ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 24 settembre 2015

Benvenuti al Centro-Nord

Contro i profughi. E non per “razzismo”.


Fra i salvagenti abbandonati e i gommoni sgonfiati dell’isola di Lesbos, l’inviato di Sky News ha scoperto questo “manuale” per rifugiati organizzati. Una vera guida turistica con tutte le informazioni necessarie: carte geografiche, consigli pratici sui comportamenti degli stati europei, numeri di telefono delle organizzazioni da chiamare per farsi accogliere; UNHCR, Croce Rossa volonterose. L’opuscolo, scritto in arabo, è stampato e distribuito gratuitamente in Turchia da un’associazione che si chiama W2eu, che sta per “Welcome to Europe”, Benvenuti in Europa.
La volonterosa organizzazione fornisce anche sua sua “hotline”, un numero verde che il profugo ben organizzato può chiamare, 24 ore su 24; il volontario al telefono raccoglie le coordinate del profugo ed avverte le autorità del paese che lo accoglieranno.
Nel caso, al giornalista di Sky ha risposto una “Sonia” che parla arabo, dalla sua casa in Austria, e tutta ilare dice: “Siamo un gruppo grosso, circa cento persone, presenti in tutta Europa e il Nordafrica”. Anche l’ingenuo capisce che una simile organizzazione, disponibile 24 ore su 24, ha un costo. Chi lo paga?
Un valoroso blogger , http://liberticida.blogspot.it/, seguendo le tracce lasciate da un’altra simile organizzazione tedesca e tanto caritatevole verso gli immigrati clandestini da aiutarli a passare i confini nascosti nelle auto dei volontari, luchthelfer.in, ha scoperto che essa è una emanazione della Ayn Rand Foundation, una fondazione ‘culturale’ Usa: “strana fondazione, la Ayn Rand, da una parte sostiene apertamente Israele e il sionismo, e non è strano, pensando al nome del suo direttore, Yaron Brook, dall’altra si oppone fermamente alla religione musulmana, e dal 2001 i suoi vertici affermano che : “occorre decidere tra uno sterminio di massa in America o nei paesi che sostengono il terrorismo” (citazione).

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Che coincidenza: un lettore mi invia una serie di citazioni tratte da un sito americano, che riporto – avvertendo che mi dissocio dalle idee che possono suscitare.
La chiave per risolvere il problema sociale nel nostro tempo è di abolire la razza bianca”. Professor Noel Ignatiev, storico, docente al Massachusetts College of Arts.


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L’ufficio del censimento ha appena riferito che circa metà della popolazione americana sarà presto non bianca o non europea, E saranno cittadini americani. Abbiamo superato il punto in cui nessun partito anzi-ariano potrà prevalere in questo paese. Noi abbiamo nutrito per mezzo secolo il clima americano di opposizione ai pregiudizi etnici. Questo clima non è ancora perfetto, ma il carattere eterogeneo della popolazione tende a renderlo irreversibile”. Earl Raab, già direttore del Jewish Community Relations Council, scrittore e saggista molto amato dai sionisti.
La non-europeizzazione dell’America è una notizia consolante di natura quasi trascendente”: Ben Wattenberg (1933-2015), vero nome Josef Ben Zion Wattenberg, scrittore e giornalista americano, influente negli ambienti del partito democratico.
Gli ebrei americani sono impegnati alla tolleranza culturale a causa della loro convinzione, ben radicata nella storia, che gli ebrei sono al sicuro solo in una società che accetta un ampio ventaglio di atteggiamenti e comportamenti, come anche una diversità di gruppi etnici e religiosi. Per esempio è questa convinzione, non una approvazione della omosessualità, a far sì che la stragrande maggioranza degli ebrei promuove i “diritti dei gay” e prende una posizione liberale su quasi tutte le altre cosiddette questioni sociali”:
Charles Silberman (1925-2011), giornalista di Fortune, saggista e scrittore di “temi sociali”.
Un giorno nel futuro, la gente colorata riuscirà – vorrei dire genererà – la sua andata al potere in Europa e in America. La popolazione araba cresce i paesi come la Francia e l’Olanda, e vedremo come andranno i messicani qui in America. Eh sì, perché scopando di più, i popoli scuri domineranno il mondo! E i bianchi, per la loro stessa sopravvivenza, dovranno essere gentili con loro! Ottimo!”.
Bill Maher, comico e conduttore televisivo di successo su vari network (Real Time, Politically Incorrect), dove si è espresso a favore della legalizzazione delle droghe e dei matrimoni gay, e ha deriso la religione.
Il rafforzamento di un’Australia multicultulturale o diversa è la nostra miglior assicurazione contro l’anti-semitismo. Il giorno che l’Australia avrà un governatore generale australian-cinese, mi sentirò più libero e fiducioso come ebrea australiana”
Miriam Faine, direttrice dello Australian Jewish Democrat.




Il rabbino Levitts
Il rabbino Levitts

E’ nell’interesse ebraico, e dell’umanesimo, che i bianchi esperimentino un genocidio. Finché i bambini bianchi non saranno bruciati vivi, le donne bianche violentate, mutilate assassinate e gli uomini bianchi che non saranno ancora stati massacrati non assisteranno impotenti mentre la loro gente viene terrorizzata…solo allora il genere umano sarà su un piede di uguaglianza, pronto a discutere il privilegio bianco e l’evidente risentimento che provano le altre minoranze”.
Ishmael Levitts, rabbino.
Ritengo ci sia un ritorno di antisemitismo perché a questo punto del tempo l’Europa non ha ancora imparato come essere multiculturale. E ritengo che noi saremo parte delle doglie di questa trasformazione, che deve avvenire. L’Europa non dovrà più essere le società monolitiche che sono state nell’ultimo secolo. Gli ebrei saranno al centro di questa: è una grande trasformazione quella che l’Europa deve subire. Adesso stanno andando nell’età multiculturale, e ci sarà risentimento verso gli ebrei per il nostro ruolo-guida. Ma senza questo ruolo-guida e questa trasformazione, l’Europa non sopravviverà”.
Barbara Lerner Spectrefondatrice di “Paideia”, fondo ebraico in Svezia per l’educazione degli europei.

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Non c’è alcun posto nella Europa moderna per stati etnicamente puri. E’ un’idea del 19mo secolo e stiamo tentando la transizione al ventunesimo secolo, e lo faremo attraverso gli stati multi-etnici”.
Wesley Clark, generale, che ha comandato le forze NATO nella guerra del Kossovo contro la Serbia.
Sono citazioni utili per sapere chi ci sta facendo questo e perché. E per sapere quali padroni servano i volontari di questo umanitarismo alla moda, l’accoglienza agli immigrati senza alcun limite.
Ma prendo la più fiera distanza dalle idee che queste citazioni possono suscitare, ossia che sia essenziale avere stati mono-etnici. Faccio salvi casi particolari, come il popolo magiaro, la cui identità etnica e linguistica ostinatamente conservata nei secoli di fronte alla marea slava merita rispetto, è segno di dignità da onorare ed è giusto che sia difesa (1); per la Politica (con la p maiuscola) le etnie sono poco significative, sono “accidenti” bisognosi di  ”sostanza”, sono “materia” a cui il Governo politico deve dare “forma”.

Ethnos necessita Logos

Uso una terminologia che risale ad Aristotile ed è stata adottata da Tomaso d’Aquino. Come spiegarla?
Un pugnale può essere fatto di acciaio, di bronzo,  oggi  di ceramica,  un tempo di ossidiana; ciò che lo rende “pugnale” non è la materia di cui è fatto, ma la “forma” che gli dà l’artefice: è lui a dare al coltello la sua “essenza”, a rendere la materia “intelligibile”. Ogni realtà è materia- e- forma, potenzialità ed atto, “sostanza e accidente”.
L’artigiano che fabbrica un pugnale impone alla materia una volontà, una finalità. La “forma” è sempreuna rivelazione di intelligenza, e rende la materia “intellegibile”; nell’intera creazione è la Intelligenza (con la maiuscola) per eccellenza che traspare. E chi non la vede, è semplicemente un bruto.
Il lato “formale” è l’imposizione della intelligenza, della volontà e della finalità a qualcosa che per sé, non ne ha  (2).
Questo vale anche per le masse umane. Quando il filosofo che spesso cito ricorda che Roma unì “ genti diverse e reciprocamente ostili ” chiamandole a “ a fare qualcosa di grande assieme”, è chiaro che l’impero romano non fu mosso da buonismo, da una untuosa e lacrimosa voglia di “accoglienza”, da pseudo-sentimentalismi caritativi, e men che meno da ideologie multi-etniciste; nemmeno si propose, credo, quella che oggi chiamiamo “integrazione” del “diverso”. I romani erano dotati di quella qualità rara che si chiama “saper comandare” (che i greci, tanto più profondi, non avevano); e il comandare, nel senso vero e profondo, è dare una volontà, intelligenza e un fine a masse disperse. Era dare “forma” ad accidentali differenze, biologiche, linguistiche e razziali, ridurre i molteplici particolarismi in una unità spiritualmente superiore. Diedero alla “materia”, ethnos, una “essenza intellegibile”. Disciplina e diritto, essenzialmente. Quando Paolo dice che sotto Cristo “non c’è più né giudeo né greco”; non aggiunge però “…e nemmeno romano”, perché essere giudeo o greco era un’appartenenza etnica; “romano” invece era uno status giuridico e politico, un ordine di realtà completamente diverso. E superiore.
E Roma – è da notare – ottenne questo risultato senza omologare burocraticamente, senza cancellare le specificità etniche, come vuol fare oggi il mostro freddo chiamato UE; e la prova è che quando l’impero si disgregò sotto l’alluvione dei barbari, rispuntarono vitalità nazionali, specifiche, riconoscibilmente pre-romane, che si mescolarono coi nuovi arrivati d’oltre Danubio. E quando la grande struttura di civiltà dell’impero romano non fu più in grado di “dare forma” e finalità alle nuove tribù guerreggianti, nello sforzo  subentrò la religione cristiana: che diede ai tanti ethnos addirittura il Logos. Nazioni che divennero stati diversi, con lingue volgari diverse, restarono tuttavia unificate dal latino, dal ricordo dell’impero a cui la Chiesa si poneva erede, e furono tutte parte della Europa Cristiana. Unificate, finché durò in un impero Sacro e Romano.
Perciò è vero che velleità di chiusura “identitaria” sono moti regressivi, perdenti, ed è il motivo per cui il razzismo politico è votato alla sconfitta. Perché si appoggia su una particolarità biologica, ossia è materialismo; e la materia, come avvertiva San Tomaso d’Aquino, è “signata quantitate”: ciò vuol dire che la materia è segnata dalla divisione, dalla molteplicità; differenzia e non unisce. E, come nota Michael Jones, definirsi oggi “uomo bianco” è la patetica affermazione di aver perso l’identità;  non a caso è una ideologia fortemente “americana”: dalla legge di Lynch agli autobus separati nel Sud, all’eugenetica che fu coltivata  in Usa  molto prima che Hitler nascesse.
Non è “l’uomo bianco” ad aver fondato Roma, la Cristianità, il Sacro impero che durò a Vienna fino al 1918; è l’uomo romano, l’uomo cristiano.
E i signori rabbini e militanti citati qui sopra, non è “la razza bianca” che vogliono sterminare. E’ la civiltà europea greco-romana e cristiana, l’unità spirituale  che essa rappresenta, e che essi odiano ed invidiano fino alla follia. La prova è che i neonazisti ucraini, con la loro esibita “identità razziale”, servono benissimo ai loro scopi: sono “materia” senza forma, ethnos senza Logos, zoologia senza intelligenza….




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Al servizio di lorsignori

L’etnia meglio favorita di qualità “naturali” degrada, se non riceve la “forma intellegibile”; e infatti le nuove generazioni “bianche” occidentali che si riempiono di tatuaggi ed anelli al naso segnalano – è un sintomo allarmante e sottovalutato – la decadenza della “razza”verso stati inferiori di esistenza collettiva, senza dignità né nobiltà, uno scadere verso il “facile”; e la “rivoluzione della tenerezza” di cui parla El Papa non è che un accompagnamento a questa caduta nella neo-barbarie. “Tenerezza”, sentimentalismi, hanno sempre anche il lato della ferocia irrazionale e improvvisa, anche quella è un impulso – una società che si commuove è anche una società che fa’ stragi. E’ lo status tribale, sub-civile. Contro Rousseau che predicava il ritorno allo stato di natura come liberazione, Hegel mostrò: “Lungi dall’essere il dominio della libertà, lo stato selvaggio è associato a passioni brutali ed atti violenti. Lo Spirito, nelle condizione sua naturale, è una condizione di servitù in cui l’uomo vive sotto la soggezione dei sensi”.
Confesso: ho meno paura delle centinaia di migliaia di profughi e immigrati che ci stanno mandando, quanto della nostra “integrazione”. Li “integriamo” in una civiltà in degrado terminale, in sistemi giuridici dove domina il “positivismo” (ossia l’arbitrio), dove la disonestà è esibita e la ineguaglianza scandalosa, dove il potere politico non è più chiaro e chiaramente identificato, e perciò sempre più irresponsabile, tra entità tecnocratiche e sovranazionali a più strati cui sono consegnate porzioni sempre più importanti di sovranità (che è il fondamento del diritto!); e a cui si risponde con impossibili “ chiusure identitarie”, che sono sogni ad occhi aperti e regressivi. Insomma, li integriamo nella inciviltà avanzante. E non è allegro.
Ci vorrebbe un Logos che desse forma al pullulare di gruppi minimi fra loro ostili, a cui ci stiamo riducendo.
Ma come ne siamo lontani, lo dice un fatterello che vi racconto.
L’agosto scorso, mi capitò di ascoltare una conferenza di Massimo Cacciari al mare, una sera. In modo eloquente, il filosofo dalla capigliatura preternaturalmente folta e nera, lamentò con appassionata eloquenza come si stava costruendo l’Europa, come una potenza ottusa, omologante, che schiaccia le vitali diversità dei popoli europei… insomma le stesse lagnanze che avete letto anche in queste pagine, molte volte. Mi alzai e gli chiesi se, allora, non sarebbe stato meglio accettare l’idea del generale De Gaulle, che fu sempre nemico di quest’europeismo tecnocratico-massonico, e propugnava una “Europa delle patrie”.

Cacciari storse la faccia.

Patria”, disse, non gli piaceva, c’è troppo di “Pater”, di autoritario. Se mai, avrebbe voluto una “Europa delle Matrie”. Applausi da pubblico (di sinistra). Non ebbi modo – ne voglia – di replicargli che come filosofo aduso alla terminologia ellenica, doveva sapere che il regno delle Madri fu, n ella Grecia arcaica, il regno delle Erinni. Le civiltà delle madri è quella mafiosa, fu quella della vendetta familiare, della catena di faide, del familismo amorale. Già Eschilo celebrò la fine di quel “regno” della tenerezza-violenza, in una nota quadrilogia. Oreste uccide sua madre, che aveva ucciso suo padre Agamennone; le Erinni lo vogliono fare a pezzi, perché ha versato sangue della sua stessa famiglia, famiglia degli Atridi, una catena di omicidi…..Interviene Atena, spuntata dal cervello di Giove, e difende Oreste nel processo davanti all’aeropago: d’ora in poi si valuta il fatto in tribunale, ed Oreste ha compiuto un atto di giustizia, avendo sua madre tradito ed ucciso Agamennone. La Giustizia è soddisfatta, dunque cessi la catena della faida. D’ora in poi lo stato sarà virile, razionale, “forma” e non “materia”; le Erinni siano confinate al focolare, diventino Eumenidi, che significa le benevole; loro sarà il “regno della tenerezza” che si applica però rigorosamente solo ai nipotini, agli infanti. Di giustizia, le Madri non si occupino più.
Tutte queste cose, Cacciari sa benissimo. Sa anche che qui, non ci mancano le Matrie. Ne siamo pieni. La mafia è una Matria, è una Matria la camorra; il clan dei Casamonica un’altra Matria, la cosca dei giudici in fondo è un’altra Matria; la Rai è una Matria, la Chiesa come s’è venuta atteggiando, un’altra ancora. Siamo soffocati da madri, la nostra vita è piena di affetti, i figliso’piezz’e core, gli immigrati si accolgono tutti perché poverini, i disonesti e parassiti pubblici non vanno licenziati, all’omicida diamo quattro anni, i delinquenti si fanno uscire di galera perchè nessuno tocchi Caino…e così, passo passo, si regredisce alle Erinni. Perdendo il senso della giustizia, della forma, della razionale intelligenza a cui obbligare i cittadini.
L’Europa delle Matrie l’abbiamo già. Anche il dominio della Merkel ne è un sintomo preoccupante. Disperatamente continua a mancarci la Patria, e non abbiamo più padri.

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Note
  1. Proprio perché profondamente consapevole della propria identità e dotato di dignità particolare, il popolo magiaro ebbe l’umiltà di restare per secoli fedele suddito dell’impero asburgico, cattolico e multinazionale propaggine del Sacro Romano Impero. Nell’ottocento dove le altre etnie, istigate dalla propaganda massonica, si ribellarono al mite monarca di Vienna e pretesero a farsi “stati nazionali” (una moda funesta che oggi ci viene cancellata dai padroni), gli ungheresi – proprio loro che potevano rivendicare una monarchia nazionale, con la corona di Santo Stefano re – si sentivano meglio garantiti e valorizzati sotto l’ala “romana” di Francesco Giuseppe. Appunto per punirla di questa fedeltà, i massonici vincitori della Grande Guerra la smembrarono, regalandone lacerti vitali a stati e staterelli slavi appena creati.
  2. Il dare forma alla materia è sempre un atto d’imperium, una imposizione, “perché a risponder   la materia è sorda” (disse Dante).   Per  questo lo Stato “porta la spada”,   come ricorda san Paolo, è una autorità e una forza.  Ma non “solo” forza,   bensì forza illuminata da uno scopo, da un’intelligente volontà. Una forza disciplinante e  unificante.     

Perché partono gli emigranti per terre lontane? E' la globalizzazione, bellezza!

Per un po’ mi sono domandata dove volesse andare a parare la grancassa mediatica, rulli di tamburi e squilli di tromba ecc.ecc., del buonismo finto compassionevole, della carità pelosa e ipocrita, sugli emigranti che approdano o naufragano sulle coste europee. Sapendo che il coro dei media canta sempre con ammirevole uniformità, diretto con gran discrezione da qualcuno che sta dietro le quinte.

Ci sono anche quelli “fuori dal coro” naturalmente, ma non arrivano al grande pubblico. Ci ha pensato Cameron a rivelarmelo. Il “paggetto” degli USA è stato il primo a buttare la maschera: “dobbiamo intervenire in Siria bla bla bla… e togliere di mezzo Assad”. Eccoli là! Ecco perché emigranti afgani, pakistani, arabi ecc. sono diventati tutti “profughi siriani”.
Certo anche i profughi siriani ci sono, grazie ad una guerra progettata, sovvenzionata, teleguidata dall’Impero, verso un paese che ai dettami dell’Impero non voleva piegarsi. E, visto che i mercenari nazislamici non riescono ancora ad impadronirsi della Siria, visto che la maggior parte dei paesi europei recalcitra di fronte alle pressioni USA per intervenire e occupare il, paese, si usa la disperazione e la speranza di migliaia di persone come grimaldello.
Ci hanno poi pensato la Germania e la Russia a far capire al “direttore” che non era cosa. La prima ha ribadito in molti modi, palesi o meno, che ad invadere la Siria non ci sta manco per sogno. La seconda ha spiegato che chi ci prova dovrà fare i conti anche con lei.
Il coro si è un poco confuso, molti hanno cambiato canzone o messo la sordina. Per il momento. Quasi sempre ritornano.
Ma in tanto cancan mediatico mai che si indaghi, almeno per pudore, sulle cause fondamentali per cui queste folle di africani, arabi, asiatici intraprendono viaggi costosi, pericolosi, faticosi, verso le sponde dell’occidente europeo.
La povertà, le guerre, così si dice e niente di più. Niente su cosa abbia provocato cotanta povertà e guerra.
Sembrerebbe, o così si vuol far credere, che guerre e povertà siano una caratteristica innata di quei paesi che chiamiamo terzo mondo. Un endemismo, un’ereditarietà, una tara genetica.
Peccato che, da altre frontiere, arrivino frotte di altri immigrati di quello che un tempo non era terzo mondo: rumeni, polacchi, ucraini…
Tutti insieme i paesi a reddito medio e basso, fra cui gli ex socialisti, che rappresentano circa l’85 per cento della popolazione mondiale, riscuotono approssimativamente il 20 per cento del reddito mondiale… In molti paesi indebitati del terzo mondo, i salari reali hanno subito una flessione di oltre il 60 per cento fin dall’inizio degli anni Ottanta (Chossudovsky, “La globalizzazione della povertà”)
Perché tutta questa gente lascia la casa, la famiglia, gli amici, il paese in cui è nata e di cui conosce la lingua, le usanze, la mentalità, e attraversa il mondo spendendo i propri risparmi e a volte anche quelli di parenti e amici, per arrivare, dopo avere magari rischiato la vita, in paesi sconosciuti, tra gente ostile di cui non conosce la lingua e le abitudini, a volte nemmeno le leggi; in luoghi dove tutto è estraneo, persino i paesaggi, persino le architetture.
Perché così tanta gente si sradica?
E se fosse per colpa dei nostri i-phone, smartphone, BMW, Audi, lavastoviglie, SUV, tablets, crociere, voli aerei, motociclette, condizionatori… ?
E se fosse per colpa del nostro stile di vita?
E’ la globalizzazione neoliberista, bellezza!
E per cercare di analizzarla un po’, questa globalizzazione neoliberista di cui non è più di moda parlare, che fa viaggiare merci senza più dogane ed esseri umani senza più radici né diritti, voglio raccontarvi una storia.
Una storia tra tante, una storia esemplare, dalla quale si possono evincere alcune delle cause che fanno emigrare milioni di esseri umani verso l’ignoto.
C’era una volta l’Etiopia. L’Etiopia era un paese arido, in parte desertico ma con parecchie fertili vallate in cui scorrevano fiumi e cresceva una vegetazione rigogliosa. In queste fertili vallate viveva gran parte della popolazione etiope, che era composta per ben l’ottantaquattro per cento da contadini e piccoli allevatori. Non essendo l’Etiopia un paese sviluppato. Centinaia di migliaia di quei contadini e piccoli allevatori erano comunità del tipo che noi chiamiamo “indigene” o “selvagge”: gente che non è mai progredita e che perciò viveva ancora in perfetta armonia con la natura, e conservava conoscenze vaste e profonde che noi abbiamo perso. Tutti, selvaggi o no, erano autosufficienti e, probabilmente, felici.
L’Etiopia era considerata, da noi “progrediti”, un paese povero.
Poi, dopo aver rovesciato un governo “dittatoriale”, in Etiopia è arrivato il progresso: la globalizzazione capital-imperialista. Le fertili vallate sono diventate territorio di rapina, pardon, di investimenti: milioni di ettari coltivati a jathropa e palma da olio per farci biocarburanti o biomasse con cui alimentare le nostre centrali (compresa quella di Acerra), milioni di ettari di ortaggi per gli arabo sauditi che nelle loro oasi ci fanno i campi da golf e perciò non gli basta il terreno per coltivarci il loro cibo; centinaia di migliaia di ettari per le serre delle compagnie olandesi che vendono fiori e piante in tutto il mondo.
Così i fiumi sono spariti, “mangiati” dalle dighe che servono a irrigare tutto quel bendidio (morti i pesci, gli anfibi, le piante acquatiche ecc. ecc.); i contadini, selvaggi e non, sono stati scacciati dal nuovo governo “democratico” e dal suo esercito a suon di incendi, stupri, assassinii, botte, torture; le terre fertili, le foreste, la fauna selvatica distrutti e/o avvelenati dai pesticidi; il PIL in crescita e una élite di sfruttatori e parassiti in crescita assieme ad esso.
Ora l’Etiopia è un paese democratico, che si sviluppa allegramente e in cui è vantaggioso investire. Disgraziatamente per contadini, indigeni, animali e piante.
Tanto vantaggioso che la “Cooperazione Internazionale”(chiamasi con questo nome fuorviante la banda di paesi e istituzioni che fanno strozzinaggio su larga scala, anzi, su scala globale) coopera con l’Etiopia abbondantemente. Fornisce magari aiuti per costruire le dighe che serviranno ad irrigare i terreni delle multinazionali, a costruire le strade e i porti che faranno viaggiare le merci prodotte sulle terre etiopi dalle multinazionali. Lo Stato etiope s’indebita coi prestiti della Cooperazione, e per sdebitarsi privatizzerà ciò che è rimasto ancora pubblico, i democratici governanti però si arricchiranno con le mazzette delle imprese occidentali.
E’ sempre la solita globalizzazione, bellezza!
E gli emigranti, dove stanno in questa storia?
Stanno nel futuro di tutti quei contadini e piccoli allevatori scacciati dalle loro terre.
Non saranno loro, probabilmente, a sciamare verso l’Occidente con ogni mezzo: contadini e “selvaggi” conservano a lungo la speranza di tornare alle loro terre, non conoscono il “mondo”, restano attaccati alle tradizioni e alla cultura natìa.
Saranno i loro figli, cresciuti tra le baracche ai margini delle città, sradicati, privati di una comunità e di una cultura, vissuti nell’incertezza e nella penuria, e che però, nella città ai cui margini vivranno, saranno venuti a contatto in qualche modo con la “civiltà”: le mafie, i turisti, la ricchezza ostentata.
E che, come fuga dalla miseria, avranno un’unica strada: l’emigrazione.
La storia, però, non è finita. Ogni storia che si rispetti ha una morale, e questa ne ha addirittura due.
La prima è che la causa fondamentale dell’emigrazione siamo noi, gli abitanti dei paesi ricchi.
I nostri consumi richiedono milioni di ettari “coltivati” per produrre energia. I nostri aspirapolvere, lavastoviglie, tritatutto elettrici, forni elettrici, grattugie elettriche, congelatori, condizionatori… I nostri fine settimana macinando centinaia di chilometri con i nostri macchinoni, i nostri aerei, le nostre moto con cui correre su e giù lungo centinaia di curve appenniniche o alpine come dementi (un nuovo “sport” o svago che possono permettersi anche i panciuti cinquantenni, sentendosi così giovani e temerari, dato che rischiano di sfracellarsi ogni fine settimana)… E, naturalmente, tutto ciò che comperiamo e buttiamo via ha richiesto energia e materie prime e, dato che l’attività preferita dell’Occidente è comperare e buttare…
Poi ci sono le nostre orchidee, le nostre piante esotiche e non, che costano quattro soldi. E come mai? Chi se lo domanda?
Quando ero ragazza, le orchidee le vedevamo solo nei film americani, dove il paperone di turno ne regalava una alla fortunata di turno. Adesso, potenza della globalizzazione, tutti ce le possiamo permettere.
Perché le donne etiopi che lavorano nelle serre olandesi (in Etiopia) vengono pagate sessanta centesimi al giorno. Avete capito bene.
In compenso, la multinazionale olandese ha costruito una clinica a proprie spese (quando si dice la generosità) per curare le suddette donne dalle malattie professionali, che l’uso spropositato di pesticidi senza nessuna precauzione provoca loro altrettanto generosamente.
La clinica però l’hanno fatta in un luogo appartato e lontano dai villaggi e dalle serre:
in modo da non allarmare troppo coloro che devono lavorare lì e le loro famiglie. Quando si dice la delicatezza!
E tutto questo viene fatto per noi!
Siamo noi che ce ne gioviamo e allegramente consumiamo tutte queste cose a buon mercato, ce ne rimpinziamo senza domandarci perché.
Salvo cominciare ad essere inquieti quando vediamo arrivare torme di africani, asiatici, latinoamericani nei nostri paesi, nelle nostre città.
Portati qui dalle nostre biomasse, dal nostro petrolio, dai nostri fiori.
Dal nostro caffè o tè quando non sono equi e solidali.
Seconda morale.
E’ comprensibile, al di là della retorica e del buonismo falso (gli emigranti sono un buon affare anche qua, sfruttabile in molti modi), che l’arrivo di tanti stranieri susciti inquietudine e preoccupazione nella gente comune.
Inevitabilmente gli immigrati finiscono per essere concorrenti sul mercato del lavoro, la loro fragilità e povertà permettono di utilizzarli nel lavoro nero per salari da fame.
Inevitabilmente l’immissione di una grande quantità di persone sradicate in comunità già in gran parte disgregate, come sono quelle delle nostre città e spesso anche delle nostre campagne, finisce per completare la disgregazione e per rendere totale l’alienazione; finisce anche per aumentare la disponibilità di manodopera per il mercato del lavoro criminale.
Tutto questo è innegabile e inevitabile.
E’ sempre la globalizzazione, bellezza!
C’è però un’altra più grande, enorme emigrazione di cui nessuno parla con inquietudine, che non viene mai giudicata negativamente, che provoca danni ben peggiori senza avere nessuna delle giustificazioni che ha l’emigrazione dei poveri.
E’ il ricco turismo di massa.
Un’emigrazione che colpisce popoli e paesi, portando devastazione ambientale, sociale, morale.
Per il ricco turismo di massa si cementificano coste, si prosciugano fiumi e sorgenti, si abbattono foreste, si disboscano montagne, si scacciano popolazioni dalle loro terre per costruirvi villaggi turistici, piscine, campi da golf, alberghi; il ricco turista occidentale uccide leoni nei parchi nazionali, leopardi delle nevi protetti, corrompendo funzionari e popoli. Il ricco turista occidentale violenta a pagamento bambine e bambini, crea un mercato della droga e della prostituzione dove non ce n’era alcuno. Inquina di petrolio le Galapagos e trasforma i piccoli pescatori ecuadoregni in tassisti di mare che consumano mille volte più benzina di quella che serviva loro un tempo. Trasforma l’Himalaya in una discarica.
Ma l’emigrazione turistica non è considerata una calamità come l’emigrazione dei poveri: porta soldi.
Distrugge comunità, annulla culture e tradizioni, devasta l’ambiente, devasta le anime e le vite di milioni di persone.
Due milioni e mezzo di bambini nei paesi poveri sono vittime del ricco turismo di massa. Agenzie nei paesi ricchi arrivano ad organizzare i viaggi per i violentatori.
“I fruitori dello sfruttamento sessuale di minori sono per il 65% turisti occasionali, per il 30% turisti abituali… per la quasi totalità occidentali…
Brasile, Nepal, Bangladesh, Thailandia…” (Osservatorio per il Contrasto della Pedofilia e della Pornografia Minorile – Consiglio dei Ministri).
Ma il ricco turismo di massa porta soldi, sviluppo, progresso!
Invece di tanta retorica sparsa sugli emigranti che son diventati “migranti” (come i rondoni) e sui rifugiati (che non troveranno rifugio), bisognerebbe interrogarsi sulle nostre responsabilità nelle loro “migrazioni”. Comprese le guerre, fatte sempre a vantaggio delle nostre multinazionali, dei nostri consumi, della nostra ricchezza.
Bisognerebbe ricordare che esiste il Commercio Equo e Solidale, uno strumento a disposizione di tutti per aiutare i piccoli contadini del sud del mondo e le loro famiglie a resistere alla globalizzazione.
Bisognerebbe lottare con i contadini etiopi, con gli indigeni, coi piccoli pescatori senegalesi, sapendo che la loro sopravvivenza è anche la nostra possibilità di sopravvivenza in un mondo vivibile.
Bisognerebbe opporci alle guerre progettate dall’Impero con tutte le nostre forze, drizzando le orecchie e allarmandoci, non appena comincia la canéa mediatica contro qualsiasi paese che stava a farsi i fatti suoi e diventa di punto in bianco uno “stato canaglia”.
Rumorosi fucili fabbricano,
piombo da sparare apprestano;
chi li ha fatti è l’europeo,
che per molto argento è superbo,
che molta ricchezza divora.
(Canzone etiope)

di Sonia Savioli - 22 Settembre 2015

http://www.ilcambiamento.it/editoriale/migranti_globalizzazione.html

I rifugiati: cose che tutti sanno ma nessuno osa dire

di Josè Javier  Esparza
Si era presentato Jean-Claude Juncker nel Parlamento  davanti ai gerarchi europei ed aveva intonato la “ritrattazione del burocrate solidale”:  “dobbiamo accogliere tutti quelli che fuggono dalla guerra e dall’oppressione; disponiamo dei mezzi per quello . Alla fine dei conti, tutti noi europei siamo stati qualche volta rifugiati”.
Junker ha pronunciato questo discorso e in breve è salpata dalla costa turca una precaria flotta con tutta una massa di persone ed in poco tempo si sono verificati quattro naufragi ed un numero imprecisato di morti.  Quello che si denomina  un “effetto chiamata” è criminale. Tutti lo sanno, ma nessuno osa dirlo.
Tutti sanno anche che l’Ungheria non sta facendo altro che applicare la politica delle frontiere della UE- come la Spagna a Melilla, come la Francia a Ventimiglia, – ma è molto più facile inventarsi un orco che ci scarichi dalla nostra stessa coscienza. Ci sono molte cose in più che tutti sanno ma che nessuno osa dire.
Tutti noi europei siamo stati rifugiati una qualche volta? Si certo. Maggiormente in questo secolo rifugiati dentro la nostra stessa Europa. Quando siamo stati costretti a partire da un’altra parte ed in condizioni molto diverse da quelle a cui adesso stiamo assistendo. “Gli Stati Uniti sono un paese fatto da emigranti”, ci dicono a modo di esempio. E’ la verità: emigranti in maggioranza europei- a parte gli schiavi- in un territorio immenso e vuoto dove tutto si doveva fare e in cui oggi, di sicuro, sarebbe impossibile vivere per una marea come quella dei rifugiati siriani, iracheni ed afgani, perchè le leggi sull’immigrazione americane sono molto più restrittive che in Europa.
Tuttavia siamo seri: qualcuno crede realmente che un contigente di duecentomila nigeriani, mettiamo il caso, arrivati tutti assieme, potrebbero costruire un paese come gli Stati Uniti?
No. Costruirebbero un’altra cosa. Non dico nè migliore nè peggiore: semplicemente un’altra cosa, perchè le loro anbitudini culturali , la loro religione, il loro modo di vivere la vita e la loro esperienza vissuta sono anche altre e differenti. Tutti lo sanno, ma nessuno osa dirlo.
Alla fine l’argomento dell’ “accoglienza” si basa su altre motivazioni che non hanno tardato ad apparire: gli emigranti sono una “opportunità economica” o “una risorsa” perchè aumentano le nostre possibilità di crescita- lo hanno enunciato gli esponenti politici mondialisti dalla Boldrini a Renzi, al ministro spagnolo Guindos, così come i membri dell’oligarchia di Bruxelles e quelli dell’ONU.
Finiamola una buona volta! Ovvero si tratta di questo? Mano d’opera vergine per alcuni paesi invecchiati a tutta velocità? E per quale motivo questa sarebbe una opportunità economica? Per le grandi imprese che potranno abbassare i salari? Per le casse della previdenza sociale che vanno a ricevere nuovi contributi? Per le banche che vanno ad avere più clienti? No di certo per una popolazione europea scossa dalla crisi, dalla disoccupazione o dalla perdita progressiva delle garanzie sul lavoro e sui diritti sociali. Tutti lo sanno ma nesuno osa dirlo.
Immigrazione di “sostituzione”
Come per caso, la ondata migratoria ha conciso con un rapporto dell’ONU dove si propone la “immigrazione di sostituzione” per risolvere il problema demografico delle società europee. Dicono le Nazioni Unite che “l’Europa deve raddoppiare il suo livello di immigrazione per evitare che la popolazione diminuisca”. Per paesi come la Germania e l’Italia, il calcolo è che fino al 2050 il 30% della popolazione sarà costituito da immigrati o discendenti.
E’ strano che dalle Nazioni Unite non vengano mai proposte politiche per favorire la natalità e la famiglia in Europa, ma che proponga di sostituire la popolazione autoctona con una nuova. Questo risulta lo stesso argomento che si trova implicito nelle considerazioni umanitarie di Junker e in quelle più pedestri dei vari Guindos, della Boldrini, di Renzi, di D’Alema, della Bonino e di tutti gli altri esponenti mondialisti.
Un argomento che alla fine procede da una prospettiva esclusivamente economica: un paese è una unità di produzione, la vita è costituita dall’economia, le persone sono viste come consumatori, lavoratori ed “agenti” del mercato….. Per questo risulta facile sostituire una popolazione con un’altra. Il problema è che questa visione economicistica (tipica dell’ideologia mondialista) delle cose si basa su un profondo errore. Tutti lo sanno ma nessuno osa dirlo.
L’economia è soltanto una dimensione della vita. Non è certo l’unica. Allo stesso modo, gli uomini non sono atomi intercambiabili. Al contrario: gli uomini sono essenzialmente esseri sociali, portano con loro questo zaino come parte imprescindibile della loro identità. Non è ragionevole pensare che diecimila siriani mussulmani alloggiati a Lubeck si vadano a trasformare in diecimila tedeschi. Nè è ragionevole pensare che un paese composto in maggioranza da una popolazione straniera continui ad essere lo stesso paese. Un paese non è soltanto la somma degli individui che lo popolano, la somma delle sue “unità produttive e di consumatori”.
Un paese è sopratutto una memoria condivisa, una esperienza di vita in comune, una idetità collettiva, cioè a dire, cose che vanno molto più in là delle prospettiva economica individuale. Precisamente per questo la prospettiva di una immigrazione di massa causa spavento in Ungheria, in Slovacchia, in Polonia, in Austria o in Danimarca. In molti altri luoghi la cui voce non si ascolta. Luoghi dove si teme che l’attuale ondata di immigranti (per nulla spontanea ma sospinta) non sia niente altro che il primo passo di una marea ancora maggiore.
Tratto da: El Manifiesto
Traduzione e sintesi:  Luciano Lago
http://www.controinformazione.info/i-rifugiati-cose-che-tutti-sanno-ma-nessuno-osa-dire/#more-13050

Immigrazione: altre foto, stesse finalità


Dopo Aylan, altri bambini sono annegati senza l’onore di una foto. In compenso, ora circola nel mondo l’immagine di una bimbetta siriana che gattona davanti a poliziotti appoggiati agli scudi.
La foto di Aylan e quella della bimbetta esprimono situazioni e simbolismi diversi, quasi opposti, ma rispondono allo stesso fine.
Le diversità sono evidenti. Aylan è un piccolo cadavere prono davanti a quel mare che ha una doppia valenza simbolica: è via verso un Altrove, quell’avvenire migliore che doveva attendere il bambino, ma è anche barriera, ostacolo, abisso da superare in una prova in cui si mette a repentaglio la vita.  E quel volto riverso al suolo, lambito dall’onda, è l’immagine di una speranza stroncata sul nascere, di un progetto di vita tragicamente spezzato.
La bambina che zampetta a quattro gambe ha il volto alzato, proteso verso l’avvenire che è al di là dello sbarramento di polizia.  Ma quello sbarramento non ha nulla di minaccioso. I poliziotti sono rilassati, appoggiati ai loro scudi. Alcuni di loro sorridono alla nuova vita che si protende fiduciosa verso un futuro.
Situazioni diverse per un fine identico: suscitare un’ondata di simpatia nei confronti di masse migranti che non hanno l’aspetto inquietante dell’invasione dietro la quale si potrebbero scorgere calcoli affaristici o progetti politici o propositi di islamizzazione dell’Europa, bensì sono costituite da famigliole che chiedono solo un altro futuro per i loro figli.
La realtà è che l’effetto propagandistico ottenuto con la foto di Aylan è già svanito. Gli umori della massa indotti artificiosamente non hanno vita lunga. L’iconografia propagandistica produce effetti duraturi quando stimola i sentimenti profondi delle moltitudini e il sentimento profondo è di paura, di ostilità, di avversione. Gli “accoglienti”, le “suorine catto-progressiste”, elaborano ideologicamente la loro scelta, ma la concettualizzazione ha un sentore di falsità agli occhi dei più. 
I governi lo hanno immediatamente percepito. I “buoni”, Merkel (quella stessa però che poco prima aveva fatto piangere la ragazzina palestinese), il governo croato, che si erano indignati davanti al cattivo di turno, nella persona di Orban, capo del governo ungherese, hanno rapidamente rovesciato il tono dei loro commenti. La Germania è disposta ad accogliere solo siriani per l’industria automobilistica tedesca, che dal loro impiego, che abbasserà ulteriormente i salari di operai e tecnici, ricaverà profitti ancora più grandi e vantaggi concorrenziali (ma questo non si può dire alle masse).  La Croazia, da parte sua, ora imita i cattivoni ungheresi chiudendo le frontiere e schierando l’esercito.
Dietro queste incongruenze e questi rapidi voltafaccia, c’è il calcolo politico-elettoralistico che cavalca gli umori mutanti, ma c’è anche l’incapacità di gestire una situazione obiettivamente difficile.
C’è chi ricorda che alla fine della seconda guerra mondiale quindici milioni di persone si spostarono dalle loro terre, per limitarci al caso europeo.  Ma erano minoranze nazionali trovatesi esposte a causa dei confini che erano mutati. Per esempio erano tedeschi espulsi da terre diventate polacche o russe. Erano profughi che appartenevano comunque a uno stesso orizzonte culturale e religioso rispetto ad altri popoli europei e che ad ogni modo andavano a ricongiungersi alle loro nazionalità. 
Anche l’Italia conobbe il fenomeno, coi nostri connazionali che fuggirono dalle regioni diventate jugoslave. 
Niente da spartire con le attuali migrazioni di masse portatrici di culture, costumi, lingue, religioni non assimilabili a quelle dei popoli presso i quali chiedono, o pretendono, asilo.
Non regge neppure l’obiezione di chi ricorda che Turchia, Libano e Giordania ospitano milioni di iracheni e siriani in fuga dalla guerra.  Quei fuggiaschi sono paragonabili ai nostri “sfollati” durante il secondo conflitto mondiale, quando tanti cercavano rifugio nelle campagne per sfuggire ai bombardamenti aerei che si accanivano sulle città. Molti di loro erano e sono rifugiati temporanei, che attendono il ritorno alla normalità per rientrare nei loro paesi, non sono milioni di uomini e donne che cercano fortuna all’estero per crearsi una nuova vita. 
Del resto anche Turchia, Libano e Giordania stentano a gestire il problema, tanto è vero che ora lo riversano sull’Europa.
La situazione è dunque obiettivamente difficile e proprio perché tale esigerebbe un ceto politico europeo all’altezza dei tempi. Abbiamo invece dei pupazzi ciarlieri e senza spina dorsale. Anche per questo i loro discorsi della mattina sono incoerenti con quelli della sera. 
Il “qui lo dico e qui lo nego” è la regola dei politicanti. Cercansi statisti, disperatamente. 
Luciano Fuschini 
http://www.ilribelle.com/la-voce-del-ribelle/2015/9/24/immigrazione-altre-foto-stesse-finalita.htm
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