L'analisi di Tornielli: vicinanza, fratellanza, preghiera per le sofferenze degli uni e degli altri, questo ha comunicato Francesco in Terra Santa. Il «miracolo» al Santo Sepolcro
Con la terza e ultima giornata del suo pellegrinaggio sulle orme di Paolo VI e del patriarca Athenagoras, Papa Francesco ha completato un percorso brevissimo ma intenso. Il momento chiave della giornata è stata la memoria delle vittime della Shoah, allo Yad Vashem. Qui Bergoglio con umiltà e naturalezza ha voluto baciare la mano ai sopravvissuti dell'Olocausto che gli sono stati presentati. C'è stato un tempo in cui per coloro che si avvicinavano al Papa regnante dovevano gettarsi a terra per baciargli la pantofola. Poi si è passati al bacio dell'anello, come per i vescovi. E ancora oggi l'incontro personale del Pontefice con i pellegrini a margine dell'udienza generale è chiamato «baciamano».
Durante questo viaggio, Francesco ha baciato la mano al patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, ma questo gesto di affetto e di grande rispetto, che peraltro Bergoglio ha già compiuto a Santa Marta con qualche sacerdote anziano, può essere in qualche modo collegato al sacramento del sacerdozio e dell'episcopato: a preti e vescovi si usava baciare le mani. Non si era mai visto - al di là di un accenno fatto mesi fa alla regina Rania di Giordania - un Papa che si fermasse, inchinandosi, a baciare la mano a dei laici, persone con storie diverse, unite solo dal fatto di appartenere al popolo ebraico e di essere sopravvissute a quella «mostruosità», a quell'«abisso di male» - come l'ha definito Francesco - che è stata la Shoah. Un male che «mai era avvenuto sotto la volta del cielo».
Questo gesto di umiltà riflette l'immagine di un Dio che in Gesù, si è abbassato, si è annullato, si è fatto «servo pur essendo Signore», come ebbe a dire Francesco qualche mese fa. Le parole semplici e dirette, accompagnate da questi gesti, hanno avuto un effetto realmente disarmante, che ha permesso a Bergoglio di essere se stesso fino in fondo, senza eccessive preoccupazioni diplomatiche.
Un fuori programma significativo, tanto quanto lo era stato ieri la sosta in preghiera al muro di cemento armato che divide la Cisgiordania da Israele, è avvenuto questa mattina: Francesco ha voluto sostare davanti alla stele per le vittime del terrorismo. Anche qui ha appoggiato la mano. Anche qui ha pregato in silenzio. Più che un modo di bilanciare uno squilibrio che non c'è mai stato, la dimostrazione di essere libero, veramente uomo di pace, attento e partecipe alla sofferenza di tutte le vittime. E in ultima analisi non strumentalizzabile politicamente dalle due parti.
Il Papa non ha parlato del muro e dei muri. Li ha toccati. Ha abbracciato ebrei e musulmani. Ha mostrato vicinanza con i gesti. L'incontro al palazzo presidenziale con Simon Peres non è stato l'incontro tra due capi di Stato, c'è stato qualcosa di più. E vedremo se l'iniziativa «creativa» e inaspettata dell'incontro di preghiera per la pace in Vaticano con Peres e Abu Mazen, che non si è potuto fare in questi giorni come Francesco avrebbe voluto, porterà dei frutti.
Ma il vero «miracolo» del viaggio, passato comprensibilmente in secondo piano a motivo della visita a Betlemme, della preghiera al muro e dell'annuncio del summit, è stato ciò che è accaduto domenica sera al Santo Sepolcro, o meglio alla basilica dell'«Anastasis», della resurrezione. Francesco successore di Pietro, e Bartolomeo successore di Andrea, si sono ritrovati veramente come fratelli. Non è stato l'esito di dialoghi teologici, di incontri di vertice. Ancora una volta, è dipeso dal coraggio e dal temperamento di due persone decise a osare. Due persone che avrebbero certamente osato molto di più, ma che sanno di non poterlo fare a motivo delle resistenze interne alle loro Chiese.
«Ci siamo staccati e separati tra noi nella prassi - diceva il patriarca Athenagoras, che volle fortemente l'abbraccio con Paolo VI dopo cinquecento anni di divisioni - nella prassi dobbiamo nuovamente ritrovarci e riunirci. Questa prassi dev'essere permeata dall'amore di Cristo, qual è stato caratterizzato nella sua essenza dall'apostolo Paolo». Vedendo Francesco e Bartolomeo camminare tenendosi per mano, aiutandosi e sostenendosi a vicenda, inginocchiandosi insieme nel luogo più sacro per i cristiani di ogni confessione, si percepisce che per quei due successori degli apostoli e sinceri credenti in Cristo l'unità e la piena comunione non passa innanzitutto dalle alchimie dei dibattiti teologici, ma sul riconoscimento - fatto insieme - di un'appartenenza comune.
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