La Madonna in Nigeria con le Francescane dell'Immacolata. Un miracolo quotidiano
Un'altra boccata di ossigeno dalle cronache agitate di questi giorni,
con Chiara Gnocchi, che ci ha già dato prova di grande profondità e
sensibilità umana e spirituale, insieme alla capacità di esprimerle [qui].
Questa sua bella testimonianza accanto alle Francescane dell'Immacolata in Nigeria risale all'estate scorsa. La riprendo perché credo che sia una di quelle storie senza tempo capaci di dare ragione della fede e insegnare molto più di tanti bei discorsi. E anche per tener desta l'attenzione su un capitolo doloroso e dagli aspetti ancora indecifrabili della storia ecclesiale recente.
Questa sua bella testimonianza accanto alle Francescane dell'Immacolata in Nigeria risale all'estate scorsa. La riprendo perché credo che sia una di quelle storie senza tempo capaci di dare ragione della fede e insegnare molto più di tanti bei discorsi. E anche per tener desta l'attenzione su un capitolo doloroso e dagli aspetti ancora indecifrabili della storia ecclesiale recente.
Mi chiamo Chiara, ho diciotto anni e quest’estate ho scelto di fare una
vacanza un po’ particolare. Ho deciso di trascorrere un mese in Nigeria,
nella missione delle Suore Francescane dell’Immacolata.
Prima di partire la maggior parte delle persone mi guardava con gli
occhi sbarrati e mi chiedeva se fossi impazzita o se giocassi a fare
l’eroina. Nessuno capiva perché mai volessi spendere un mese della mia
vita in mezzo alla povertà, senza divertimenti e senza amici, quando qui
a casa avrei tutto ciò che serve per essere felice. Eppure ero stanca
di quel che mi circondava: non mi attraeva la musica sotto l’ombrellone,
il materassino in mezzo al mare, il relax a bordo piscina. Volevo fare
qualcosa di diverso, qualcosa di radicalmente diverso, in grado di dare
uno scossone alla mia vita, e la Madonna mi ha esaudita.
Così, il 12 luglio, sono salita sull’aereo destinazione Lagos. Sia durante il viaggio di andata che durante il ritorno sono stata accompagnata da Madre Christine, la vicaria generale in visita annuale alle missioni nigeriane. Di lei mi ha sempre stupito il suo sguardo profondissimo, in cui vedevo riflesso il volto della Madonna, pieno di amore e di serenità. Poterla guardare negli occhi durante quel mese stato per me un dono immenso, specialmente nei momenti di malinconia. Nel suo sguardo ritrovavo la tranquillità. Dunque, il 12 luglio, con questa Suora meravigliosa è iniziata la mia avventura.
Così, il 12 luglio, sono salita sull’aereo destinazione Lagos. Sia durante il viaggio di andata che durante il ritorno sono stata accompagnata da Madre Christine, la vicaria generale in visita annuale alle missioni nigeriane. Di lei mi ha sempre stupito il suo sguardo profondissimo, in cui vedevo riflesso il volto della Madonna, pieno di amore e di serenità. Poterla guardare negli occhi durante quel mese stato per me un dono immenso, specialmente nei momenti di malinconia. Nel suo sguardo ritrovavo la tranquillità. Dunque, il 12 luglio, con questa Suora meravigliosa è iniziata la mia avventura.
Se vi state chiedendo come sia la Nigeria, il primo aggettivo che mi
viene in mente è “caotica”. Le strade sono perennemente intasate di
auto, moto e camion di tutte le dimensioni. I pedoni attraversano la
strada con una audacia mai vista prima e i mercanti rincorrono i
veicoli per cercare di vendere anche un solo pacchetto di banane
essiccate. Il rumore dei clacson, della gente che urla e saluta, dei
lavoratori ai margini della strada crea una confusione tale che mi ha
sempre lasciata a bocca aperta, tanto è vero che le Suore, quando
uscivamo in auto, mi riservavano il posto davanti, forse le divertiva il
modo in cui indicavo tutto ciò che mi si presentava davanti.
La Nigeria, purtroppo, non è solo un Paese di allegro disordine. La
povertà, le contraddizioni e soprattutto la confusione morale minano uno
Stato che avrebbe grandi, grandissime potenzialità. Girando per le
strade è facile incontrare una moschea ogni cento metri e decine e
decine di chiese delle sette più diverse, messe bene in vista da grandi
cartelli che indicano gli orari di servizio dei vari pastori, sorridenti
e determinati nei loro sorrisi smaglianti che però non celano un che di
inquietante. “La Chiesa dei vincitori”, “la Chiesa del Divino Successo”
sono solo alcuni degli esempi di quanto sia facile, per i più
spudorati, giocare sulle speranze di un popolo che, ogni mattina, si
sveglia senza sapere se avrà abbastanza denaro per arrivare a sera. Quei
cartelli mostrano come sia semplice spillare denaro promettendo
qualcosa di demoniaco: il successo, la ricchezza e la gloria
esclusivamente terreni, incitando a imbrogliare il prossimo pur di
raggiungere i propri obiettivi.
In questo clima tutt’altro che sereno, operano i Frati e le Suore
Francescani dell’Immacolata, che si impegnano con coraggio a
testimoniare la presenza di Cristo attraverso il loro stesso esempio e
il quotidiano esercizio della carità. Tuttavia, quel che da subito le
Suore mi hanno insegnato è che non sono loro a portare Cristo tra la
gente, ma è Cristo ad averle volute in quel luogo, per testimoniare la
Verità: dunque la missione si regge innanzitutto sulla preghiera, sulla
penitenza e sulla Messa. Mi hanno insegnato che, senza l’abbandono
alla Volontà Divina, l’uomo nulla può fare di fronte alle difficoltà più
grandi e agli ostacoli che, in un Paese come la Nigeria, a occhio umano
appaiono insormontabili.
Le Suore si svegliano ogni giorno alle cinque meno un quarto, quando
fuori il mondo dorme ancora, e, con la luce di una pila, dato che la
corrente elettrica viene usata poche ore al giorno, si affrettano alla
cappella per pregare. Dopo la Santa Messa delle sei, fanno ritorno in
cappella, dicono il rosario e fanno un’ora in totale silenzio, immerse
nella lettura meditativa. La Messa viene curata in ogni minimo
dettaglio. Le Suore si danno da fare per procurare ai sacerdoti i
paramenti migliori ed è incredibile come, nonostante la povertà estrema,
i Francescani non pensino a risparmiare per le candele, per i calici
migliori e per le vesti ricamate. Insomma, per la gloria di Cristo non
devono esserci restrizioni.
Solo tre ore dopo essersi svegliate e aver pregato incessantemente, la
campana le chiama per la colazione, che ogni venerdì viene consumata in
ginocchio. La prima volta che ho visto le Francescane spostare
sorridenti le sedie e mangiare in questo modo ho chiesto a Suor Letizia,
l’unica Suora italiana della missione, se non stessero scomode. La sua
risposta è stata “Se pensi che Cristo ha sopportato la Passione, direi
che noi possiamo stare un po’ in ginocchio per Lui”. Da quel momento non
ho più provato stupore per quel gesto spontaneo. La preghiera non
finisce con il primo pasto della giornata, ma accompagna le Suore per
tutto l’arco della giornata, una sorta di filo d’oro che le tiene
sospese verso il Paradiso, ma che allo stesso tempo permette loro di
restare con i piedi ben saldi a terra, per essere in ogni momento uno
strumento divino.
Le missionarie conducono una vita attiva, dunque l’esercizio della
carità anche più spicciola ha un’importanza fondamentale nella loro
vita. Nel villaggio in cui sono stata ospitata, Ijeboo, che si trova ai
margini della foresta, le Suore e i Frati gestiscono il lebbrosario, una
sorta di “villaggio nel villaggio”, in cui vengono segregati i
lebbrosi, molti con le loro famiglie. La mia prima visita al campo è
stata emotivamente molto forte. Una lebbrosa si trovava in fin di vita
e, insieme alle Francescane, sono entrata in una piccola stanzetta
spoglia e sporca, a recitare il Rosario davanti alla donna, sdraiata su
lettino e circondata dalle mosche. In quel momento ho capito che la
presenza spirituale, per queste persone, è più importante della presenza
materiale. Come mi ripeteva Suor Letizia: “Non è il cibo ciò di cui
hanno bisogno i nigeriani. In Nigeria la gente, per quanto povera e
malnutrita, non muore di fame. Qui il vero bisogno è Cristo, e la
mancanza della Verità è la povertà e la pena più grande.” I
nigeriani, in generale, sono giovani nella fede, dunque vanno
costantemente “nutriti” di Cristo. Ci sono decine di episodi che
testimoniano quanto la loro semplice presenza, dunque la presenza delle
Suore e dei Frati della missione, e quindi dell’Immacolata a cui sono
consacrati, tocchi i cuori delle persone e di quanto, al contrario, la
loro assenza le renda preda del Male, che cerca costantemente di
strapparli dalla Verità.
Le Suore, tuttavia, non dimenticano il sostegno materiale.
Periodicamente, le aiutavo a distribuire cibo e medicine per tutto il
campo e non mancavano mai i dolci per i bambini. Un fatto
particolare, che mi ha fatto riflettere, è avvenuto durante una mia
visita al lebbrosario. Stavo distribuendo dei biscotti ai bimbi più
piccoli che, come al solito, accarezzavo e coccolavo. Uno di questi, di
quattro o cinque anni, si è avvicinato, mi ha ridato il biscotto e mi ha
detto che avrei potuto mangiarmelo io, a patto che lo prendessi in
braccio. Mi si è stretto lo stomaco.
Come possono dei bambini così piccoli arrivare a barattare un po’ di affetto? Ho così scoperto che il concetto di maternità in Nigeria è molto differente dal nostro. Lì, le persone non hanno come modello di riferimento la Madonna, la Madre per eccellenza, dunque i figli non vengono amati, coccolati, e cresciuti con tutte le cure e le attenzioni che a noi vengono naturali. I bambini sono spesso considerati “incidenti”, dato che anche il concetto di famiglia non è chiaro, e, nella maggior parte dei casi, vengono cresciuti con la prospettiva del lavoro, quindi come aiuto materiale ai genitori. Fa impressione quanti valori, per mancanza della vera fede, siano ancora sconosciuti e dunque di quanto il cattolicesimo sia prezioso per l’intera società.
Come possono dei bambini così piccoli arrivare a barattare un po’ di affetto? Ho così scoperto che il concetto di maternità in Nigeria è molto differente dal nostro. Lì, le persone non hanno come modello di riferimento la Madonna, la Madre per eccellenza, dunque i figli non vengono amati, coccolati, e cresciuti con tutte le cure e le attenzioni che a noi vengono naturali. I bambini sono spesso considerati “incidenti”, dato che anche il concetto di famiglia non è chiaro, e, nella maggior parte dei casi, vengono cresciuti con la prospettiva del lavoro, quindi come aiuto materiale ai genitori. Fa impressione quanti valori, per mancanza della vera fede, siano ancora sconosciuti e dunque di quanto il cattolicesimo sia prezioso per l’intera società.
Il lebbrosario non è l’unica preoccupazione delle Suore. A Shagamu, un
villaggio a un’ora di distanza da Ijeboo, è stata costruita una grande
casa per le bambine. Attraverso le adozioni a distanza le Francescane
permettono a queste ragazzine dai sei ai diciotto anni di completare gli
studi, strappandole da situazioni di povertà estrema, in cui non solo
non avrebbero la possibilità di andare a scuola, ma, in alcuni casi, non
avrebbero garantito il cibo quotidiano.
A Shagamu ci sono una trentina di aspiranti Suore, tutte nigeriane, che
si preparano a diventare novizie attraverso una formazione molto rigida.
Rigida però non vuol dire musona o tetra. Durante i miei pranzi a
Shagamu, raramente smettevo di ridere e questo è incredibile, se si
pensa che capivo un decimo di quel che dicevano e mi sbellicavo
semplicemente per il modo in cui ridevano e scherzavano tra loro.
In generale, durante il mio mese in missione, credo di aver percepito
davvero cosa sia la perfetta letizia francescana. Suor Angela,
religiosa filippina, è in Nigeria da più di dieci anni, ha visto spesso
ciò che, in una visione solo umana, verrebbe chiamata fallimento, ma
nonostante tutto è la Suora che a Ijeboo è più allegra di tutte. Era
veramente un piacere fare commissioni con lei: dopo tanti anni trovava
ancora buffo il modo in cui la gente guida e indicava divertita le
scimmie appese ai lati della strada o i vestiti sgargianti delle
africane.
Quando ero assieme alle Suore, mi sentivo serena e protetta, come se
accanto a me avessi tante Madonnine che, anche in un luogo pericoloso
come la Nigeria, mi davano sicurezza e tranquillità.
I momenti di malinconia arrivavano con la notte, quando ero sola e
sentivo il muezzin recitare il corano attraverso l’altoparlante, appena
fuori dalla missione. Quella voce stridula, che aveva qualcosa di
demoniaco, mi pungeva il cuore come tanti aghi e mi causava uno strano
senso di inquietudine. Spesso il sonno era interrotto anche dal suono
ritmico dei tamburi, al passaggio dei cortei pagani. Durante giorni
prestabiliti, i pagani fanno sacrifici umani e lasciano i resti
all’interno di catini ai margini delle strade, come offerte agli dei e
agli antenati. In quei momenti, proprio quando credevo di non trovare
più pace, sentivo il “Salve Regina”, cantato dai Frati nella casa a
fianco, un’ancora di salvezza che mi faceva capire quanto fosse dolce e
confortante il “suono della Madonna”.
La stanza che è stata il mio rifugio per un mese era molto spoglia,
sebbene fosse una delle migliori del convento. Lo stile di vita delle
Francescane è estremamente povero. Mi ha colpito il fatto che, invece
dello specchio hanno l’immagine della Madonna e, ogni volta che la
guardano, si ricordano che devono essere sempre simili alla Madre di
Cristo. Questo è solo un segno della profonda umiltà che mi è stata
d’esempio per un mese. Madre Perpetua, entrata nella missione durante la
mia permanenza, insisteva per lavare i piatti e sbrigare le faccende
più banali, pregando incessantemente il Rosario. Suor Pasqualine Grace,
una tra le novizie, mi ha rivelato che il suo segreto per riuscire a
cucinare pranzo e cena a tutte le suore era pregare e affidarsi alla
Madonna. Suor Letizia mi ha confidato che era felice anche quando doveva
pulire il bagno, perché anche in quel momento, ubbidendo alla Madre,
faceva il volere di Dio. Ogni tanto sento ancora nostalgia di Suor
Letizia, che non solo è stata mia interprete per tutto il tempo, ma mi è
sempre stata accanto e mi ha insegnato quanto più ha potuto, dalle
ottime lezioni di morale e dottrina, alle decine di aneddoti sulle vite
dei Santi, a controllare l’olio del furgone e a non sprecare nemmeno una
briciola del cibo che ogni volta viene donato dalla Provvidenza.
Grazie a tutte le Francescane ora so cosa significa veramente stare in
missione, stare accanto alla gente bisognosa per conto di Dio. Ho capito
cosa significa combattere contro le centinaia di ostacoli che il
demonio mette loro sulla strada, per intralciarne il percorso. Per
questo non mi stancherò mai di dire a tutti che ho vissuto un mese con
persone straordinarie, disposte a donare la loro esistenza per seguire
povere il Cristo povero, con tutti i pericoli che ciò comporta.
Le Suore escono raramente da sole, per strada sono costrette a tenere
nascosti i pochi soldi che hanno e che spenderanno per gli altri, per
paura di essere derubate. In questo clima di insicurezza e di pericolo è
impossibile ricevere aiuto dalle autorità a causa della grande
corruzione. La confusione morale giunge a tal punto che lo Stato in cui
si trova Ijeboo (la Nigeria è divisa in più di duecento piccoli Stati) è
privo del re. Il motivo è molto semplice. Quando il re muore il
successore ha diritto di salire al trono solo dopo aver mangiato il
cuore del precedente. Poiché, per la prima volta nella storia, i figli
del re defunto si sono rifiutati di autorizzare questa pratica
antiumana, lo Stato si trova senza guida. Questi sono alcuni tra i più
banali esempi che fanno della missione nigeriana la missione
Francescana più difficile al mondo. Eppure in questo clima le Suore
vivono n letizia, un miracolo quotidiano.
Uno degli ultimi giorni, ero in auto e con le suore si parlava delle
difficoltà del loro operato. A un certo punto la Madre ha detto: “Secondo me la missione non può continuare senza il sacrificio di qualche Suora.” E subito rimando una suora: “Ma
questo è ovvio Madre. Due frati sono già morti, ora tocca a noi morire
qui, in martirio, come offerta a Cristo per tutta la Nigeria”.
Mi si sono rigate le guance di lacrime e sono stata in silenzio.
Ritenevo che ogni parola in più fosse inutile. E, a dirla tutta, lo
penso anche ora.
Chiara Gnocchi
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[Fonte: Il Settimanale di Padre Pio, n.37 - 22 settembre 2013]
[Fonte: Il Settimanale di Padre Pio, n.37 - 22 settembre 2013]
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