ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 20 maggio 2015

Sicuro sia guerra santa?*

Isis e Israele, due facce della stessa medaglia

di Amani Sadat
”Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca delle terre e l’eliminazione di ogni servizio sociale per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba”, David Ben-Gurion, Maggio 1948, agli ufficiali dello Stato Maggiore. Oggi l’opinione pubblica, grazie alla manipolazione dei media, si è abituata ad associare il radicalismo all’Islam al punto che la collettività ha cominciato a considerare la fede islamica come l’espressione per eccellenza d’integralismo, terrorismo ed estremismo. I media quotidianamente mettono in luce eventi e fatti critici che avvengono per mano di terroristi ed estremisti “musulmani” che hanno un unico scopo: islamizzare e terrorizzare il mondo. Tutto ciò comunque non tiene in considerazione che queste realtà (Isis, Al-Qaeda ecc..) sono realtà fantoccio che servono per giustificare nuove guerre e nuovi massacri.

Non vi è nulla di islamico nello Stato Islamico, o Isis. In realtà è una massa di criminali asserviti, arrabbiati e assetati di sangue che dell’Islam capiscono poco. L’Isis è una realtà apparsa dal nulla, fornitissima di armi e mezzi ultramoderni. Tuttavia lo svarione islam uguale terrorismo, discriminazione ed ignoranza è assolutamente sbagliato ed ignorante. In questo modo si svaluta l’enorme contributo, che l’Islam in quanto civiltà millenaria, ha apportato a tutta l’umanità. Per millenni cristiani provenienti da tutta l’Europa, scappando dall’inquisizione e dalle discriminazioni, si rifugiavano in Paesi di fede islamica, liberi di professare la loro fede. Queste persone colpite da miseria, ingiustizie e inquisizioni fuggivano dall’Europa per andare nei Paesi del nemico per definizione, per vivere sotto le regole e i precetti della religione islamica.
La storia è ricca di esempi di tolleranza da parte dei Musulmani nei confronti di altre religioni: quando il califfo Omar entrò a Gerusalemme, nell’anno 634, l’Islam concesse libertà di culto a tutte le comunità religiose della città. Per secoli l’Islam e gli imperi arabi o semplicemente islamici (come quello ottomano) hanno esportato in tutto il mondo progresso e conoscenza, arte e cultura. Per secoli i popoli islamici hanno vissuto un’età d’oro di un Islam progressivo che ha buttato giù le basi del rinascimento Europeo. Tutto ciò quando ancora i Paesi occidentali vivevano nell’arretratezza e nell’ignoranza. Gli ebrei per esempio non sono mai stati perseguitati dagli arabi, vivevano liberi di professare il proprio credo e soprattutto liberi di lavorare. Una convivenza pacifica, non senza problemi e scontri, ma comunque senza che una parte opprimesse l’altra. La Legge Islamica consentiva anche alle minoranze non musulmane di stabilire una propria corte di giustizia con regole specifiche per le diverse minoranze.
Mentre, se pensiamo ad oggi e pensiamo alla fondazione dello “Stato” d’Israele troviamo una nazione basata su un esclusivismo etnico con una base prettamente religiosa. Uno Stato frutto del pregiudizio e dell’intolleranza. Oggi il sionismo è presente al pari dell’estremismo in nome dell’Islam, ed è un ideologia che comporta e afferma l’annientamento di un intero popolo, quello musulmano. L’assorbimento della Palestina da parte dei sionisti è solo il primo passo verso l’ascesa della “grande Israele”. Criticare Israele è divenuto un tabù socio-politico tanto che l’opinione pubblica non riesce più a vedere la verità.
Israele è diventata tanto radicale, intollerante ed estrema quanto l’Isis. L’Isis e il sionismo condividono non solo gli stessi valori ma soprattutto ideologie identiche. Anzi forse l’Isis è proprio una creazione del sionismo programmata a servire i suoi interessi egemonici nel Levante ovvero per la nascita della grande Israele, una nuova realtà politica ed istituzionale. Theodor Herzl, il padre fondatore del sionismo diceva: “L’area dello Stato ebraico si estende dal Nilo sino all’Eufrate”. Fin dal suo emergere in Europa nel XIX secolo, i sostenitori del sionismo hanno ambito e fatto pressione per ricreare quel che consideravano una loro eredità politica e religiosa, il loro diritto di nascita: il ristabilimento di uno Stato ebraico, esclusivo per il popolo d’Israele, entro il territorio designato come “Terra promessa” nelle Scritture.
Per quanto riguarda il problema palestinese, Israele ha da sempre operato in modo sistematico per sradicare e negare l’identità nazionale dei palestinesi, puntando a ripulire lentamente la terra che concepisce come propria. Quindi tutto ciò che è Israele, è l’esatto opposto di democrazia o tolleranza, una nuova forma di imperialismo. Per questo Israele può essere definito come un accampamento di coloni, una conseguenze del colonialismo e dell’imperialismo europeo. Se la Palestina non fosse caduta sotto il mandato britannico forse sarebbe stato molto più complesso per i sionisti occupare la Palestina. L’esempio per eccellenza di antidemocratico, di intolleranza, di discriminatorio e terroristico è di per sé la nascita d’Israele. Se si vuole seriamente sradicare il fondamentalismo dal Medio Oriente, la comunità internazionale deve guardare ad Israele, poiché è lì che si trova la fonte del terrorismo.
Israele ed Isis sono pressoché identiche anche e soprattutto nella violenza. Se l’Isis si è dimostrato rivoltante, con le sue uccisioni di civili innocenti e il suo gusto per le macabre esecuzioni pubbliche, lo stesso si può dire di Israele. Ricordiamoci solo i massacri di Sabra e Shatilla ordinati da Ariel Sharon nei quali vennero uccisi migliaia di civili palestinesi. Oppure la scorsa estate quando Israele prese di mira bambini su una spiaggia di Gaza. Ed è Israele a giustificare l’uccisione di donne e bambini nel nome della propria sopravvivenza. Oggi le popolazioni arabe vivono nell’arretratezza, nella guerra e in un contesto destabilizzato non per l’Islam ma per le politiche corrotte dei regimi che non fanno altro che gli interessi delle potenze egemoni.
Purtroppo nei nostri giorni vengono rese sacre solo le innegabili sofferenze degli ebrei dell’olocausto e non quelle, altrettanto innegabili, di altri popoli. Si pretende la perenne espiazione di colpe mai commesse da parte di popoli assoggettati a sensi di colpa che non dovrebbero avere. I palestinesi non hanno colpe riguardo alla tragedia ebraica del secondo conflitto mondiale, così come non ne hanno i cittadini europei d’oggi, nati nel dopoguerra. Con questo ricatto e con questi falsi sensi di colpa Israele si è potuta permettere per oltre sessant’anni di agire impunita compiendo i peggiori crimini contro l’umanità, uccidendo, rubando, espropriando, imprigionando, rendendo la vita impossibile alla popolazione indigena arabo-palestinese, come a tutti i popoli confinanti. L’arroganza e la disumanità che guida le menti dei capi e dei gregari sionisti, è questo il vero terrorismo e il vero estremismo. Non vi è alcun nesso fra le sofferenze degli ebrei europei e la punizione collettiva della popolazione indigena palestinese. I veri terroristi sono quelli che mascherandosi sotto lo stendardo di una falsa democrazia agiscono impuniti con arroganza e disumanità.

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Padre Samir: quella di al-Baghdadi è vera “guerra santa”


al-baghdadi
L’islamologo gesuita Samir Khalil Samir non ha smesso di commentare da par suo gli sviluppi della guerra in Medio Oriente neppure dopo che papa Francesco l’ha inaspettatamente nominato rettore “ad interim” del Pontificio Istituto Orientale:
L’ultimo suo intervento, apparso su “Asia News”, è di grande interesse, perché commenta il messaggio audio di 33 minuti diffuso a metà maggio dallo Stato islamico con la voce del suo capo supremo Abu Bakr al-Baghdadi.
La sintesi del messaggio – che chiede a “ogni musulmano di ogni luogo di attuare la hijrah (emigrazione) verso lo Stato islamico o di combattere nel proprio paese, ovunque esso sia” – è in questo servizio di “Asia News”:
Mentre questo che segue è il commento di padre Samir Khalil Samir.
Il quale in quanto rettore del Pontificio Istituto Orientale non parla più da semplice privato ma da rappresentante – non unico ma comunque autorevole – della Santa Sede
E fa giustizia di tutti gli abbagli di chi continua ad asserire – come il direttore de “La Civiltà Cattolica” Antonio Spadaro, anche lui gesuita – che “questo non è islam” e che l’offensiva dello Stato islamico “non è una guerra di religione”.
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UN MESSAGGIO MOLTO ASTUTO
di Samir Khalil Samir S.J.
Questo di Abu Bakr al-Baghdadi è un messaggio molto astuto perché corrisponde alle aspettative di una parte del mondo islamico. Senz’altro i gruppi salafiti, che cercano di riportare la società allo stile e alla pratica del tempo di Maometto, saranno contenti e diranno: Finalmente ritroviamo il vero islam!
Va notato che quando parla di emigrare (hijrah), egli indica l’emigrazione di Maometto dalla Mecca a Medina, quella che noi chiamiamo “l’egira”, che segna l’inizio della cronologia del mondo musulmano a partire dal 622, l’inizio dell’era islamica.
Questa emigrazione è il passaggio dall’islam pacifico a quello combattivo. Alla Mecca, Maometto non ha mai fatto guerra; ma vedendo che il suo messaggio non passava e che poca gente lo ascoltava, e che anzi vi era rischio per la sua vita, ha inviato un gruppetto di suoi seguaci a emigrare in Etiopia, un paese cristiano che li avrebbe ben ricevutiu. Poi è emigrato lui a Medina. Lì ha cominciato a predicare e un anno dopo ha iniziato la lotta militare prima contro i meccani, poi contro le tribù per convertirle.
Maometto ha vinto tutte queste guerre: la maggioranza delle tribù dell’Arabia l’hanno seguito. Ma bisogna precisare: esse lo hanno seguito più come capo militare che come capo religioso. La prova è questa: quando Maometto è morto, nel 634 (?), molte tribù si sono ritirate non sostenendo più la guerra e non pagando le tasse. E allora, il nuovo califfo Abu Bakr ha dichiarato guerra contro di loro per costringerli a ritornare nell’islam.
E loro si rifiutavano: Noi abbiamo fatto il patto con Maometto, non con l’islam. Ma Abu Bakr li vinti e li ha costretti a ritornare nell’ambito dell’islam. Ed è interessante che questo nuovo “califfo” abbia scelto come nome Abu Bakr e voglia lanciare la guerra santa in tutto il mondo, per sottomettere tutti all’islam.
Il suo appello significa risvegliare qualcosa che dorme nel pensiero profondo dell’islam, per dire: facciamo tutti la nostra hijrah, lasciamo tutti coloro che vogliono un islam di pace, e passiamo all’islam autentico che ha conquistato prima l’Arabia, poi il Medio Oriente, e poi il Mediterraneo. Questa sarebbe l’ultima fase della lotta del profeta attraverso il suo nuovo rappresentante.
Il tutto è molto simbolico.
È vero che vi sono notizie secondo cui lo Stato islamico sta perdendo adepti, che diversi giovani, dopo essere arrivati in Siria e Iraq a combattere, ora si stanno distaccando e vengono imprigionati dagli stessi miliziani dell’ISIS. Il messaggio cerca allora di risvegliare ancora più musulmani per recuperare altri giovani più decisi.
Quasi sicuramente il richiamo di al-Baghdadi scuoterà i musulmani salafiti, che hanno come modello l’islam primitivo. Essi prendono come modello la prima generazione dell’islam, e ciò spingerà molti musulmani tradizionalisti a diventare salafiti e a combattere.
Davanti a questa chiamata alle armi, cosa fare?
La lotta militare può essere necessaria, ma non risolutiva. Azioni militari potranno ridurre le violenze, spargere meno sangue, far regredire lo Stato islamico, ma il movimento continuerà perché fa parte dell’islam. L’unica soluzione radicale è una riforma interna della lettura della storia islamica.
Quando al-Baghdadi dice che “l’islam non è mai stato una religione di pace”, esagera: l’islam ha avuto anche periodi di pace. Dire che l’islam è solo guerra, è un errore. L’islam è pace e guerra insieme ed è tempo che i musulmani rivedano la loro storia.
Inoltre, va precisato che la guerra islamica non è paragonabile alle crociate: Le crociate sono state al massimo una guerra limitata per salvare Gerusalemme e i luoghi santi, ma non una guerra totale, santa, ispirata dal Vangelo.
Invece la guerra dell’islam è sempre santa se viene fatta per allargare i confini dell’islam e recuperare la terra dell’islam.
Solo Assad riesce a respingere le milizie dell'Isis
di Gianandrea Gaiani19-05-2015
Palmira bombardata
Se l'antica Palmira, con le sue suggestive rovine romane nel deserto, per il momento sembra essere riuscita a sfuggire alla furia iconoclasta delle milizie dello Stato Islamico il mondo deve ringraziare i soldati siriani, le truppe regolari di Bashar Assad.
Non certo la Coalizione internazionale che in Siria ha giocato un ruolo di rilievo solo durante l’assedio della città curda di Kobane e da allora più che combattere lo Stato Islamico sembra impegnata a far cadere il governo di Damasco. Difficile infatti non notare che sul fronte siriano sono presenti i jet delle monarchie sunnite del Golfo, ieri sponsor dell’ISIS e oggi dei movimenti islamisti (salafiti, qaedisti, Fratelli Musulmani) che combattono il regime sciita di Bashar Assad sostenuto solo da Iran e Russia.
A Palmira, l'esercito siriano è riuscito a respingere l'offensiva e le rovine del sito patrimonio dell'Unesco, come la via colonnata, l'arco di Settimio Severo e le terme di Diocleziano, sono intatte. Il timore era che Palmira, 240 chilometri a nord-est di Damasco e località strategica lungo l’autostrada che taglia il Paese da Homs a Deyr az Zor,  potesse subire la sorte di altri siti storici devastati dalle milizie dello Stato islamico, come già accaduto in Iraq a Nimrud e Hatra.
Un timore in realtà non così radicato da indurre la Coalizione internazionale a intervenire. Non ci sono stati bombardamenti aerei alleati contro le postazioni dei jihadisti intorno al sito archeologico, raid che avrebbero certo aiutato le forze siriane, a conferma di quanto la “finta guerra” di arabi e occidentali contro l’ISIS in Siria miri in realtà a indebolire Damasco non certo gli islamisti.
La conferma che le antichità  di Palmira sono state finora risparmiate è giunta anche dalla Direzione delle Antichità e dei musei della Siria ma negli scontri che si sono svolti intorno alla città sono morti una settantina di soldati siriani e quasi altrettanti miliziani mentre nei villaggi nei pressi di Palmira, dai quali l'esercito si era ritirato, i miliziani hanno massacrato 26 civili, decapitandone 10. Respinti in città, i miliziani dello Stato islamico si sono attestati poco a nord e ieri hanno bombardato con razzi Palmira uccidendo alcuni civili e prendendo il controllo di due giacimenti di gas a nord-est del sito archeologico, ad Al-Hail e Arak, dove i cacciabombardieri di Damasco hanno compiuto numerosi raid.
Benché negli ultimi giorni siano state diffuse voci non confermate da Washington circa il grave ferimento del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi e dell’uccisione del suo braccio destro al-Afri e del suo ministro del petrolio Abu Sayyaf,lo Stato Islamico ha dimostrato di poter ancora combattere con determinazione e successo a quasi 10 mesi dall’intervento internazionale. Se a Palmira le truppe di Assad hanno respinto l’offensiva, a Ramadi, capoluogo della provincia irachena di al-Anbar, non è andata altrettanto bene alle truppe irachene. I jihadisti hanno preso, sabato, il controllo del centro sfondando le linee governative con ben 9 autobombe e occupando palazzi istituzionali e comando militare provincviale. La situazione è gravissima perché il tracollo delle forze irachene in questo settore aprirebbe ai jihadisti la strada per Baghdad. Per questo il premier iracheno, lo sciita Haidar al-Abadi, ha ordinato alle truppe di non ritirarsi inviando a rinforzo le stesse milizie sciite impiegate per liberare Tikrit, città natale di Saddam Hussein, dove si sono macchiate di gravi violenze nei confronti della popolazione sunnita.
L’intervento dei volontari delle milizie sciite gestite dall’organizzazione Badr rischia di infiammare ulteriormente le tensioni interconfessionali e di far aderire allo Stato Islamico anche le tribù sunnite che finora si erano ribellate al Califfato chiedendo inutilmente a Baghdad armi per combattere gli uomini dell’IS. Proprio le angherie degli sciiti hanno indotto l’anno scorso la gran parte delle tribù sunnite di al-Anbar e dell’intero nord ovest dell’Iraq a sostenere lo Stato Islamico.
Oltre a Ramadi, che Washington ritiene non sia ancora del tutto in mano all’IS, le truppe irachene sono state sconfitte anche a Fallujah dove hanno lasciato sul terreno 200 caduti e consentendo al Califfato di controllare la quasi totalità della provincia di al-Anbar che da sola copre poco meno di un terzo della superfice complessiva dell’Iraq tra i confini con Siria, Giordania e Arabia Saudita.
Il giorno prima della caduta di Ramadi, al-Baghdadi aveva esortato con un messaggio audio i suoi combattenti a non mollare proprio in quel settore. Nell’audio il ‘califfo’ afferma tra l’altro che l’islam “è una religione di guerra” e raccomanda “ai leoni del Califfato a Raqqa, Mosul, Aleppo e eroi dell’Islam” di essere “pazienti, determinati, e cauti perché i nemici di Allah si stanno mobilitando, crescono, e minacciano la gente di Mosul. Pensiamo che muoveranno prima verso Raqqa e Aleppo, poi Mosul. Siate cauti”. Il messaggio, che accenna ai principali teatri d’azione dell’IS, dallo Yemen alla Libia passando per Iraq e Siria, contiene minacce ai “crociati” e agli ebrei.

Nakba, la “Catastrofe” rimasta impunita

di Giovanni Sorbello
Al-Nakba (la Catastrofe) è un termine palestinese che ricorda il dramma umano associato con la cacciata avvenuta nel 1948 di centinaia di migliaia di palestinesi dalle loro terre, al fine di stabilire lo “Stato di occupazione di Israele”. Gli eventi di Al-Nakba includono l’occupazione da parte del regime sionista della maggior parte della terra di Palestina, costringendo più di 900mila palestinesi alla fuga e trasformandoli in rifugiati. Attualmente sono più di 5milioni i rifugiati che vivono nei campi profughi in Cisgiordania, Striscia di Gaza, Giordania, Libano, Siria e Iraq.
Questo tragico evento include anche decine di massacri, saccheggi e atrocità contro i palestinesi, trasformando le principali città palestinesi in città israeliane. Si è cercato di distruggere l’identità palestinese sostituendo i nomi arabi geografici con quelli ebraici, e distruggendo gli autentici punti di riferimento arabi attraverso i loro tentativi di giudaizzazione. Anche se i politici hanno scelto il 15 maggio 1948 per commemorare la Nakba palestinese, questa tragedia ha avuto inizio prima, quando le bande terroristiche hanno attaccato città e villaggi palestinesi al fine di annientarli e diffondere il terrore tra i civili.
L’esercito israeliano ha sempre cercato di nascondere i fatti relativi ai crimini di guerra e ai massacri commessi dalle milizie ebraiche nel 1948, in particolare nel periodo compreso tra maggio 1948 e marzo 1948. Tuttavia, i ricercatori e gli storici affermano che i palestinesi hanno condotto quattro rivolte, tutte finalizzate a prevenire il sorgere dello “Lo Stato di Israele”. I palestinesi hanno offerto centinaia di martiri per la loro causa, ma anche i coloni ebrei hanno subito gravi perdite, rinviando – secondo gli storici – la dichiarazione del loro “Stato” di almeno 20 anni. Sulla base di dati storici sono stati oltre 40mila i palestinesi massacrati nel corso della pulizia etnica attuata dai terroristi sionisti nei 50 massacri documentati.
I villaggi palestinesi distrutti sono stati più di 500, spazzati via con le loro caratteristiche culturali e storiche, l’area dei terreni confiscati inizialmente dall’Ente israeliano è stata di circa 17mila chilometri quadrati (il 63% delle dimensioni dell’area della Palestina). Due anni dopo la Nakba il numero dei rifugiati palestinesi era di circa 957mila, circa il 66% dei palestinesi in quel momento. Il numero di rifugiati palestinesi, secondo le ultime statistiche, ha raggiunto 5.400mila, ciò significa che il 75% del totale dei palestinesi sono rifugiati e sfollati.
Attualmente i palestinesi della “Catastrofe” sono sparsi in 36 campi profughi nella Striscia di Gaza, Cisgiordania, Giordania, Libano e Siria. Le Nazioni Unite hanno creato l’ente di soccorso per i profughi palestinesi nel Vicino Oriente, l’Unrwa, che è responsabile per i profughi palestinesi del 1948. Da 67 anni nessun atto di giustizia è stato intrapreso dalla comunità internazionale a favore del popolo palestinese, lasciando impunito uno dei peggiori crimini di guerra attuati contro una popolazione civile.
http://www.ilfarosulmondo.it/nakba-la-catastrofe-rimasta-impunita/
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Ulteriori prove del “gioco sporco” svolto da Israele nel conflitto in SIria

di Steven MacMillan *
Le ultime riprese video emerse la scorsa settimana, che mostrano l'”Israel Defense Forces” (IDF) mentre assiste un ribelle siriano anti-Assad ferito, confermano quanto pubblicato in un secondo rapporto dell’ONU, alla fine dello scorso anno, dove si è rivelato che l’IDF e i ribelli siriani (tra cui ISIS) mantenevano fra loro  regolari contatti. “The Times of Israel”  ha riferito su questo ultimo video in un articolo intitolato, “IDF, pubblicati filmati di medici che salvano i ribelli siriani sul Golan”:  vedi The Times of Israel
Di seguito il testo dell’articolo –” The IDF on Saturday released rare footage of its medics performing a life-saving procedure on one of the most severely wounded Syrian combatants medical personnel have encountered in the Golan Heights… The man, a Syrian rebel who belongs to an unnamed organization fighting against the Assad regime and its allies, received treatment at the border and then inside Israel, and was ultimately able to return to Syria… Since the start of the civil war in 2011, the IDF has treated an estimated 1,600 non-combatants and anti-Assad rebels… Although Israel’s treatment of militants from Syria — many of whom are believed to belong to Islamist organizations such as the al-Qaeda affiliated Nusra Front — may seem bizarre given the animosity these types of groups have expressed for the Jewish state in the past, Israel has approached the issue from a humanitarian point of view.”
The Times of Israel” ha tentato di spacciare l’assistenza prestata da Israele ai ribelli siriani, come puramente prestata “da un punto di vista umanitario”, in realtà, comunque è emerso che Israele sostiene l’opposizione siriana per i propri fini geopolitici. L’ Indebolimento del regime siriano è stato un obiettivo geopolitico perseguito dall’establishment israeliano per decenni, con documenti strategici, risalenti al 1980, pubblicati in quel periodo, che dettagliavano questo obiettivo.
Oded Yinon, un giornalista  israeliano che ha avuto collegamenti vicini al Ministero degli Esteri di  Israele, ha scritto un articolo nel 1982 che è stato pubblicato in un giornale dell’Organizzazione Sionista Mondiale ( Mondiale World Zionist Organisation)  intitolato: “Una strategia per Israele negli anni ottanta”.
In esso, Yinon evidenziava già da allora che la “dissoluzione di Siria e Iraq” costituiscono gli obiettivi “Prioritari di Israele” nella regione:
“La dissoluzione della Siria e dell’Iraq, da realizzare più in avanti in zone etnico o religiose autonome, come in Libano, è l’obiettivo primario di Israele sul fronte orientale nel lungo periodo, mentre la dissoluzione del potenziale militare di quegli Stati serve come un obiettivo prioritario di breve termine”. ( lo si enuncia a pag. 11).
La volontà strategica di Israele per ottenere l’indebolimento della Siria e l’Iraq è stata ribadita nel 1996, quando un gruppo di studio, guidato dal neocon Richard Perle, aveva preparato un documento politico per il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, intitolato: ‘ A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm’.
Nel documento si afferma:
“Israele può plasmare il suo ambiente strategico regionale, in cooperazione con la Turchia e con la Gordania , con l’indebolire, contenere e far arretrare anche la Siria. Questo sforzo può focalizzarsi sul rovesciamento di Saddam Hussein dal potere in Iraq — un importante obiettivo strategico israeliano a sé stante, come mezzo per sventare le ambizioni regionali della Siria. ” (“Israel can shape its strategic environment, in cooperation with Turkey and Jordan, by weakening, containing, and even rolling back Syria. This effort can focus on removing Saddam Hussein from power in Iraq — an important Israeli strategic objective in its own right — as a means of foiling Syria’s regional ambitions.”).
Più recentemente, funzionari israeliani hanno pubblicamente rivelato il loro desiderio di rovesciare il regime di Damasco e rompere l’alleanza tra Iran, Siria e Hezbollah. In un’intervista nel 2013, l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, a quei tempi, Michael Oren, si espresse pubblicamente dichiarando che Israele “ha sempre voluto che Bashar Assad andasse fuori” (“always wanted Bashar Assad to go”), aggiungendo che “il più grande pericolo per Israele è quell’arco strategico che si estende da Teheran, a Damasco, a Beirut”.
Israele si è prodigata nel sostenere l’opposizione siriana con l’assistenza, non soltanto medica, fin dall’inizio della guerra siriana, una guerra per procura, comunque si è visto come Tel Aviv ha bombardato il territorio siriano ripetutamente, oltre a fornire armi alle forze anti-Assad . Nel mese di Agosto dello scorso anno, Sharif As-Safouri, il comandante del battaglione di Al-Haramein dell'”Esercito siriano Libero”, a quel tempo, ha rivelato che egli era “entrato Israele cinque volte per incontrare ufficiali israeliani che più tardi gli hanno fornito armi anticarro di fabbricazione sovietica ed armi leggere”, come riporta The Times of Israel .
Terroristi e soldati di israele
Tel Aviv è stata anche accusata di aver creato e di aver facilitato la nascita della stessa ISIS (Stato Islamico). Il capo di stato maggiore delle forze armate iraniane, Gen. Hassan Firouzabadi, ha dichiarato che l’ISIS è stata creata e supportata da Israele, Gran Bretagna e Stati Uniti per perseguire gli obiettivi propri di quegli Stati. Un rapporto che sembrava emergere dal Gulf News nel 2014 affermò anche che il leader di ISIS, il cosiddetto nuovo califfo, Abu Bakr Al Baghdadi, è stato addestrato dal Mossad, anche se alcuni hanno messo in dubbio la validità di questo rapporto. Va anche notato che da alcune notizie e rapporti, si asserisce che Baghdadi sia stato gravemente ferito o addirittura ucciso da una US drone USA in un attacco avvenuto in in aprile.
Non c’è dubbio comunque che Israele abbia un ruolo preminente nella tentata distruzione dello stato siriano ed è colpevole di aver distrutto la vita di milioni di persone tramite il supporto fornito ai mercenari anti-Assad. I cittadini Siriani sono ora la seconda più grande popolazione di rifugiati al mondo, secondo un rapporto dell’ONU (secondo solo a Palestinesi).
*Steven MacMillan è uno scrittore indipendente, ricercatore, analista geopolitico ed editor di The Report, analista, in particolare per la pubblicazione “The New Eastern Outlook”
Traduzione: Luciano Lago
Nella foto in alto:  formazione di carri dell’ IDF (Esercito israeliano)
Nella foto al centro: soldati israeliani sul Golan fraternizzano con miliziani anti Assad

2 commenti:

  1. pure la propaganda nazi-maomettana degli sgozzatori di cristiani, ebrei e musulmani non collaborazionisti. Bravi! Poi ci chiediamo perché la tradizione è considerata roba da esaltati e ci lamentiamo perché Chiesa sembra caduta preda dei marxisti filopederasti (secondo la tradizione dei nazionalsocialisti e dei i bombaroli di Arafat, tutta gente che su ebrei e Israele la pensa esattamente come questo sito che disonora la tradizione cattolica)

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  2. Poveretto!
    se la tradizione cattolica fosse onorata da lei, sarebbe una cosa ben triste, per ciechi e sordi, una cosa da operetta, fatta apposta per chi di propaganda si nutre.
    Perché non si trasferisce in Israele, a celebrare nel tempio neocatecumenale, magari facendo qualche raid in Siria coi suoi concittadini?
    Vada: lì si troverà molto bene!

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