ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 16 marzo 2014

Come piace questo papa

Di Francesco è ammirata l’astuzia, che però il mondo considera ambigua, enigmatica, non fidandosi di un rivoluzionario che non ha ancora abolito il peccato. Lo vogliono periferico, come i loro desideri
Hanno uno strano modo di farsi piacere il papa, quelli che vogliono una chiesa amabile e non precisamente competitiva o emulativa con il mondo, sorella forse ma non madre e maestra. Si domandano se e quando ordinerà le donne e ne farà dei preti. Se benedirà la sofferenza dell’aborto, oltre a quella del divorzio, in nome della misericordia. Se saprà essere vicino alle vittime degli abusi del clero e ai gay, come sembra avere promesso ma finora non ha mantenuto appieno. Trovano irritante che Francesco abbia una posizione di riserbo e rilutti a espandere il suo progetto di comunicazione seduttiva oltre i confini della dottrina cristiana e del vangelo sine glossa, senza interpretazioni. Lo considerano un enigma, perché è un rivoluzionario, d’accordo, e odia la “lebbra” curiale, ma l’abolizione del peccato, che gli fu attribuita come un già fatto, ancora non è codificata nel diritto canonico. Se vuole restaurare l’attrattività della chiesa, dopo che Paolo VI evitò colpevolmente di innalzare la bandiera del preservativo su tutte le parrocchie, deve andare oltre la tenerezza pastorale, deve intenerire e parecchio l’osso della dottrina. Così dicono.

Non è facile capire quali misteriose ragioni, vanità a parte, inducano le belle menti del mondo spirituale residuo d’occidente, specie quelle di lingua inglese ma non solo, a volere un papa che non sia un papa. Un maestro senza pedagogia, un amico che ti racconta balle, un camminatore e pellegrino senza meta. Confidano nei formulari parrocchiali e nelle risposte della base cattolica, convinta a quanto pare della santità del divorzio di coscienza e dell’opportunità di una morale sessuale al passo con i tempi presenti, al passo con il sentimento e l’amore come lo intendono loro, e c’è voluto un gesuita francese, il provinciale Jean-Yves Grenet per ricordare ieri al Monde che la Compagnia di Gesù fece già negli anni Settanta una grande inchiesta di sociologia religiosa, ma dovette registrare “scepticisme face aux résultats” concreti di quella consultazione. Il papa Francesco è “rusé”, dicono i confratelli, i Reverendi Padri che lo conoscono bene, è astuto. Per ora, aggiungono, non registriamo un “raz-de-marée” di vocazioni, un’impennata di chiamate, anche solo alla messa della domenica, ma la strada che conduce alle frontiere, che ispira la missione di corteggiamento del contemporaneo, che spinge all’apertura “del campo di coscienza” (come diceva sant’Ignazio) è a senso unico e non si può tornare indietro. In un testo accorato scritto per l’Osservatore, il cardinale Kasper si è chiesto se sia stata una buona idea decidere per il Sinodo sulla famiglia, e si è risposto che sì, lo è stata, ma solo a patto di farne poi uno strumento di riforma dottrinale e pastorale radicale, altrimenti la delusione sarebbe tremenda e si ripercuoterebbe sulla chiesa tutta.

Nel giro dei “lebbrosi” del papa, quelli che lo consigliano, la sua curia, si capisce meglio che non tra i cortigiani mondani la difficoltà del compito di uscire da sé stessi e inoltrarsi nelle periferie. La chiesa cattolica è un organismo naturalmente sensibile e intelligente, conosce il fenomeno della “perdita del centro”, sa per antica esperienza dell’umano che il cuore è appunto il centro della persona solo se assistito da una coscienza formata, altrimenti è un intrico astratto di passioni periferiche e di trappole di vario genere. Francesco è il primo a conoscere le proprie astuzie, e sa che rendere relativa la legge, per procedere oltre nel segno della gioia evangelica e della misericordia divina, è un esercizio necessario, illuminato dalle circostanze spettacolari della rinuncia al Soglio del predecessore, ma fortemente rischioso. Pare che la natura umana sia intimamente corrotta e che la bellezza dell’umano sta nella sua dipendenza consapevole da altro, e che quell’altro, il mediatore di salvezza, è uno e uno solo, è centrale, e non si incontra nelle periferie tranne che nelle sceneggiature dei buoni sentimenti. Assolvere non è facile, è parte del giudicare. Nessuno vuole essere giudicato, il perdono è il mestiere di Dio, ma quello del papa non è altrettanto gratificante.
Giuliano Ferrara

1 commento:

  1. Non pretendo di essere il portatore della verità; non pretendo di essere colui che scopre la verità e la dice, ma io riconduco gran parte della situazione attuale alla vergognosa scomparsa e demolizione che si è fatta nei confronti del Dottore Angelico e del tomismo. Il tomismo è l'ossatura della fede, la bussola di bordo. Pensiamo solo al fatto che persino un personaggio sulfureo e pericoloso come Guenon si lamentò della scomparsa della Summa. Nei seminari, soprattutto, non si prende più in considerazione San Tommaso e la sua opera. Quando viene meno l'aquinate prende il sopravvento il relativismo. La Chiesa ha operato a rigore di logica e di fede proprio grazie a Tommaso. Quando capito nelle librerie di Via della Conciliazione, mi diverto a osservare i titoli esposti: si trova di tutto, tranne che la sana dottrina. Se chiedi un titolo di Del Noce, di Gilson, di Cornelio Fabro ti guardano come se hai chiesto qualcosa in tibetano! Paolo Brosio, don Gallo, Enzo Bianchi, Mancuso, Cacciari, persino Dan Brown godono di esposizione; Cornelio Fabro no! Persino Chesterton, nonostante la primavera odierna che lo avvolge, attraverso le ripubblicazioni in atto delle sue grandi opere, non gode di esposizione. Ma non ci sorprendiamo: tutto ha una logica. Folle, ma sempre logica!

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