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lunedì 1 dicembre 2014

Dove eravamo o dove saremo?


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Papa Francesco a Istanbul, il dossier Vaticano II cinquant’anni dopo

La dimensione ecumenica, con la visita al patriarca Bartolomeo, è stata distinta ma non separata dalla dimensione politica della visita al leader della Turchia: si tratta di una visione profondamente conciliare del nesso tra ecumenismo, dialogo interreligioso e pace
Papa Francesco a Istanbul, il dossier Vaticano II cinquant'anni dopo
La Turchia è uno snodo geografico e culturale del difficile passaggio del secolo ventesimo dalle religioni imperiali alla religione nella sfera nazionale e internazionale, tra laicità e ritorni identitari.
Ma per la chiesa la Turchia è anche uno snodo irrinunciabile per capire Giovanni XXIII e quindi il Concilio Vaticano II.
La sensibilità di Roncalli per la questione della convivenza e della coesistenza tra popoli e religioni nasce tra Bulgaria e Turchia, e specialmente in quella Istanbul che è crocevia diplomatico, sede della comunità ebraica più importante del Mediterraneo, laboratorio culturale per gli anni Trenta del ressourcement teologico, ma anche di fermenti culturali più vari (a Istanbul convergono negli stessi anni Roncalli, Erich Auerbach autore di Mimesis, l’avventuriero umanista inglese Patrick Leigh Fermor, e molti altri).
Una delle chiavi interpretative maggiori per comprendere il Concilio Vaticano II è il nesso tra conversione delle chiese, unità tra i popoli e pace – una delle intuizioni maturate dal diplomatico vaticano Roncalli nel ventennio tra l’ascesa dei nazionalismi totalitari e autoritari in Europa e la fine della Seconda guerra mondiale. I tempi di oggi sono diversi, ma non privi di rischi analoghi, e papa Francesco è interprete del malessere del mondo euro-mediterraneo: dal Parlamento europeo alla reggia di Erdogan in pochi giorni, il messaggio del primo papa non euro-mediterraneo è unitario ed è una conferma del genius Romae, del ruolo di Roma (come sede del papato ma anche come città) anche all’interno di una Chiesa globalizzata e ormai demograficamente post-europea.
La dimensione ecumenica, con la visita al patriarca Bartolomeo, è stata distinta ma non separata dalla dimensione politica della visita al leader della Turchia: si tratta di una visione profondamente conciliare del nesso tra ecumenismo, dialogo interreligioso e pace. Lo scenario è diverso da quello della vicenda conciliare: a unire i cristiani oggi non ci sono la guerra fredda e la persecuzione antireligiosa da parte dei comunisti in Europa orientale, ma le violenze a sfondo religioso tra Africa e Asia con il Medio Oriente al centro, avvitato in una spirale che spinge i cristiani a lasciarlo perché diventati vittime di persecuzioni mirate. Ma oggi come allora, nella guerra fredda, l’Oriente cristiano trova a Roma un interlocutore che non trova in altre zone del cattolicesimo d’avanguardia, come quello nordamericano. In questo senso, la centralità di Roma e del papato è frutto di uno “stato d’eccezione” (come direbbe Carl Schmitt) che è più storico-politico che teologico-dottrinale, e le chiese hanno una memoria più lunga degli think tank e del capitale internazionale.
Una delle novità del papato di Francesco è la dimensione spirituale e personale del dialogo che supera le ostilità mascherate da prudenza politica e da precisione teologica. Sul piano dei gesti, la sorpresa di Bartolomeo di fronte all’insistenza di Francesco che gli chiede una benedizione dice molto della potenza di questo momento storico per concretizzare l’aspirazione all’unità tra Oriente e Occidente. Ma non vi sono solo i gesti. È evidente l’assoluta preminenza, in tutto il magistero bergogliano e non solo nelle questioni ecumeniche, del documento sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II, Unitatis Redintegratio, e specialmente del paragrafo 11 sulla “gerarchia delle verità”.
Ma è evidente anche il passaggio da un vocabolario del magistero papale tentato di rivestire tutto (e il contrario di tutto) di Concilio Vaticano II, in una sorta di “nominalismo conciliare”, al magistero di Francesco che fa il concilio nominandolo direttamente solo in occasioni particolari.
Ma a Istanbul Francesco ha parlato di quel momento nella vita della Chiesa più spesso che in altre occasioni. La visita di papa Francesco in Turchia è un’altra tappa del “dove eravamo?” del pontificato di Bergoglio: la riapertura del dossier conciliare, con tutte le sue implicazioni ecumeniche, aperto cinquant’anni fa.

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