La coercizione e il mondo nuovo
Finito il compromesso neoilluminista e cristiano, chi saprà resistere?
Non poteva non succedere. La coercizione entra in campo. Quando era la chiesa a dettare le regole, il confine tra peccato e reato fu abolito. Il legame dottrinario con la verità come assoluto impose le sue schiavitù. D’accordo. Ora è l’ideologia di stato del correttismo a dire quel che è giusto e quel che è sbagliato.
Non c’è più quello che Max Weber chiamava il politeismo dei valori. C’è altro, la prevalenza sempre più incontrollata di nuovi criteri antropologici che riformano e riclassificano l’idea di uomo e donna, di famiglia, di sesso, di procreazione e di vita: si afferma in modo sempre più obbligato, con le ideologie del gender e la gay culture e il femminismo abortista del diritto alla privacy procreativa, una visione dell’obbligo politico, e del dovere pubblico, che è nelle mani del nuovo potere integralmente scristianizzato. Non lo dico con tono scandalizzato o indignato, cerco di ragionare sui fatti, in primo luogo quelli raccontati qui da un Giulio Meotti e negati o nascosti nel vasto altrove della carta stampata e della cultura corrente. In materia di comportamenti etici, attitudini civili, libertà di opinione e di azione, adesso, è la probità intellettuale, è il repubblicanesimo come nuovo credo, è il governo come agente pubblico di una libertà senza confini, assoluta come la vecchia verità, a imporre la sua legge.
ARTICOLI CORRELATI Famiglia vaticana allargata La coscienza La guerra globale alla coscienza Sì alle nozze gay, ma dateci le scuoleFino a ieri, all’altro ieri, era vigente un compromesso determinato dal costume, da una certa obbedienza tradizionale ancora diffusa nei popoli cristiani d’occidente. Nella distinzione kantiana universalmente accettata, resisteva una sottile forma di parentela linguistica e di contenuto ontologico, riguardante l’essere delle cose e delle anime, tra peccato e reato. La carità e la misericordia, materiale teologico speciale e non ideologia pastorale, non avevano rinunciato alla funzione del giudizio. Finzione o realtà, la soluzione liberale si chiamava libera chiesa in libero stato. Una competizione tra soggetti diversi illuminata dalla sensibilità e dal rispetto consentiva una convivenza di opposti nello spazio secolarizzato e tuttavia ancora segnato dalla memoria culturale di un comune passato, che aveva nei simboli e nelle idee della religione un suo modo di testimoniare il vero o il presunto vero. Non è più così. Siamo entrati a forza, con la forza dello scambio di merci e la creatività del mondo pubblicitario e mediatico, e con i regolamenti conseguenti, in un’epoca di repubblicanesimo virtuoso. La nuova virtù è la disinibizione coatta, l’obbligo rousseauiano a essere liberi.
© FOGLIO QUOTIDIANO
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