Le nostre difese di natura dottrinale o canonica,
esaminate nell’ultimo articolo, sono il bastione di cui Dio ha cinto la Sua
città e che è nostro precipuo interesse conoscere bene: «Osservate i suoi
baluardi, passate in rassegna le sue fortezze, per narrare alla generazione futura: “Questo è il
Signore, nostro Dio, in eterno, sempre”» (Sal 48 [47], 14-15). Dato però che il
nemico è riuscito a penetrare nella santa Città con il cavallo di Troia delle
false opinioni, Colui che è lo stesso
ieri, oggi e sempre (Eb 13, 8) ha messo a nostra disposizione anche armi di
natura spirituale per quel quotidiano combattimento che è sempre stato necessario,
ma che oggi lo è più che mai, visto che i sacri Pastori fuggono davanti ai lupi
o, peggio, spalancano loro le porte dell’ovile. «Prendete perciò l’armatura di
Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver
superato tutte le prove» (Ef 6, 13).
Cominciamo allora con quell’arma che non ricorre per
prima nella lista approntata da san Paolo, ma riveste una priorità dal punto di
vista teologico. L’Apostolo segue effettivamente – si direbbe oggi – un ordine
di tipo “pastorale”: bisogna anzitutto cingersi
i fianchi con la verità e rivestirsi
della corazza della giustizia (cf. Ef 6, 14), in altre parole assicurarsi
che la propria fede personale aderisca strettamente alla sana dottrina e fare
in modo che la propria condotta sia inattaccabile dal punto di vista morale.
Tutto questo suppone però che si sia afferrata la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio (Ef 6, 17): la divina
Rivelazione fissata nella Sacra Scrittura, fedelmente trasmessa dalla Chiesa
nella Tradizione e autenticamente interpretata dall’autorità competente nel
Magistero. Al di fuori della Tradizione e del Magistero, guidati dallo Spirito
Santo (cf. Gv 14, 26; 16, 13), è impossibile comprendere correttamente i testi
biblici, ispirati da quel medesimo Spirito.
Non si può dunque leggere la Bibbia come se si fosse
i primi a farlo, ma occorre porsi nell’alveo di quel grande fiume che è
rappresentato dai Concili, dai Padri, dai Papi e dai Santi, sotto la scorta di
Colei che, nella Sua vita terrena, conosceva perfettamente le sacre Scritture
ed era ricolma dello Spirito di verità più di tutti i cristiani di ogni tempo messi
insieme. Questo è l’unico modo cattolico
di ascoltare la divina Parola; gli svariati commenti in circolazione, compresi
quelli al lezionario festivo e feriale, anche se di autori di grido che vanno
per la maggiore, sono il più delle volte vere e proprie contraffazioni del
messaggio biblico ed evangelico, basandosi su travisamenti e forzature che lo
riducono a pretesto di puerili illusioni e di banale moralismo del tutto
sganciati dalla sana dottrina come dall’effettiva realtà umana, che essi pretendono
di illuminare. I commenti che hanno pretese scientifiche, invece, quand’anche
non riducano l’annuncio cristiano ad una variante del Giudaismo, hanno in
genere il difetto di limitarsi ad un’analisi del testo certo accurata e
obiettiva, che esclude però, per speciose ragioni di metodo, il doveroso ricorso
alla dimensione dogmatica dell’analogia
fidei (cf. Dei Verbum, 12),
lasciando così aperta la via a qualsiasi conclusione teologica, anche erronea.
Non intendo certo proporre un nuovo metodo di
meditazione della Sacra Scrittura: ci sono già tanti maestri incomparabilmente
più autorevoli, dai commenti patristici di singoli libri della Bibbia alla
monastica lectio divina (illustrata
nella Lettera di Guigo II il
Certosino), al metodo che sant’Ignazio di Loyola descrive nei suoi Esercizi spirituali… senza disprezzare,
per quanto riguarda i Vangeli, quelle rivelazioni private che ce ne
rappresentano i fatti in modo vivido e coinvolgente. Un utile sussidio sono le
sintesi di storia biblica e le vite di Cristo di autori riconosciuti, quali
Ratzinger e Ricciotti. Le ricostruzioni contemporanee della Sua figura storica,
come osserva Benedetto XVI nell’introduzione al suo Gesù di Nazareth, non fanno altro, di solito, che descrivere l’idea
che l’autore ne aveva in partenza, in base alla quale seleziona e interpreta i
dati con “scientifica” acribia. In realtà il Gesù storico – ribadisce il Papa –
è il Cristo della fede; ammettere una
distinzione tra i due – aggiungiamo discretamente – significa rinnegare la fede
cattolica e porsi fuori della Chiesa, con evidente e grave pericolo di
dannazione eterna.
Ora, se è indispensabile una retta conoscenza del
Signore e della Sua salvifica Parola, è altresì necessario interiorizzarla,
sempre con il Catechismo a portata di mano, mediante un’assimilazione vitale
che plasmi la coscienza individuale e diventi impulso a comportamenti conformi
alla volontà di Dio, riconosciuta e amata quale via di salvezza: «Porrò la mia
legge nel loro intimo, la scriverò sul loro cuore» (Ger 31, 33). «Conservo nel
cuore le tue parole per non offenderti con il peccato. […] Se la tua legge non
fosse la mia gioia, sarei perito nella mia miseria. […] La tua parola nel
rivelarsi illumina, dona saggezza ai semplici» (Sal 119 [118], 11.92.130). Qui
si attua quella sinergia tra l’azione
dello Spirito Santo e la collaborazione dell’uomo che si ritrova in tutto
l’operare della grazia, conducendo la natura ad una conversione sempre più
completa. Una lettura autenticamente spirituale della Bibbia è una lettura
amorosa che la bagna di lacrime, lacrime di compunzione per i propri peccati e
di gratitudine per la misericordia divina.
Dopo aver posto, esteriormente e interiormente, uno
spazio libero tra sé e i propri pensieri, occupazioni e preoccupazioni; dopo
aver raccolto tutte le facoltà nel centro del cuore per invocarvi la luce dello
Spirito Santo; dopo aver letto lentamente e più volte il testo, meditandolo
secondo il metodo prescelto e con l’eventuale aiuto di validi sussidi…
piuttosto che trarne arbitrariamente norme di comportamento, del resto già
fissate da chi di dovere, o dedurne affrettati propositi irrealistici, per
quanto generosi, chiediamo umilmente quella grazia che la Parola stessa ci ha
suggerito come la più urgente e necessaria, attivamente disposti a cooperare
con essa mediante l’esercizio della virtù corrispondente. Se il Signore vorrà,
la sincerità e l’intensità della nostra preghiera ci innalzeranno alla Sua
santa presenza facendocene gustare l’inesprimibile dolcezza: «… e li disseti al
torrente delle tue delizie» (Sal 36 [35], 9).
Simile frequentazione della Sacra Scrittura, per
quanto possibile regolare, ci formerà gradualmente ad un dialogo intimo e
costante con il Salvatore. Non quell’apparente dialogo rivendicato da chi non
Lo conosce e che non è altro, in realtà, che un monologo di auto-conferma, ma
quel dialogo effettivo, impregnato di timore e riverenza, di chi sa di non
essere autore, da solo, se non della propria miseria, essendo debitore di ogni
cosa buona all’infinito Amore che non è amato… Sì, piangi, anima mia, piangi
senza sosta per averlo amato troppo tardi e troppo poco; piangi per chi non l’ama,
per chi lo offende e lo calpesta, per chi in tal modo si danna già in questa
vita; piangi per l’insondabile tenerezza che non trova chi la accolga… Questo pianto
ti lavi, ti purifichi, ti rigeneri; ti spalanchi le porte dell’abisso, di
quell’abisso di misericordia in cui non cade se non chi vuole e non vuol cadere
se non chi lo conosce. Tuffati e sprofondaci senza voler sapere, senza voler
capire; quando tornerai in superficie – alla superficie di questo mondo
tenebroso che respinge Dio – rivedrai ogni persona portata in grembo dalla
divina compassione, ogni cosa abitata dalla divina presenza, ogni fatto
disposto dalla divina provvidenza.
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