Del resto i due presagi dell’ultima decade di gennaio, sotto un cielo da diluvio universale, avevano allertato i cultori di profezie metropolitane, alla ricerca di segni e significati da collegare, sulla scia di una tradizione che Dan Brown ha recentemente rinverdito. Prima il corvo che aggredisce le colombe del Papa in sequenza con un vorace gabbiano. Poi più prosaicamente gli addetti al decoro urbano, che con solerte quanto insolito tempismo rimuovono il murale di Bergoglio “Superman” intento a spiccare il volo, nel popolare quartiere di Borgo Pio, alle porte di San Pietro.
Sfrattato dal paesaggio dell’Urbe, il graffito ha subito traslocato nell’immaginario dell’Orbe, assurgendo a metafora dei successi e dei traguardi, ma anche dei paradossi e degli ostacoli, delle contrapposizioni e delle contraddizioni di questa fase del pontificato, a due settimane da un concistoro decisivo per le riforme. Se al “Superpope” viene impedito di spiccare un volo figurato sul muro del palazzo, figuriamoci quando cercherà di sollevare l’intero edificio, indicando orizzonti arditi e alleggerendo zavorre antiche.
Il Papa che giorno dopo giorno, nella migliore tradizione dei supereroi, va scoprendo egli stesso i suoi poteri unici e straordinari, sorprendendoci e sorprendendosi, resta tuttavia frenato e penalizzato dal potere di apparati ordinari e plurimi, espressione di prassi consolidate e mentalità stratificate. Allo stesso modo in cui la roccia della “cryptonite” neutralizzava Superman, facendolo ritornare Clark Kent.
Francesco, proprio come il personaggio dei fumetti, può respingere con il super-soffio delle sue invocazioni la flotta di Barack Obama, che naviga verso la Siria in una sera di veglia e di fine estate. Può fulminare con la sua super-vista François Hollande, spogliandolo all’istante della grandeur e scrutandone il cuore con occhio severo, sotto lo sguardo delle telecamere. Può misurare la sua super-forza in un confronto alla pari con Vladimir Putin e ottenerne il rispetto, nella causa comune in difesa dei cristiani d’Oriente. Può infine conquistare, in meno di un anno, la copertina di “uomo dell’anno” con la sua super-velocità…Eppure, nonostante le formidabili performance e la marcia trionfale in politica estera, mostra sofferenza ed è costretto a procedere più lentamente sul piano interno, sotto il peso delle “strutture di peccato”, che Benedetto XVI denunciò in un raro e amaro sfogo a braccio dell’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo del discorso della luna.
Pertanto, il superpapa può oggi precipitarsi a ergere uno scudo di regole ferree a protezione futura dei bambini, ma continuerà nondimeno a sentire il grido che reclama giustizia per il passato, alla stregua delle madri argentine di Plaza de Mayo, fino a quando sussisterà un solo “dubbio”, riprendendo titolo e tema del celebre film con Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman.
In altro ambito, trasferendoci sul versante finanziario, Bergoglio può colmare a tempo di record un burrone normativo, dotando l’authority antiriciclaggio di un impianto d’avanguardia, e superare l’esame teorico, per poi però leggere nel report di Moneyval che “la struttura deve essere ancora provata all’atto pratico” e “risulta in qualche modo sorprendente che non ci siano state ancora ispezioni sullo IOR e l’APSA”. Può inoltre avvicendare i componenti della commissione cardinalizia, il prelato e il direttore della banca, ma ritrovarsi con la cabina di comando del Board inalterata e inamovibile rispetto a un anno fa, quando fu compiuto il blitz del 15 febbraio, a quattro giorni dalla rinuncia di Ratzinger, per mettere il successore, chiunque fosse, di fronte al fatto compiuto. Può infine sollecitare nel messaggio per la Quaresima una “conversione alla sobrietà” e testimoniarla in prima persona, muovendosi con l’utilitaria e vivendo in due stanze, mentre a pochi metri di distanza, nel Palazzo di San Carlo, il direttore dell’AIF, l’Autorità d’Informazione Finanziaria, percepirebbe uno stipendio a quatto zeri, che gli viene attribuito dai giornali e che fin qui non è stato mai smentito.
Tornando a Ginevra, le osservazioni dell’ONU tradiscono sicuramente una regia ideologica e perfino geopolitica, profilo sottovalutato da molti commentatori, nella rivalsa dei circoli anglosassoni, che non perdonano al Pontefice l’assalto frontale al capitalismo delle multinazionali e la disinvoltura, sudista e terzomondista, filoaraba e filorussa, delle sue alleanze diplomatiche. Tuttavia ciò non toglie, a maggior ragione, che proprio perché lanciata in attacco la Chiesa di Francesco non può permettersi scheletri nell’armadio, né offrire fianchi scoperti agli affondo degli avversari, che la vogliono costringere ad arretrare.
Al netto di ogni pregiudiziale, il brusco incidente di percorso contiene un insegnamento e ripropone un déjà vu da non ignorare: Jorge Bergoglio, forte del suo diploma giovanile di perito chimico, dovrebbe sapere bene che quando si avvia un processo rivoluzionario, come lui ha indubitabilmente fatto o trasmesso l’impressione di fare in questo primo anno, le reazioni a catena conseguenti non si possono gestire in laboratorio.
La rivoluzione di Francesco ha innescato drammatiche rese dei conti all’interno e gigantesche attese all’esterno, che non trovano risposta in consulenti, commissioni, sondaggi e nemmeno sinodi, ma forse soltanto in un concilio. Una parola e una prospettiva che nessuno finora osa evocare, ma con la quale il Successore di Pietro prima o poi si confronterà, come un esito da non escludere del cammino intrapreso. Anzi per certi aspetti possiamo dire che un “concilio” in maniera sui generis è già cominciato, dal momento che le parole e i gesti del Pontefice hanno legittimato nella opinione pubblica, dei credenti e non, una ingerenza di massa e una tensione rivendicativa inedita nella vita e nei problemi della Chiesa, con sviluppi potenzialmente imprevedibili.
D’altra parte, non basta un processo a un maggiordomo per estinguere i corvi, che all’ombra della cupola costituiscono un’avifauna stanziale, più o meno protagonista, insieme a colombe progressiste, falchi conservatori e gabbiani corsari, nelle millenarie e alterne stagioni dell’istituzione.
Per di più, in aggiunta ai residenti autoctoni della voliera, recentemente hanno fatto la loro comparsa diversi stormi allogeni, appartenenti al genere migratore dei “consulenti strategici”, che solcano i cieli della globalizzazione e nidificano nelle grandi aziende, ma in Vaticano configurano un’assoluta novità ornitologica, monitorando la situazione dall’alto, sovrapponendosi temporaneamente o in taluni casi addirittura sostituendosi alle specie endemiche, com’è accaduto con il neodirettore dello IOR, planato direttamente dal Promontory Financial Group di Washington.
A Promontory, che opera pure all’APSA, si aggiungono Ernst & Young al Governatorato, KPMG alle procedure contabili, McKinsey ai mezzi di comunicazione, PWC all’Ospedale Bambino Gesù e Deloitte alla Casa Sollievo della Sofferenza: sigle che concentrano un enorme condensato sapienziale in termini di organizzazione dei processi produttivi e stanno all’economia postmoderna come autentici cenacoli, dispensatori di pentecosti laiche.
Ma proprio per questo appaiono emblemi di quella tentazione efficientista da cui la Chiesa, secondo il magistero di Francesco, dovrebbe rifuggire, quale espressione dello spirito del mondo: una “cryptonite” della mondanità che finirebbe per vanificare lo Spirito divino, specialità esclusiva della casa, con paradosso stridente e contraddizione evidente.
L’arcivescovo di Buenos Aires, che dopo avere superato la selezione dello Spirito Santo la sera del 13 marzo uscì sulla loggia della Basilica, come Pietro a Pentecoste sulla piazza di Gerusalemme, scoprendosi capace di declinare le lingue della koinè mediatica, con tutta probabilità non sarebbe risultato idoneo al discernimento dei “cacciatori di teste”, che gli avrebbero preferito un cardinale telegenico e dal piglio manageriale.
La “due diligence”, precetto cardine e parola d’ordine dei catechismi aziendali, rischia di venire assolutizzata da mezzo a fine e trasformata in vitello d’oro, se non è integrata dalla gratuità e dal sacrificio, che fanno dagli albori la forza e la differenza nel servizio al mistero e ministero dei successori di Pietro. “Potremmo pensare che questa via della povertà sia stata quella di Gesù”, scrive ancora e perentorio Francesco nel messaggio per la Quaresima, “mentre noi, che veniamo dopo di Lui, possiamo salvare il mondo con adeguati mezzi umani. Non è così”.
Accostando genialmente Francesco a Superman, lo street artist Mauro Pallotta, in arte Maupal, ha rivestito il Pontefice di un simbolismo popolare dalle proiezioni più ampie delle intenzioni. E dal respiro, anche teologico, più profondo di quanto potesse immaginare.
Isolato al terzo piano del palazzo apostolico o circondato dai coinquilini al secondo piano di Santa Marta, l’appartamento papale resta infatti, al dunque e comunque, una “fortezza della solitudine”, proprio come il rifugio segreto del supereroe, dove un Papa nei frangenti di svolta si ritrova inesorabilmente solo con la propria coscienza e le proprie scelte, contrastato dai demoni e consolato dagli angeli.
Il piccolo amico di Papa Francesco
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agf
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