La Santa Sede non ha atteso molto per far conoscere la propria soddisfazione circa il raggiungimento di un accordo sullo sviluppo del programma nucleare iraniano. All’ora di pranzo, il direttore della Sala stampa, padre Federico Lombardi, ha infatti reso nota una dichiarazione in cui s’afferma che il deal è “visto positivamente” dal Vaticano. Nella sostanza, “si tratta di un risultato importante delle trattative svolte finora, ma che richiede la continuazione degli sforzi e dell’impegno di tutti perché possa dare i suoi frutti”. Frutti che “si auspica non si limitino al solo campo del programma nucleare, ma che si allarghino anche in ulteriori direzioni”.
“UN PASSO VERSO UN MONDO PIU’ SICURO”
La notizia campeggia anche in prima pagina – con ampio risalto – sull’edizione odierna dell’Osservatore Romano. Nell’articolo d’apertura si legge che “l’accordo sul futuro del programma nucleare iraniano è stato finalmente raggiunto. Dopo nove anni di discussioni, 22 mesi di negoziati e le riunioni maratona di 17 giorni a Vienna, Teheran e il gruppo dei cinque più uno (i Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina; più la Germania) hanno raggiunto un’intesa, che non pochi osservatori hanno definito storica, un passo verso un mondo più sicuro”. L’organo ufficiale della Santa Sede dà risalto anche alle reazioni internazionali, citando per prima quella del presidente russoVladimir Putin – cui viene data la precedenza perfino rispetto al segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon – convinto che ora “il mondo possa tirare un sospiro di sollievo”.
L’INCONTRO CON LA VICEPRESIDENTE IRANIANA
Non c’è nulla di sorprendente nella positiva reazione della Santa Sede all’accordo raggiunto a Vienna. I rapporti tra la Roma d’oltretevere e Teheran sono saldi e di lunga data. Solo lo scorso febbraio, il Papa aveva ricevuto in udienza privata la vicepresidente della Repubblica islamica iraniana, Shahindokht Molaverdi, la quale s’era detta entusiasta del colloquio a tu per tu: “E’ stato un momento indimenticabile; la famiglia ha innanzi a sé sfide globali, comuni, che richiedono una collaborazione congiunta, soprattutto con un paese come la Repubblica islamica d’Iran”. Non a caso, quasi in contemporanea, il Pontificio consiglio per la famiglia faceva sapere che una delegazione iraniana sarebbe stata presente all’Incontro mondiale delle famiglie, fissato in calendario per il prossimo settembre a Philadelphia. Nell’occasione, il capo del dicastero, mons. Vincenzo Paglia, s’era detto “particolarmente lieto” della scelta di Teheran, dal momento che “la famiglia non è un patrimonio cattolico”, bensì “dell’umanità”.
L’ABBONDANZA DI CAPITALE POLITICO DEL PAPA
I rapporti tra la Chiesa di Roma e l’islam sciita sono buoni, come dimostrano le lettere scambiate anni fa tra Benedetto XVI e Mahmoud Ahmadinejad. In un commento di qualche tempo fa apparso sul portale americano Crux, il vaticanista John Allen osservava che “Papa Francesco ha un’abbondanza di capitale politico” che gli consente “di essere percepito come un’autorità morale”. Rilevante, poi, il fatto che l’autorità suprema iraniana sia un membro del clero, e un dialogo con Teheran è più facile se ci si rapporta su un piano spirituale.
PORRE FINE ALLA VIOLENZA IN SIRIA
L’osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite di Ginevra, mons. Silvano Maria Tomasi, ha osservato che “il fatto che i membri del Consiglio di Sicurezza e l’Iran abbiamo firmato un accordo, che in qualche modo accomoda gli interessi delle due parti, mi pare un grande passo in avanti. Specialmente, perché indica anzitutto che il dialogo è vincente sulla violenza e, in secondo luogo, che c’è la speranza che adesso, in qualche modo, ci si possa portare avanti nello sforzo di trovare un modo per porre fine alla violenza in Siria”.
TEHERAN PARTE INTEGRANTE DEL NEGOZIATO
“L’idea – ha aggiunto il diplomatico vaticano alla Radio Vaticana – è che l’Iran è una parte integrante del dialogo e del negoziato che può portare alla pace o, almeno, alla cessazione immediata della violenza in Medio Oriente e in particolare, per quanto riguarda la Siria, trovare una risposta comune, coordinata e ragionevole da parte della comunità internazionale al fantomatico Stato islamico, che porta solo male e conseguenze negative non solo nella regione, ma anche in altre parti del mondo”.
15 - 07 - 2015Matteo Matzuzzi
Volodia, la forza tranquilla. La strategia di Putin.
Alla conclusione dell’accordo sul nucleare iraniano, il
presidente Obama ha lodato apertamente Vladimir Putin: “Non avremmo raggiunto
questo accordo se non fosse stato per la volonta’ della Russia di rimanere con
noi e con gli altri partner del 5+1 nell’insistere per un accordo solido”. “La
Russia e’ stata d’aiuto”; “Devo essere onesto non ne ero sicuro considerate le
differenze sull’Ucraina”, ha detto Obama al New York Times: “Putin e il governo
russo hanno in questo caso distinto gli ambiti in un modo che mi ha sorpreso”.
Sorprendente sorpresa. E lode sospetta da parte di un
presidente che fra un anno e mezzo scadrà e già vale poco, i cui ministri non
fanno altro che: provocare sovversioni interne nella Russia e nelle sue zone
d’interesse geopolitico con “primavere colorate”; armare fino ai denti gli
staterelli ai confini della Russia ed istigarli al conflitto; minacciare la
Russia di guerra atomica preventiva, trattarla da stato-paria con sanzioni
sotto false accuse (quella di aver violati i trattati di non-proliferazione da
media gittata).
Nessuno deve aver fatto leggere al presidente Obama il
recentissmo documento del Pentagono sulla strategia militare nazionale, dove la
Russia è indicata come il nemico da abbattere (insieme alla Cina, ma con questa
si cercherà di andare d’accordo) non perché minacci gli Stati Uniti, ma perché
mantiene la sua indipendenza dai famosi valori dell’Occidente…e ciò implica un
pericolo esistenziale per la superpotenza.
Forse quel che dice Obama ormai non importa a nemmeno ai
suoi ministri. O forse (timeo Yanquis et dona ferentes) è parte di una
strategia, appena iniziale, per suscitare l’opposzione “di destra” a Putin,
panrussa e fondamentalista? Per mettere in difficoltà Putin all’interno
dipingendolo come molle; interpretando la sua adesione calma alle norme e al
bon ton internazionale, nonosatnte gli attacchi, come una volontà di compiace
in tutto gli americani e vuole andar d’accordo con l’Occcidente.
Il tema deve porsi già all’interno se un articolo di Rossiya
Sila (Potere Russo) pone la questione.
Testo che pare emanare dai circoli vicini al presidente. La
breve nota fa’ notare che anche “all’interno del paese, Putin conduce una
politica nazionale di compromesso” per cui “non è sorprendente che la sua
politica estera è caratterizzato da una persistente mancanza di aggressività”!.
Più d’uno è irritato dalla sua “insufficienza di radicalismo in affari interni
come all’estero. All punto che questo presidente a cui la Russia deve di aver
ripreso il suo status di grande potenza, grazie al quale il paese è di nuovo
rispettato ed ascoltato, questo presidente è accusato di essere debole e
disposto a fare inchini all’Occidente. Ma è proprio così?”
Il modo in cui ha trattato gli oligarchi “ Khodorkovski,
Gousinski, Berezovski ed altri loroo compari meno noti ma non meno pericolosi,
dice il contrario : che il presidente ha una percezione perfettamente
corretta del limite che separa il compromesso dalla capitolazione. Ciascuno dei
compromessi putiniani gioca a suo favore, E la direzione dei cambiamenti in
atto non consente di dubitare che l’obbiettivo finale sia la direzione
dell’economia da parte dello Stato e la messa in opera del suo dispiegamento internazionale,
rinforzato da una potenza militare necessaria e sufficiente”.
L’analisi enumera poi i principi della strategia che Putin
ha realizzato nei quindici anni della sua direzione. Essa consiste nel
- aver
assicurato la stabilità politica interna attraverso un compromesso
politico nazionale. Con l’eccezione dei più arroganti di loro , oligarchi
non sono stati “dékulakizzati”. S’è concluso con loro un patto di non
aggressione; hanno mantenuto i loro beni e in cambio si sono impegnati a
non interferire nella politica e adattare i loro interessi affaristici
agli interessi dello Stato. Coloro che hanno infranto il patto sono stati,
e continuano ad essere, puniti con fermezza.
- “Mantenere
una situazione favorevole in politica estera , per mezzo di una politica
moderata di resistenza verso l’Occidente ( la Russia ha mostrato i denti
quando l’hanno provocata troppo, ma rimanendo entro i limiti
di convenienza, non permettendosi nulla di più di quanto fanno
Francia e Germania e, in generale il mantenimento di una retorica
amichevole verso l’Occidente”.
- “Guadagnare
tempo – una decina d’anni – perprocedere al recupero e
allo sviluppo dell’economia e delle forze armate , per preparare un
riorientamento dei rapporti economici ( è il motivo per cui le sanzioni non
hanno prodotto l’effetto desiderato da chi le ha imposte ) e staccare il
sistema finanziario del dollaro: per confronto con l’ Ucraina, è
facile constatare che dopo la caduta del grivna sul dollaro ,
quasi tutti i prezzi sono aumentati , tranne i prezzi stagionali di frutta
e verdura (alimenti che non possono essere conservati a lungo) , mentre in
Russia , una parte significativa dei prezzi, espressi in rubli – le merci
non dipendenti dalle importazioni – non è aumentato oltre i limiti
dell’inflazion.
- “ Creare
una unione economica e politica [coi BRICS, chiaramente] e cercare dei
partners interessati alla collaborazione militare ».
Dunque : « Guadagnare tempo, preservare la
stabilità e accumulare le forze » è lla strategia in atto da 15 anni. Allo
scopo di “rafforzare lo Statonsia all’interno sia sulla scena internazionale”,
nella consapevolezza che ciò “doveva inevitabilmente condurre ad una lotta a
morte con gli Stati Uniti”.
E’ l’abc della politica, insegna il redattore agli
impazienti : « raggiungere gli obbiettivi evitando i conflitti e la
destabilizzazione ». Nè nella vita quotidiana né nelle
relazioni internazionali si amano i litigiosi. « Gli Stati Uniti mancano
del tempo, e della possibilità, di giocare con calma sul lungo termine per
soffocare la Russia nella loro stretta, come Reagan e Bush padre schiacciarono
l’URSS di Gorbacev ; per questo hanno scatenato la confrontazione e
provocato l’instabilità, al punto d a divenire un problema per i loro stessi
alleati.
“L’Europa ne ha paura ed è sottomessa a loro ( ma non
il pianeta). Ma è importante capire che pagheranno un prezzo : la crescita di
antiamericanismo nel mondo . Infatti, se i loro alleati sono in realtà i
satelliti e non sono legati a loro da vantaggi reciproci, ma si sottomettono
alla loro forza , devono dimostrare la forza incessantemente: questo
costringerà gli Stati Uniti a aumentando le loro risorse militari e riorientare
il loro bilancio ) . Non appena vedranno i primi segni di debolezza, gli
alleati tradiranno.
“Dunque deve sorprendere che Putin continui questa politica
estera che ha già dato i suoi frutti . La Russia non è incline al confronto ma
sa prendere una posizione ferma sui limiti del compromesso . A Washington si
capisce che nel corso dei prossimi cinque anni , questo compromesso farà di
Putin il padrone assoluto della situazione in Europa, Nord Africa e il Medio
Oriente e – insieme ai partner BRICS – la Russia
sloggerà gli Stati Uniti Asia, Africa sub-sahariana e in America Latina . E’
per questo che, con tutte le forze , gli Stati Uniti tenta di provocare un
conflitto . Prima o poi ci riusciranno . Ma ogni giorno che passa vede la
Russia a rafforzare e Stati Uniti per indebolire” .
Se è rivolto agli impazienti interni, il messaggio dice:
tranquilli, Putin sa cosa sta facendo. Sa che la Russia ha bisogno di tempo. La
sua mano sul timone è ferma e sicura.
Attenzione: l’accordo nucleare con l’Iran è il preludio alla guerra
di Tony Cartalucci
L’isteria domina i titoli dei media occidentali riguardo allo “storico accordo sul nucleare raggiunto da Obama”, che giustifica il premio Nobel a lui “prematuramente attribuito” tanti anni fa. Quanti sono consapevoli dello stratagemma in corso sanno però che tale visione verrà inevitabilmente e completamente tradita da quanto di certo seguirà.
Il pubblico globale ricorderà senz’altro che in Siria, alle soglie dell’Iran, è attualmente in corso una guerra. L’unico scopo di questa guerra, organizzata e diretta dall’Occidente, alimentata con miliardi di dollari, armi e combattenti organizzati e raccolti in tutto il mondo dalla NATO e dai suoi alleati, è di distruggere il principale alleato regionale dell’Iran, prima di distruggere inevitabilmente lo stesso Iran. Se la guerra in Siria infuria ancora, possiamo stare certi che è ancora in corso anche la guerra per procura condotta contro l’Iran.
L’ “accordo sul nucleare”, come pianificato fin dall’inizio, è un trucco. L’Istituto Brookings infatti, a pagina 52 del suo rapporto del 2009, dal titolo: “Quale via verso la Persia?” spiegava:
“… qualsiasi operazione militare contro l’Iran risulterà probabilmente molto impopolare nel mondo, e richiederà un appropriato contesto internazionale: sia per assicurare il supporto logistico necessario all’operazione che per minimizzare gli effetti di ritorno. Il modo migliore per minimizzare l’infamia e massimizzare il supporto (seppur riluttante o segreto) è di colpire solo quando vi sarà la convinzione diffusa che agli iraniani sarà stata fatta un’offerta eccellente, che tuttavia avranno rifiutato: un’offerta così buona che solo un regime deciso ad acquisire armi nucleari per le ragioni sbagliate potrebbe rifiutare. In queste circostanze, gli Stati Uniti (o Israele) potrebbero fingere di intraprendere le loro operazioni con dispiacere, non con rabbia, e almeno una parte della comunità internazionale attribuirebbe la colpa agli iraniani, per aver rifiutato un ottimo accordo.”
Scritta anni fa, mentre gli USA, l’Arabia Saudita e Israele stavano già complottando di rovesciare la Siria vicina e alleata dell’Iran tramite Al Qaeda per indebolire la Repubblica Islamica prima dell’inevitabile guerra, questa citazione smaschera l’attuale messa in scena dell’ “accordo sul nucleare iraniano”.
L’Occidente non ha intenzione di stringere alcun accordo durevole con l’Iran, visto che la sua capacità nucleare, perfino nel caso di acquisizione di armi nucleari, non avrebbe mai rappresentato una minaccia esistenziale per i paesi occidentali o i loro partner regionali. Il problema che l’Occidente ha con l’Iran sta nella sua sovranità e nella sua capacità di proiettare i suoi interessi in sfere tradizionalmente monopolizzate dagli USA e dal Regno Unito in tutto il Medio Oriente. A meno che l’Iran intenda cedere la sua sovranità e influenza regionale, insieme al suo diritto di sviluppare e usare la tecnologia nucleare, il tradimento di qualsiasi “accordo sul nucleare” è del tutto inevitabile, come la guerra che presto ne seguirà.
Mostrare la doppiezza che accompagna gli “sforzi” occidentali di raggiungere un accordo comprometterà seriamente i loro tentativi di usare l’accordo come pretesto per giustificare operazioni militari contro l’Iran. Da parte loro, l’Iran e i suoi alleati devono essere pronti alla guerra, a maggior ragione quando l’Occidente fa finta di cercare la pace. La Libia è l’esempio perfetto del destino riservato alle nazioni disapprovate dall’Occidente che hanno abbassato la guardia: è letteralmente una questione di vita o di morte sia per i loro leader che per le nazioni nel loro complesso.
Fonte: Land Destroyer Traduzione: Anacronista
Nella foto sopra : un reparto iraniano delle “Guardie della Rivoluzione”
Nella foto al centro: esercitazioni di truppe elitrasportate iraniane
L’isteria domina i titoli dei media occidentali riguardo allo “storico accordo sul nucleare raggiunto da Obama”, che giustifica il premio Nobel a lui “prematuramente attribuito” tanti anni fa. Quanti sono consapevoli dello stratagemma in corso sanno però che tale visione verrà inevitabilmente e completamente tradita da quanto di certo seguirà.
Il pubblico globale ricorderà senz’altro che in Siria, alle soglie dell’Iran, è attualmente in corso una guerra. L’unico scopo di questa guerra, organizzata e diretta dall’Occidente, alimentata con miliardi di dollari, armi e combattenti organizzati e raccolti in tutto il mondo dalla NATO e dai suoi alleati, è di distruggere il principale alleato regionale dell’Iran, prima di distruggere inevitabilmente lo stesso Iran. Se la guerra in Siria infuria ancora, possiamo stare certi che è ancora in corso anche la guerra per procura condotta contro l’Iran.
L’ “accordo sul nucleare”, come pianificato fin dall’inizio, è un trucco. L’Istituto Brookings infatti, a pagina 52 del suo rapporto del 2009, dal titolo: “Quale via verso la Persia?” spiegava:
“… qualsiasi operazione militare contro l’Iran risulterà probabilmente molto impopolare nel mondo, e richiederà un appropriato contesto internazionale: sia per assicurare il supporto logistico necessario all’operazione che per minimizzare gli effetti di ritorno. Il modo migliore per minimizzare l’infamia e massimizzare il supporto (seppur riluttante o segreto) è di colpire solo quando vi sarà la convinzione diffusa che agli iraniani sarà stata fatta un’offerta eccellente, che tuttavia avranno rifiutato: un’offerta così buona che solo un regime deciso ad acquisire armi nucleari per le ragioni sbagliate potrebbe rifiutare. In queste circostanze, gli Stati Uniti (o Israele) potrebbero fingere di intraprendere le loro operazioni con dispiacere, non con rabbia, e almeno una parte della comunità internazionale attribuirebbe la colpa agli iraniani, per aver rifiutato un ottimo accordo.”
Scritta anni fa, mentre gli USA, l’Arabia Saudita e Israele stavano già complottando di rovesciare la Siria vicina e alleata dell’Iran tramite Al Qaeda per indebolire la Repubblica Islamica prima dell’inevitabile guerra, questa citazione smaschera l’attuale messa in scena dell’ “accordo sul nucleare iraniano”.
L’Occidente non ha intenzione di stringere alcun accordo durevole con l’Iran, visto che la sua capacità nucleare, perfino nel caso di acquisizione di armi nucleari, non avrebbe mai rappresentato una minaccia esistenziale per i paesi occidentali o i loro partner regionali. Il problema che l’Occidente ha con l’Iran sta nella sua sovranità e nella sua capacità di proiettare i suoi interessi in sfere tradizionalmente monopolizzate dagli USA e dal Regno Unito in tutto il Medio Oriente. A meno che l’Iran intenda cedere la sua sovranità e influenza regionale, insieme al suo diritto di sviluppare e usare la tecnologia nucleare, il tradimento di qualsiasi “accordo sul nucleare” è del tutto inevitabile, come la guerra che presto ne seguirà.
Mostrare la doppiezza che accompagna gli “sforzi” occidentali di raggiungere un accordo comprometterà seriamente i loro tentativi di usare l’accordo come pretesto per giustificare operazioni militari contro l’Iran. Da parte loro, l’Iran e i suoi alleati devono essere pronti alla guerra, a maggior ragione quando l’Occidente fa finta di cercare la pace. La Libia è l’esempio perfetto del destino riservato alle nazioni disapprovate dall’Occidente che hanno abbassato la guardia: è letteralmente una questione di vita o di morte sia per i loro leader che per le nazioni nel loro complesso.
Fonte: Land Destroyer Traduzione: Anacronista
Nella foto sopra : un reparto iraniano delle “Guardie della Rivoluzione”
Nella foto al centro: esercitazioni di truppe elitrasportate iraniane
L’arsenale nucleare israeliano: la reale minaccia per il Medio Oriente
Perché nessuno parla mai delle 200-400 testate nucleari in mano a Benyamin Netanyahu e delle due centrali proibite?
Una delle ragioni per cui il primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, teme tanto l’accordo nucleare con l’Iran è che l’attenzione del mondo si sposti inevitabilmente sul programma nucleare militare d’Israele, uno Stato che secondo gli esperti possiede tra le 200 e le 400 testate nucleari.
Il grosso arsenale del regime israeliano può rappresentare una grave minaccia per la regione mediorientale e per il mondo intero. Occorre ricordare che il regime israeliano, a differenza di quello iraniano, periodicamente aggredisce i suoi vicini, sganciando bombe a grappolo, al fosforo e altre armi proibite per massacrare le popolazioni civili.
Alcuni esperti israeliani hanno lanciato l’allarme su tale arsenale, compreso lo scienziato Mordechai Vanunu, ancora in prigione per aver svelato l’esistenza del nucleare israeliano e il suo programma; e il prof. Uzi Evan, ex responsabile del centro di ricerca nucleare di Dimona, nel deserto del Negev, il quale ha manifestato il suo potenziale pericolo.
Nel 2003, il generale israeliano,Van Creveld, si vantò della capacità d’Israele di raggiungere la maggior parte delle capitali europee con le sue armi nucleari.
Israele possiede almeno due centrali nucleari proibite, quella di Dimona, un regalo del governo socialista francese di Guy Mollet del 1956, e quella del centro di ricerche nucleari di Nahal Sorek, a ovest di Gerusalemme, un regalo questo, del presidente statunitense Eisenhower. La centrale di Dimona fu un compenso per i servigi prestati da Israele al colonialismo francese durante la Guerra d’Indipendenza dell’Algeria, in cui Israele aiutò la Francia a combattere l’FLN algerino grazie alle reti sioniste presenti nel Paese nordafricano.
Vanunu, neutralizzato dal bellicismo israeliano, svelò pubblicamente per la prima volta nel 1986 l’esistenza della centrale nucleare e la sua capacità di fabbricazione di testate nucleare. Questo gli valse il suo sequestro e 18 anni di reclusione. Oltre al suo isolamento e divieto di rilasciare interviste alla stampa.
Nel 2008, un quotidiano italiano svelò un grosso scandalo: Mahmud Saada, esperto e membro di una commissione internazionale responsabile della protezione in caso di guerre nucleari, informò che “le radiazioni emanate dal reattore israeliano di Dimona e dalle scorie nucleari sepolte in tre depositi sotterranei adiacenti, sono la causa di forme molto rare di tumore agli occhi e al cervello tra i bambini palestinesi del distretto di Daheriyeh, a sud di Al Jalil (Hebron), in Cisgiordania. Non vi erano altre spiegazioni per l’aumento del 60% di questo tipo di cancro.
Due anni prima, alcuni medici palestinesi, con l’appoggio dell’esperto israeliano Michael Shapira, avevano denunciato l’aumento di casi di cancro e di aborti spontanei in cinque villaggi a sud di Hebron.
Nel 2009, un gruppo di lavoratori israeliani di Dimona accusò la direzione del Centro di averli usati come cavie esponendoli all’uranio per fini sperimentali.
Ma nonostante tutti questi crimini, lo Stato d’Israele continua a godere di una totale impunità. Si rifiuta di firmare il Trattato di Non Proliferazione e impedisce le ispezioni dei suoi impianti, senza che gli si vengano applicate sanzioni. L’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA) continua a far finta di niente di fronte ad uno Stato che rappresenta il maggior pericolo nucleare del pianeta.
(traduzione di Stefania Russo)
(traduzione di Stefania Russo)
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=12352
Alan Hart, giornalista inglese, è stato corrispondente capo di Independent Television News, presentatore di BBC Panorama e inviato di guerra in Vietnam. Ha lavorato a lungo in Medio Oriente, dove, nel corso degli anni, ha conosciuto personalmente i maggiori protagonisti del conflitto arabo-israeliano. Le sue conversazioni private con personaggi quali, ad esempio, Golda Meir e Yasser Arafat gli hanno permesso di conoscere verità spesso taciute all’opinione pubblica.
Autore di una biografia di Arafat e della trilogia “Sionismo. Il vero nemico degli Ebrei” è fra i promotori dell’iniziativa “La verità sull’11 settembre”.
Hart è fiero di essere un pensatore indipendente e di non essere mai stato membro di alcun partito o gruppo politico. Alla domanda sul motivo del suo impegno, lui rispose: “Ho tre figli e, quando il mondo andrà in pezzi, voglio essere in grado di guardarli negli occhi e dire: non prendetevela con me. Io ci ho provato.”
“Alan Hart, col suo agghiacciante e scorrevole racconto, rivelatore degli intrighi e dello sviluppo politico del sionismo, ha dato un contributo estremamente prezioso.”
Rabbi Ahron Cohen
“La ricostruzione puntigliosa e documentata con cui Hart illumina le trame, gli inganni e i raggiri mediante i quali i sionisti coartarono il voto delle Nazioni Unite, e come costrinsero Truman ad appoggiare il loro progetto, nonostante la sua riluttanza, mette una pietra tombale su ogni pretesa di ‘ripulire’ il sionismo dalla cloaca in cui è sempre stato.”
Diego Siragusa
“In questo straordinario libro, Alan Hart è riuscito a chiarirci i pericoli, immediati e a lungo termine, connessi al sostegno occidentale incondizionato verso il sionismo e le sue politiche oppressive contro i Palestinesi. L‘autore ci fornisce un‘esposizione agghiacciante di come questo abbraccio si è sviluppato e continua a mettere in pericolo l‘esistenza ebraica e alimenta l‘antisemitismo che rifi uta di scomparire. Motivato da una genuina preoccupazione per la pace in Israele e Palestina, e nel mondo in generale, Alan Hart ha scritto non solo un forte atto d‘accusa contro il sionismo, basato sulla ricerca e l‘esperienza personale, ma ci ha anche fornito una garanzia per un futuro migliore.“
Ilan Pappe, storico israeliano, autore de La pulizia etnica della Palestina
Sionismo. Il vero nemico degli Ebrei. Vol. 1: Il falso messia,
di Alan Hart,
Zambon, pp. 360, € 20
https://byebyeunclesam.wordpress.com/2015/07/16/sionismo-il-vero-nemico-degli-ebrei/
Sionismo. Il vero nemico degli Ebrei
Alan Hart, giornalista inglese, è stato corrispondente capo di Independent Television News, presentatore di BBC Panorama e inviato di guerra in Vietnam. Ha lavorato a lungo in Medio Oriente, dove, nel corso degli anni, ha conosciuto personalmente i maggiori protagonisti del conflitto arabo-israeliano. Le sue conversazioni private con personaggi quali, ad esempio, Golda Meir e Yasser Arafat gli hanno permesso di conoscere verità spesso taciute all’opinione pubblica.
Autore di una biografia di Arafat e della trilogia “Sionismo. Il vero nemico degli Ebrei” è fra i promotori dell’iniziativa “La verità sull’11 settembre”.
Hart è fiero di essere un pensatore indipendente e di non essere mai stato membro di alcun partito o gruppo politico. Alla domanda sul motivo del suo impegno, lui rispose: “Ho tre figli e, quando il mondo andrà in pezzi, voglio essere in grado di guardarli negli occhi e dire: non prendetevela con me. Io ci ho provato.”
“Alan Hart, col suo agghiacciante e scorrevole racconto, rivelatore degli intrighi e dello sviluppo politico del sionismo, ha dato un contributo estremamente prezioso.”
Rabbi Ahron Cohen
“La ricostruzione puntigliosa e documentata con cui Hart illumina le trame, gli inganni e i raggiri mediante i quali i sionisti coartarono il voto delle Nazioni Unite, e come costrinsero Truman ad appoggiare il loro progetto, nonostante la sua riluttanza, mette una pietra tombale su ogni pretesa di ‘ripulire’ il sionismo dalla cloaca in cui è sempre stato.”
Diego Siragusa
“In questo straordinario libro, Alan Hart è riuscito a chiarirci i pericoli, immediati e a lungo termine, connessi al sostegno occidentale incondizionato verso il sionismo e le sue politiche oppressive contro i Palestinesi. L‘autore ci fornisce un‘esposizione agghiacciante di come questo abbraccio si è sviluppato e continua a mettere in pericolo l‘esistenza ebraica e alimenta l‘antisemitismo che rifi uta di scomparire. Motivato da una genuina preoccupazione per la pace in Israele e Palestina, e nel mondo in generale, Alan Hart ha scritto non solo un forte atto d‘accusa contro il sionismo, basato sulla ricerca e l‘esperienza personale, ma ci ha anche fornito una garanzia per un futuro migliore.“
Ilan Pappe, storico israeliano, autore de La pulizia etnica della Palestina
Sionismo. Il vero nemico degli Ebrei. Vol. 1: Il falso messia,
di Alan Hart,
Zambon, pp. 360, € 20
https://byebyeunclesam.wordpress.com/2015/07/16/sionismo-il-vero-nemico-degli-ebrei/
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