ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 3 gennaio 2014

“Pensieri della stalla”

Il senso della stalla e del cavallo per Giovanni Lindo Ferretti

“Pensieri della stalla”, sarebbe stato questo il titolo giusto dell’ultimo libro di Giovanni Lindo Ferretti. Invece la Mondadori ha scelto “Barbarico”, più elegante ma pure più criptico. Ferretti alleva cavalli, allestisce spettacoli con i cavalli, scrive di cavalli, ma si guarda bene dall’usare il termine “scuderia” che fa venire in mente i signorini degli ostacoli e le signorine del dressage. Lui, che come da sottotitolo è “montano italico cattolico romano”, usa proprio “stalla”, che fa venire in mente il presepe. E’ quindi il libro giusto da gustarsi nei prossimi giorni di Avvento. In copertina Ferretti è coerentemente vestito da pastore altomedievale, da barbaro appena cristianizzato, ancora affezionato all’occhio per occhio, dente per dente, eppure pronto a inginocchiarsi davanti al Bambin Gesù.
La foto è scattata all’interno dei chiostri di San Pietro, “la più spettacolare cavallerizza del postmoderno”, il colossale ex monastero benedettino di Reggio Emilia dove Ferretti ha messo più volte in scena i suoi spettacoli equestri. Cavalli, sempre cavalli, chi come me è interessato ai cavalli solo quando si presentano nel piatto sotto forma di pesto, carne cruda macinata e condita, potrebbe innervosirsi ma grazie a Dio questo non è il libro di un animalista. Grazie a Dio non è un modo di dire perché in Ferretti la distinzione fra uomo e animale, sempre nettissima, discende direttamente dalla Bibbia. “Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo” è scritto nella Genesi e il cavallante reggiano non osa sollevare dubbi come fece perfino san Pietro durante la visione di Giaffa (la tentazione del proibizionismo alimentare è una costante della storia). Benedice pertanto i miei quattro euri di pesto, razione abituale di quando pranzo in casa da solo, parlando di “una funzione alimentare sempre più osteggiata ma che permette la sopravvivenza di tipologie e razze”.
Davvero io e Ferretti diamo, da versanti diversi, un residuo senso al cavallo che, se fosse per le crescenti legioni di vegetariani e semivegetariani automuniti, avrebbe il medesimo destino della foca monaca. C’è tutto il realismo cattolico dentro il libero pensiero di quest’uomo che ama gli animali e non è animalista, che ama il proprio ambiente, il quasi incontaminato Alto appennino reggiano, e non è ambientalista. Nella stalla del Cerreto ogni ismo viene smontato e mostrato per l’idiota gregarismo che è: “Km Zero è un’opzione salvifica, chi lo inscena e promuove è sempre in giro per il mondo avanti indietro in tondo e a noi ecocompatibili beneficati toccherebbe applaudire nel nostro secondo anno di carestia”. Sante parole: ai tempi in cui l’autarchia dei territori era forzata, vuoi per miseria vuoi per difficoltà di trasporti, le persone morivano di fame al secondo cattivo raccolto consecutivo, però vuoi mettere quant’erano slow food. Nella stalla del Cerreto, parecchi chilometri sopra la Pietra di Bismantova (“ciclopica ara, arcaico altare proteso al Cielo”), Ferretti racconta e si racconta, prendendo qualche rischio.
Finché cita le sue letture, Geminello Alvi, Cormac McCarthy, Simone Weil, non ci sono problemi. Ma chi gliel’ha fatto fare di elencare le proprie scelte elettorali? Di volta in volta Casini, Lista Pazza, Lega, Fratelli d’Italia, non certo i prediletti dal pubblico dei suoi concerti. Del quale, va detto, sembra che non gliene possa fregare di meno. In “Barbarico” scrive piuttosto esplicitamente che scende in pianura solo per soldi, che le sue brevi tournée sono finalizzate a pagare tasse, bollette, veterinario. Non è mai stato un esibizionista né un collezionista di groupie, adesso che è arrivato ai sessant’anni anela a una vita casa e chiesa, stalla e montagna. Stagioni intessute di riti, tutti ricevuti in eredità perché Ferretti come l’evocato Pasolini (anzi, più di Pasolini che comunque aveva il culto delle Alfa Gran Turismo, altro che maremmani) è “una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore, vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini…”. E quindi presepe e santa Lucia, funerali e matrimoni… Ma non è che non segue le ultimissime vicende, eccome se le segue, nonostante l’avversione per internet e telefonini ben conosciuta da chiunque tenti di mettersi in contatto con lui.
In questo piccolo libro di devozioni e riflessioni rifulge la fedeltà a Bergoglio di colui che fu ratzingeriano di ferro: “Nessuno si azzardi a parlarmi male del Papa: consegue l’Incarnazione, è la tradizione cattolica. Ci sono logiche che non è obbligatorio comprendere né tutto deve essere condiviso”. Che bello leggere il libro di un uomo tutto tradizione e niente tradizionalismo.
Fonte: Il Foglio


di Camillo Langone
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