente cambiati i membri di alcuni Organi associativi. E questa
sarebbe l’operazione illecita? …. Nel migliore dei casi l’ideale di vivere la povertà è considerato il
frutto di una scellerata gestione che ha privato volontariamente
l’Istituto “dei mezzi” necessari “per il mantenimento dei religiosi e …
delle missioni”. Purtroppo, le menzogne del commissario non conoscono
tregua; infatti, per di più dichiara che il “trasferimento” dei beni è avvenuto dopo la sua nomina.
Come ribattere a queste diffamazioni?
Ho
cercato la risposta negli scritti del Serafico Padre San Francesco e
l’ho trovata. La lettura della sua Regola bollata mi ha donato una
grande pace nell’anima. In essa ho rinvenuto che il Poverello di Assisi
ordina “fermamente a tutti i frati che in nessun modo ricevano denari” ed esorta a rivolgersi ad amici spirituali per le necessità dei frati. Inoltre aggiunge: “I
frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo, né alcuna altra
cosa. … E questa povertà … non vogliate avere altro sotto il cielo, per
sempre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo”
La
vetta altissima della povertà vuole essere l’ideale di vita dei
Francescani dell’Immacolata, un ideale che non è sorto ieri, ma
accompagna la loro esperienza fin dagli albori della loro nascita. I
frati vogliono imitare il Santo Poverello e testimoniarlo con la loro
vita. Nei documenti che costituiscono le fondamenta dell’Istituto è
riproposto lo stesso tenore di vita del Santo. Che male c’è, dunque?
Se
ci sono famiglie religiose francescane che interpretano la regola
bollata in senso ampio, intestandosi beni e proprietà, non intendo
condannare, neppure minimamente criticare; però, perché perseguitare chi
cerca di vivere radicalmente la Regola di San Francesco? Perché gettare
sospetti sui laici che amministrano i beni mediante Associazioni, come
se ne disponessero per il proprio tornaconto? Come si può accusare di
operazioni “gravemente illecite sotto il profilo morale, canonico, con
risvolti … in ambito civile e penale” solo per aver cercato di emulare
l’autentica spiritualità di San Francesco, che è poi vita evangelica?
Se
i padri della “nuova linea” non vogliono più condividere il carisma
originario, lo facciano pure, non sono obbligati a seguirlo, ma non si
arroghino il diritto di attenuarlo, facendo passare proprio padre
Stefano, il Fondatore, come colui che l’avrebbe tradito.
Povero Padre! Quante cose si sono dette di lui in questi mesi.
Una volta ha perso il ben dell’intelletto, un’altra volta sembra un
astuto furbacchione che ha sottratto i beni al controllo della Chiesa.
Se
i padri della “nuova linea” vogliono intestare a sé o all’Istituto dei
beni, fondino un nuovo ordine religioso e/o cerchino laici disposti ad
aiutarli; non chiedano, però, di raccogliere dove non hanno seminato.
Diversamente, insistendo su questo punto, sembrerebbe emergere sempre lo
stesso motivo: meglio ricominciare da tre piuttosto che da zero.
di Roberto Bianchi
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