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lunedì 5 gennaio 2015

Gratta e guarda chi c'è sotto..^

Padova, l’impero finanziario della Chiesa

Investimenti, immobili e gravi perdite di una delle più grandi Diocesi d’Italia

Lo schema delle società
Fonte:

PADOVA Una Chiesa «povera per i poveri», che «sia madre e non imprenditrice», perché «quando crede di poter andare sulla strada dei farisei è sterile». Così dice papa Francesco. A Padova, tuttavia, Diocesi tra le più grandi d’Italia (459 parrocchie su un territorio che copre anche parte delle province di Belluno, Treviso, Vicenza e Venezia, il cuore del Veneto «bianco»), da tempo si susseguono inquietudini su come, negli ultimi anni, siano state gestite le finanze. Questa inchiesta, alla vigilia della fine del mandato di monsignor Antonio Mattiazzo, in carica dal 1989, pronto a lasciare il prossimo aprile al compimento del 75esimo anno di età, vuole raccontare cosa sia successo e cosa stia accadendo. 


Padova, l’impero finanziario della Chiesa
Investimenti all’estero
A guardare oggi l’architettura societaria della Chiesa di Padova, sembra di avere a che fare con quella di un importante gruppo finanziario. Il sistema ruota attorno a cinque perni (ciascuno ha bilanci autonomi, ma è comunque diretta emanazione del vescovo): la Diocesi di Padova, il Seminario vescovile, il Movimento apostolico diocesano (Mad), l’Opera della Provvidenza di Sant’Antonio (Opsa) e l’Istituto diocesano per il sostentamento del Clero. Essi rappresentano realtà importanti, che perseguono fini nobili e meritori; ma oggi sono anche veri e propri «player» sul mercato. La ricostruzione del castello societario permette di scoprire le prime sorprese, quelle che riguardano gli investimenti finanziari. La «Diocesi», assieme all’ente «Opera nostra signora di Lourdes» (che, formalmente, gestisce la casa vacanze «Maria Immacolata » di Asiago), controlla il 100% della società finanziaria «Difim Srl», con sede in via del Vescovado. Una finanziaria pura (oggetto «assunzione di partecipazioni e interessenze in Italia e all’estero in altre società operanti anche in settori e con scopi diversi da quello proprio»). Attraverso questa società, nel 2008, la Diocesi è entrata in «Dedalo Esco» di Bergamo, «spa» che ha interessi nel campo delle energie rinnovabili e che, a sua volta, detiene partecipazioni in due società collegate: «Bergamo Green Energy Srl» e la società di diritto bulgaro «Iniziative Bulgaria Ood». Entrambe si occupano di distribuzione e vendita di energia (l’ultimo bilancio si è chiuso in perdita: -50mila euro). Amministratore unico di «Difim» è monsignor Rino Pittarello, classe 1947, una delle eminenze grigie dell’era Mattiazzo. Proveniente dall’omonima famiglia dei commercianti di scarpe, Pittarello è stato fino al novembre 2013 l’economo della Diocesi: considerato e protetto dal vescovo, ma spesso discusso dai sacerdoti della «base». Oggi, oltre ad amministrare «Difim», è a sua volta parroco a Ponte San Nicolò, comune alle porte di Padova. In parrocchia c’è chi lo ama: ha già portato in gita decine di giovani prima a New York (a capodanno) poi in Terra Santa, pagando quasi tutto di tasca sua. Peraltro monsignor Pittarello non nasconde il proprio status: guida un Suv Bmw di grossa cilindrata.
Quella società con i politici
Enti trasformati in pedine sulla scacchiera degli affari. Lo schema si ripete per l’Opera della Provvidenza di Sant’Antonio, la meritoria casa di accoglienza di Rubano, che nel 1955 l’allora vescovo di Padova,  
^ monsignor Girolamo Bortignon, fondò con l’intento di dare una risposta radicale ai problemi della disabilità («fede, carità e preghiera», erano i principi ispiratori). Oggi l’Opsa, detiene il 40% di «Euganea Editoriale Comunicazioni Srl», l’azienda che si occupa di tutta la produzione editoriale della Diocesi (come si vedrà, in gravissima crisi). Ma non solo. Dal 2004 controlla una centinaio di azioni (212 per l’esattezza) di Allianz Subalpina Holding Spa, società di partecipazioni con sede a Torino; mentre, dal 2013, detiene partecipazioni in tre società che fanno investimenti edilizi e immobiliari: «Al Prà srl», «Ideal Tre srl» e «Case e Case srl». La posizione più sorprendente è quella in «Al Prà». Qui la Chiesa di Padova, pur con una piccola quota, partecipa ad un’impresa commerciale: la realizzazione di una grande struttura ricettiva (un agriturismo), con piscina e ristorante a Trebaseleghe, nell’Alta padovana. Tra i soci il presidente del consiglio regionale, Clodovaldo Ruffato (Ncd); il sindaco di Montagnana, Loredana Borghesan (Lega); il presidente del consiglio comunale di Vigonza, Sandro Benato (Forza Italia). L’azionista di maggioranza invece è tale Adriano Ballan, imprenditore che vive in Camerun (a Douala), dove gestisce una ditta di logistica. La struttura, che è stata costruita, ha visto succedersi una serie di gestioni difficoltose e oggi è momentaneamente chiusa (il bilancio 2013 registra una perdita di 62mila euro). L’ultimo ad averla condotta, per conto della «Al Prà», è Luciano Conzon, uomo di destra, già candidato alle Provinciali di Padova, vicino all’ex deputato di An Filippo Ascierto. Viene da chiedersi cosa ci faccia qui la Chiesa di Padova, chi controlli e chi verifichi. Da visura i rappresentanti legali dell’Opsa attualmente sono due prelati: oltre al direttore della struttura, monsignor Roberto Bevilacqua (classe 1946); c’è anche il vescovo emerito di Vittorio Veneto, l’anziano monsignor Alfredo Magarotto. Classe 1927.
L’ombra sui bilanci
La Chiesa investe, ma i bilanci come sono? Va male «Hub srl» che si occupa delle gestione del «Park Hotel Des Dolomites» di Borca di Cadore, alle porte di Cortina (una volta casa vacanza per le colonie, oggi, dopo una profonda e costosa ristrutturazione, vero e proprio albergo): ha chiuso il 2013 con una perdita di 157.144 euro, che il vescovo ha dovuto ripianare a fine anno con soldi freschi. Va malissimo, come si sa, «Gestione telecomunicazioni », la società che partecipa Telechiara, che ha chiuso il 2013 con una perdita di esercizio di 421mila euro. Ma ad allarmare è soprattutto «Euganea editoriale», l’azienda che pubblica «La Difesa del Popolo» e le altre iniziative editoriali della Chiesa di Padova, vero snodo dell’architettura societaria del sistema (come si vede, vi sono state fatte confluire tutte le forze principali: Diocesi, Seminario, Opsa). Il bilancio 2013 ha chiuso con una perdita di 446.592. E con importante interrogativo: la bocciatura dell’esercizio da parte del collegio dei revisori dei conti, che pone seri dubbi sulla gestione complessiva: «Il bilancio di Euganea Editoriale non appare conforme alle norme e non rappresenta con chiarezza e in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria ed il risultato economico della società», scrivono i revisori il 15 aprile 2014. Rilievi simili, si ricorderà, erano emersi quest’anno anche in seno all’Istituto diocesano per il Sostentamento del clero, l’ente che si occupa di garantire, attraverso la gestione di un gigantesco portafoglio immobiliare, il supporto assistenziale e previdenziale ai sacerdoti: ma la decisione della Curia, di fronte agli avvertimenti, fu di cacciare il presidente del collegio sindacale che quei rilievi aveva presentato, il commercialista Fabio Calore (il tribunale ha poi ordinato all’Istituto il reintegro).
La relazione choc 
Anche nelle parrocchie, dove gli affari temporali vengono gestiti direttamente dai parroci, si registra una situazione critica. Uno spaccato drammatico di quanto stia accadendo viene dalla relazione firmata lo scorso ottobre dal cancelliere vescovile e vicario giudiziale don Tiziano Vanzetto, a proposito di quanto accaduto nella parrocchia di Pieve di Curtarolo. Solo l’ultimo dei casi. Nella relazione si parla della gestione dei conti tenuti dal 2000 al 2010 da don Daniele Hudorovich, oggi diventato parroco alla Mandria, a Padova. «Don Daniele ha dichiarato che teneva una propria registrazione personale di entrate e uscite – scrive don Vanzetto -. Lo stesso riconosce però che non ha redatto in maniera corretta la rendicontazione, come previsto dalle norme». Il cancelliere vescovile cita dunque un dossier redatto al tempo da alcuni parrocchiani di Pieve proprio contro don Hudorovich, in cui si sosteneva che i bilanci della parrocchia fossero falsi. «Don Daniele – scrive il vicario , riportando il colloquio con il sacerdote – ha ammesso che quei fogli non corrispondono a verità». Ma non è tutto. Ad un certo punto, nella relazione, si fa riferimento a una somma di 20mila euro, sottratta dalle casse della parrocchia. Afferma don Vanzetto: «Don Daniele ha riconosciuto di aver effettuato un prelievo per il quale nessuno poteva autorizzarlo e non poteva essere certo giustificato come “segno di gratitudine”. Don Daniele si è reso disponibile a restituire a patto che sia chiaro che lui ha agito in buona fede, pur errando, e che la cosa non venga considerata la restituzione di un furto». Ma i sospetti restano: la relazione sostiene che don Hudorovic, nel tempo in cui era parroco a Pieve, avrebbe pure acceso un mutuo da 140mila euro con la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e si sarebbe acquistato una casa di proprietà. Con quali soldi? «Il sacerdote – scrive don Vanzetto – ha risposto di aver utilizzato risorse proprie e della propria famiglia, accollandosi un mutuo considerevole». Ma questo caso, come detto, non rappresenta un unicum. È lo stesso il vicario giudiziale nella sua relazione ad ammetterlo chiaramente: «I problemi sorti a Curtarolo – scrive don Vanzetto - purtroppo non sono una eccezione. Servono norme più precise e si sta cercando di offrire una formazione ai sacerdoti». E di fatti, non serve andare lontano per averne la controprova: nella stessa parrocchia di Pieve Curtarolo dopo don Hudorovich è arrivato don Emanuele Gasparini. Neanche il tempo di adattarsi, che ha dovuto dare le dimissioni. Secondo la Diocesi, che ha aperto un procedimento disciplinare, il sacerdote «mentre era parroco a San Marco Evangelista a Cassola (Vicenza, ma diocesi di Padova), ha dolosamente tenuto una cattiva amministrazione delle cose temporali con grave danno alla Chiesa».
L’impero immobiliare
Nuovo economo Don Gabriele Pipinato Ciò che salva ancora la Chiesa di Padova sono immobili e terreni, andatisi accumulando negli anni grazie a donazioni e successioni: con le rendite si stanno coprendo i buchi e le perdite. Oggi siamo in grado, incrociando i dati camerali e quelli catastali, di fornire il contorno dell’intero ammontare. Una cosa mai fatta prima, non solo perché tradizionalmente la Chiesa mantiene verso l’esterno un riserbo sui suoi averi; ma anche perché la parcellizzazione dei beni ha reso complicata, anche dall’interno, la visione d’insieme. L’ente «Diocesi» raduna 60 fabbricati e 46 terreni. La maggior parte dei fabbricati sono a Padova: si tratta di appartamenti, negozi e uffici tra via Vandelli, piazza Castello, via Cernaia, piazza Duomo. Nulla rispetto a quanto hanno gli altri enti diocesani. L’«Opsa» risulta intestataria di 134 fabbricati e 103 terreni in tutto il Veneto. Oltre alla grande residenza di Rubano e alla «Casa del Fanciullo » di via Santonini, che si occupa dei bambini orfani, ecco garage, uffici, negozi tra via Sant’Eufemia, via Monte Gallo, via Pietro Calzetta, corso Milano e via Dini, il nuovo «ghetto» degli immigrati. Il «Mad» ha invece 27 fabbricati e 3 terreni. L’«Opera esercizi spirituali» 48 immobili e 28 terreni, soprattutto residenze e collegi (anche a Roma). Le vere «casseforti» sono però il «Seminario vescovile» (173 fabbricati e 20 terreni) e l’«Istituto diocesano per il sostentamento del clero» (385 fabbricati, ben 919 terreni: valore immobiliare circa 120 milioni di euro). Sorprendente la catalogazione dei beni dell’Istituto diocesano: a catasto, perché non appaiano tutti insieme in un solo elenco, sono suddivisi in 13 differenti fascicoli, ciascuno con una denominazione leggermente diversa (da «Ist. Diocesano» a «Istituto diocesano con sede a Padova», etc...). E poi ecco l’«Antoniana Sas», una sorta di tesoro «coperto» (appartamenti di pregio in via Cappelli e via Locatelli): non la si trova facilmente, perché è «nascosta» da un altro ente, l’«Associazione universale Sant’Antonio » (che edita il giornalino il «Santo dei Miracoli »), che formalmente ha la titolarità dell’attività, ma in realtà è una scatola «vuota». L’«Antoniana» ha soci accomandanti «Diocesi», «Seminario», «Movimento apostolico», «Associazione Universale S.Antonio»; ma come socio accomandatario, cioè colui che amministra e risponde illimitatamente, l’anziano monsignor Antonio Barbierato (classe 1933). Tirando le file, la somma complessiva del patrimonio immobiliare della Chiesa di Padova è impressionante: parliamo di 862 fabbricati, 1162 terreni. Su questi la Chiesa deve ovviamente pagare le tasse (nel 2011 la «Difesa del Popolo» scrisse che in un anno furono pagati dal vescovo oltre 600mila euro di Ici). Ma non mancano, anche qui, i punti critici. Il più preoccupante quello dell’ex Seminario minore di Selvazzano, un «mostro» da 154mila metri cubi e 239mila euro di rendita, di cui la Chiesa di Padova non sa come sbarazzarsi (è abbandonato ormai da 15 anni). Il Comune chiede milioni di euro di arretrati di Ici e Imu e l’azienda multiservizi Etra pretende la riscossione della Tari. La questione è davanti al giudice e in primo grado la Diocesi ha vinto per l’anno 2008. Ma la partita resta aperta e rischia di trasformarsi nell’ultimo rubinetto aperto.
http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2015/3-gennaio-2015/padova-l-impero-finanziario-chiesa-230800098424.shtml

 
Il provinciale afferma che "le stimmate di Padre Pio tra un mese sarebbero scomparse".
Padre Rosario da Aliminusa, guardiano succeduto a padre Emilio (che dopo un anno si dimette), appena insediato nella carica come primo atto da' fuoco ai documenti riguardanti Padre Pio esistenti in convento e dice ad un dottore del paese che prende le difese del Padre "Lei sara' l'ultimo a credere in Padre Pio".
Mons. Girolamo Bortignon, vescovo cappuccino di Padova e' felice di unirsi ai ribelli e dare ad essi man forte, vieta nella sua diocesi i Gruppi di Preghiera, punisce severamente due onesti e zelanti sacerdoti della sua diocesi perche' si recano a visitare Padre Pio e definisce San Giovanni Rotondo "centro di fanatismo". 
Ad un devoto che ha in mano un'escara caduta dalla mano del Padre, il guardiano dice: "Che cos'e' questo schifo?"
Mentre un altro frate della banda, vedendo un uomo che mostra una pezzuola del Padre, gliela strappa di mano e gliela fa a pezzetti con una forbicina.
Il terreno per un nuovo attacco al Padre si sta consolidando.
Il santo frate e' estremamente debole e sofferente; non ha piu' la forza di sosstenersi da solo, traballa pur cercando di proseguire come puo' il Suo ininterrotto ministrero.
Spesso e' visto piangere.
I Suoi amici sono tenuti lontani.
Ha continuamente sbandamenti e vertigini, ma e' vietato a chiunque di dargli sostegno e conforto.
Per il compimento del piano criminoso, di cui sopra si e' fatto cenno che e' in corso di attuazione, il gruppo dei facinorosi e' composto da un parroco della provincia di Roma ( precedentemente devoto al Padre ed ora Suo acerrimo nemico, che, nella sua bramosia vorrebbe sostituirsi agli attuali onestissimi dirigenti di Casa Sollievo ) e di un ristretto gruppetto di padri cappuccini fortemente collegati tra loro per l'esecuzione di questo scellerato disegno.
Il disegno prevede l'espropriazione della Casa Sollievo, la sostituzione della sua dirigenza, preparare il passaggio di proprieta', la distruzione e l'annientamento per sempre della splendida figura del Padre.
 

Questi potenti coalizzati sono pochi (circa dieci), ma fortemente legati ed appoggiati da due autorita' vaticane e sostenuti dalla mania ossessiva di alcune donne gelose, nemiche di altre di cui si gia' parlato,che esse ritengono favorite dalla predilezione del Padre.
Non solo, ma collabora con loro una ristrettissima cerchia di altre donne incaricate, a pagamento, di accusare il Padre di aver tenuto un contegno immorale nei lorro riguardi.
Il compito ad esse affidato e' di recarsi in tutti i confessionali della chiesa per dire ai frati confessori che Padre Pio ha tenuto un comportamento moralmente scorretto verso di loro.
La calunnia infame verra' poi scoperta e smascherata, ma inizialmente reca un danno gravissimo al Padre; essa fa parte del piano di distruzione di quella splendida innocente creatura. I coalizzati, favoriti da un'altissima autorita' cappuccina che ha consentito, nelle recenti elezioni, l'attribuzione ad essi dei posti chiave della dirigenza della vita monastica della Provincia di Foggia, si pongono subito in movimento per conseguire i fini che si sono proposti.
Il loro governo dura soltanto per circa un quinquennio, ma la persecuzione da essi iniziata e' delle piu' atroci.
Padre Pio e' tenuto sotto stretta vigilanza per impedire che Egli convogli i soldi della carita' cverso Casa Sollievo della Sofferenza; e' sempre affiancato nei Suoi spostamenti da un frate custode; viene contornato di apparecchi registratori per controllare i suoi colloqui con amici.
Un registratore viene installato anche sotto il Suo letto. 

Copyright Luigi Peroni - AleaDesign s.r.l.
http://www.padre-pio.it/pioa2.htm

Antichi veleni su padre Pio
25/10/2007
Il frate di Pietralcina è forse il più "indagato" nella storia dell'ex Sant'Uffizio 
I veleni dell’ex Sant’Uffizio agiscono a lungo anche dopo che l’avversario è morto; e in questo caso addirittura canonizzato. Parliamo di padre Pio, e dei documenti inediti sulle stigmate e sull’avversione di Giovanni XXIII verso il frate di San Giovanni Rotondo. E’ vero che nel caso della polemica sulle stigmate – e l’accusa di procurarsele con metodi chimici – chiarezza fu fatta già negli anni ’30; ma è sorprendente che quelle carte filtrino ancora adesso dalle quasi impenetrabili mura del Palazzo. Come se volessero colpire la memoria. E’ vero che sin dall’inizio della sua “carriera” padre Pio ha suscitato ogni genere di ostilità: all’ex Sant’Uffizio ci sono 1225 (milleduecentoventicinque) files a suo nome. Forse un record. Giovanni XXIII invece prese probabilmente un abbaglio, nella sua ostilità verso il futuro santo. Lo scandalo Giuffré, e il rifiuto da parte di padre Pio di usare le offerte che giungevano a monte Rotondo per colmare il buco nero causato nelle finanze dell’Ordine dal «banchiere di Dio» furono alla base d questa inimicizia. Da Patriarca di Venezia Angelo Roncalli aveva stretto rapporti con quello che sarebbe di lì a poco divenuto il principale oppositore del frate: monsignor Girolamo Bortignon, già superiore provinciale dei cappuccini, eletto vescovo di Belluno e poi trasferito a Padova. Coinvolto in buona fede nella voragine finanziaria seguita al caso Giuffrè, scoppiato proprio nel 1958, l’anno dell’elezione di Giovanni XXIII, Bortignon aveva considerato un tradimento il rifiuto di padre Pio di utilizzare le offerte che arrivavano a San Giovanni Rotondo per «salvare l’onore dell’Ordine». Il «banchiere di Dio» aveva costituito attraverso parrocchie e conventi un canale alternativo per la raccolta del risparmio, promettendo interessi elevatissimi; una specie di catena di Sant’Antonio che inevitabilmente fallì, lasciando nei guai parroci e frati, che si erano prestati al gioco. Ma certo il «no» di Padre Pio era ugualmente legittimo. Una riabilitazione viene dall’arcivescovo Capovilla, segretario di Roncalli, che al giornale ondine “Petrus” ha detto: “Posso che da parte del Papa non c’era alcun pregiudizio”. Il suo timore “era frutto delle informazioni che gli venivano fornite dagli incaricati della Santa Sede. Lui, non conoscendo personalmente il frate, doveva necessariamente affidarsi agli incartamenti, ai pareri, alle relazioni di chi si occupava della vicenda per conto del Vaticano già da tempo”. Capovilla conferma che “ciò che preoccupava maggiormente era l’enorme afflusso di denaro, di donazioni, a San Giovanni Rotondo: c’era il timore che qualcuno potesse approfittare della situazione, in particolare per quanto riguarda la costruzione dell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza”. Roncalli, ricorda Capovilla “era un uomo e come tale non era infallibile, avrà commesso anche lui i suoi errori”. 

CHI HA PAURA DELL'ULTIMO SEGRETO DI PADRE PIO?

Monsignor Gerolamo Bortignon

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