Ovvero: la rivincita di Pietro Valdo Parte terza
Dopo aver navigato sui concetti di comunione, di carità, di cammino, di incontro, di sfide e di periferíe, messi uno accanto all’altro come affastellamento lessicale dal nebuloso, pomposo ma sterile significato, più consentaneo a un parlar politichese che a un messaggio di chiara e netta dottrina permeato dello spirito di evangelizzazione, id est: proselitismo – da lui ritenuto, nella infelice e nefasta intervista concessa ad Eugenio Scalfari il 1 ottobre 2013 (festa di Santa Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa), una “sciocchezza che mi fa diventare anticlericale (!)” – dopo questa carrellata, vediamone il seguito con l’affrontare i termini e i significati di unità e uniformità secondo la sua interpretazione.
“L’unità che è frutto dello Spirito Santo non significa uniformità. I fratelli infatti sono accomunati da una stessa origine ma non sono identici fra loro. Ciò è ben chiaro nel N. T. dove, pur essendo chiamati fratelli tutti coloro che condividevano la stessa fede in Gesù Cristo, si intuisce che non tutte le comunità cristiane, di cui essi erano parte, avevano lo stesso stile, né un’identica organizzazione interna. Addirittura, all’interno della stessa piccola comunità si potevano scorgere diversi carismi (cfr. 1 Cor. 12, 14) e persino nell’annuncio del Vangelo vi erano diversità e talora contrasti (cfr. At. 15, 36/40).
Appare assai evidente, pur se coperto da una patina vaporosa di disponibilità e di alto “sentire cum Ecclesia”, un gioco prima verbale e, indi, concettuale scorretto e fuori di quel “sensus communis” che sta a fondamento della stessa logica. E per captare la benevolenza dei suoi interlocutori sì da esser da loro accetto e ritenuto sincero, Papa Bergoglio fa strame di San Paolo e degli Atti degli Apostoli e, consapevolmente, sovverte il significato di unità utilizzando, come grimaldello di scasso, l’uniformità.
Nel precedente nostro intervento abbiamo esaminato in qual modo il Papa confonda disinvoltamente e scorrettamente, assimilando il vocabolo “unità” ad “unione”. Espediente concettuale di cui anche uno studente alle prime esperienze etimo/semantiche, solo con il consultar un dizionario, riesce ad individuarne l’equivocità e l’inganno. Perché mentre “unione” è legame, assemblaggio e contiguità di cose incoerenti e differenziate, “unità” sta solo e soltanto a una realtà complessa, formata internamente da elementi individuali caratterizzati da una geneticità comune ed inalterabile. A un dipresso di quel concetto che A. Manzoni, poeticamente, illustrò nell’Ode “Marzo 1821” quando definì l’Italia “una d’arme, di lingua, d’altare/di memorie, di sangue e di cor”
Nel libro della natura, minerale, vegetale e animale, c’è la dimostrazione chiara di come il concetto di unità sia rappresentato, laddove, ad esempio, nella famiglia delle graminacee – intesa come realtà tipica e tipizzata – sono accomunate specie di forma, colore, fioritura, germinazione diversi che, tuttavìa, hanno un’identica cifra genetica che ne fa, appunto, una famiglia.
Questa esemplificazione non concorre, però, a dare il vero, primo e ultimo concetto dell’unità della Chiesa poiché una famiglia di piante può raccogliersi nell’unità più ampia di un ordine, questo a sua volta in una classe, e questa ancora di un phylum mentre la Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana – Militante, Purgante, Trionfante - è, in quanto realtà trascendente, unica a sé stante, per niente affatto suddivisa in sotto unità o inglobata in realtà superiori. Il suo capo è Cristo rappresentato, in terra, dal suo Vicario e in essi e per essi è Una e Sola.
Il suo statuto, se così possiamo esprimerci, fissa regole e norme di appartenenza emanate dallo stesso suo Fondatore e, pertanto, non modificabili da alcuno, non diversamente interpretabili nemmeno dal Sommo Pontefice. Queste regole si riassumono nelle poche e calibrate parole affidate ai Vangeli che, senza difficoltà, chiunque può verificare sperimentandone la semplicità e la somma chiarezza.
“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la Mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di Essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt. 16, 16/19);
“Io sono la porta: se uno entra attraverso di Me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo… E ho altre pecore che non solo di quest’ovile; anche queste Io devo condurre, ascolteranno la Mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” (Gv. 10, 9 – 16);
“Come Tu, Padre, sei in Me e Io in Te, sìano anch’essi in noi una cosa sola (unum sint)… e la gloria che Tu hai dato a Me, Io l’ho data a loro, perché sìano come Noi una cosa sola… perfetti nell’unità” (Gv. 17, 21/23).
“Io sono la porta: se uno entra attraverso di Me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo… E ho altre pecore che non solo di quest’ovile; anche queste Io devo condurre, ascolteranno la Mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” (Gv. 10, 9 – 16);
“Come Tu, Padre, sei in Me e Io in Te, sìano anch’essi in noi una cosa sola (unum sint)… e la gloria che Tu hai dato a Me, Io l’ho data a loro, perché sìano come Noi una cosa sola… perfetti nell’unità” (Gv. 17, 21/23).
Chiaro si manifesta come la Chiesa Cattolica è la Chiesa di Cristo e soltanto in essa è lecito dirsi cristiani.
Ce ne vuole, perciò, di ardimento e di scaltrezza logica per scolorire o, addirittura, sciogliere queste affermazioni nel giulebbe di una unità ecumenistica, tipizzata soltanto da una contingente diversità di stile o da organizzazione interna così come intende e vuole Papa Bergoglio.
Nel precedente intervento abbiam dimostrato, con l’episodio del santo Curato d’Ars e dell’anglicano, come e perché tutte le chiese/confessioni “cristiane”, storicamente extraEcclesiam per scisma e per ribellione, sono non-cristiane, fuori salvezza perché rami secchi, tralci privi di linfa destinati ad essere bruciati nella Geenna. Parola di Gesù.
Ora, Papa Bergoglio, a sostegno della sua indifendibile tèsi, introduce un argomento tanto capzioso e sottile quanto scorretto e vano: quello della uniformità. Tale categorìa, o condizione, non è unità e, afferma, la Chiesa si caratterizza per diversità e qualità di carismi per cui, sillogizza, essendo la valdese, come la cattolica, ancorata nel comune denominatore della fede in Cristo pur differenziata per stile, ne consegue che pur tale, la diversità altro non è che segno di grazia, replicando l’elogio dell’interreligiosità quale dono di Dio.
Non è poi così difficile, perché lapalissiano, accettare che l’uniformità degli elementi componenti una struttura vivente non ne rappresenti l’unità, perché essa pertiene alle cose meccaniche e inerti la cui essenza è il modulo ripetuto e riprodotto. Quando l’utopìa comunista pretese di applicarla alla società, creando e allineando persone, tutte uguali financo nel modo di vestire, ricorse al sistema dell’eliminazione fisica e all’educazione coatta della mente mediante le cliniche psichiatriche. Pertanto, è ovvio che introdurre il concetto di uniformità in una realtà, alta, misteriosa, trascendente e viva come la Chiesa di cui Capo è Gesù, significa mettere in atto un’operazione dialettica obliqua e incongrua. E qui siamo d’accordo con il Pontefice. Ma…
L’espediente retorico messo in gioco dal Papa e cioè: l’unità non è uniformità ma diversità, viene definito “contraffermazione eccessiva” con il quale chi parla, sovvertendo in negativo una realtà di fatto, intende mettere a tacere un’eventuale obiezione ragionata a vantaggio di una tèsi eccessiva e infondata.
Esempio: un tale, durante una conferenza, sostiene che il bue è animale con la coda lunga cinque metri. Alle rimostranze del pubblico, che obietta l’eccesso, egli chiese. “Ed allora, secondo voi, il bue è senza coda?” Ovviamente il pubblico, caduto nel tranello sofista, risponde no, al che colui conclude: “Allora la coda è di cinque metri”. E si gode pure l’applauso.
Così il Papa: “Io dico che l’unità è diversità” e al dissenso del cattolico che rettifica, egli ribatte. “Ma allora l’unità consiste forse nell’uniformità?”. Certamente no, risponde il cattolico.
“Bene” conclude il Pontefice “allora l’unità è diversità”. Vivace applauso del pubblico e dell’emerito Papa J. Ratzinger, inventore della formula.
Così il Papa: “Io dico che l’unità è diversità” e al dissenso del cattolico che rettifica, egli ribatte. “Ma allora l’unità consiste forse nell’uniformità?”. Certamente no, risponde il cattolico.
“Bene” conclude il Pontefice “allora l’unità è diversità”. Vivace applauso del pubblico e dell’emerito Papa J. Ratzinger, inventore della formula.
Per ottenere il risultato che abbiamo sopra descritto nell’ipotetico contraddittorio, egli correda la contraffermazione eccessiva producendosi in una scorretta interpretazione della Scrittura citando a sostegno le pericopi di I Cor. 12, 1/14 e Atti 15, 36/40 per applicarle illegittimamente alla sua tèsi. E in questa sua esegesi emergono palesi l’astuzia organizzativa dei concetti e la consapevolezza di affermare cosa contraria alla verità, perché il discorso dell’Apostolo è del tutto estraneo al concetto di diversità quale l’intende Papa Bergoglio. Vediamo:
“Poiché c’è diversità di doni, ma lo Spirito è il medesimo, come c’è diversità di ministeri, ma medesimo Signore; e diversità di operazioni, ma il medesimo Dio che opera tutto in tutti… Infatti dallo Spirito a uno è dato il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza, però secondo il medesimo Spirito… Ora, tutte queste cose le compie un solo e medesimo Spirito distribuendole a ciascuno in particolare secondo vuole. Come il corpo, infatti, è uno solo ed ha molte membra, ma tutte le sue membra, pur essendo molte, non sono che un solo corpo, così è il Cristo. Infatti, noi tutti, siamo stati battezzati in un solo Spirito e Giudei e Gentili, e servi e liberi, per formare un solo corpo, e tutti siamo stati dissetati con un solo Spirito”.
Il Papa assimila gli scismatici – che tali sono i valdesi - per il solo fatto di essere “cristiani” e battezzati, a parte viva del Corpo di Cristo, della Chiesa cioè, come se un arto amputato venisse considerato realmente e sostanzialmente parte integrante del corpo vivente da cui il chirurgo, o un trauma, lo ha staccato. Egli sostiene che il medesimo battesimo, comune a valdesi e cattolici, sia il principio unificante in eterno non rammentando che costoro, gli scismatici, professano una dottrina che è del tutto fuori schema cattolico.
La presenza dei carismi di cui parla San Paolo, e che il Papa scaltramente adotta per la sua tèsi preconfezionata, dice che essi, i carismi, distinguono il ruolo e la funzione dei fedeli nell’ambito stretto, interno e ben circoscritto della Chiesa Cattolica, e non di individui di aliene e spurie confessioni. Diverse le funzioni che nella Chiesa si svolgono: Papa, vescovi, parroci, catechisti, insegnanti, fedeli semplici, certamente, ma una diversificazione che caratterizza la vitalità di una unica realtà, così come una squadra di calcio si caratterizza, nel suo essere squadra, cioè compagine unica ed unita, innanzi tutto per il proprio nome distintivo e poi, naturalmente, per la varietà dei ruoli che gli atleti vi ricoprono talché vi è chi difende, chi organizza il gioco, chi realizza. Carismi come ruoli, detto per analogía. E non si è mai vista, e mai si vedrà, una squadra che non sia tale.
La Chiesa Cattolica è una di queste realtà e la sua unicità non consiste soltanto in una generica fede in Cristo, come dicono di professare anche le altre comunità estranee ad Essa, ma si evidenzia nella totale accettazione delle norme e dei comandamenti che Cristo ha dato e fissato perché, rispettandoli nella loro completezza, si possa dire di essere suoi discepoli. Il cattolico si riconosce nel Vangelo e nella Tradizione Apostolica immutabile; crede la Chiesa Apostolica Romana, unico ovile di Cristo e il Papa quale Vicario di Cristo e successore di San Pietro; crede la Chiesa di Pietro unica via di salvezza; crede nella/alla presenza reale di Gesù nel sacramento Eucaristico; pratica il culto dei Santi; crede nell’esistenza del Purgatorio; crede nell’esistenza dell’inferno; crede nell’efficacia delle indulgenze e nei suffragî pro defunctis; considera il Magistero ecclesiale quale depositario e ed unico possessore dell’unica, sola, legittima ed inerrante esegesi della Scrittura; crede nell’indissolubilità del matrimonio contratto davanti alla Chiesa – almeno sino ad oggi ché, dopo il Sinodo di ottobre 2015, si vedrà… – aborrisce la sodomia e le unioni omosessuali; si sottomette al giudizio di Dio mediante la necessaria confessione al suo ministro; distingue il sacerdozio ministeriale del consacrato da quello generico di ogni fedele; non ammette il sacerdozio femminile. Queste le note che dicono e certificano l’essere cattolico.
Per il valdese niente di tutto ciò. Il valdese non è diverso, come sostiene il Papa quasi che questa diversità consista in un taglio di capelli o nella foggia di un cappello, ma è, e si proclama, contrario e ostile al credo cristiano/cattolico, ribelle, eretico, scismatico, fuori delsentire cum Ecclesia.
Non ci risulta, infatti, che valdesi o evangelici facciano i catechisti cattolici nelle diocesi cattoliche, celebrino o servano Messa cattolica nelle nostre chiese, facciano parte di consigli pastorali – per quello che servono! – o che assolvano a funzioni curiali o parrocchiali.
I loro carismi, Santità, non sono affatto tali perché non esistono e lo Spirito Santo non contraddice con lo spargere i suoi doni, a quanto la Seconda Persona ha seccamente affermato: “Chi non è con Me è contro di Me, e chi non raccoglie con Me, disperde” (Mt. 12, 30).
Ed, allora: dove stanno i requisiti per invocare a pro’ degli eretici un’unità nella diversità? O si è nel gregge unico di Cristo o si è fuori perché Egli stesso affidò a Pietro le sue pecorelle (Gv. 21, 17), perché Egli le conosce, perché queste a loro volta Lo conoscono (Gv. 10, 14) e, soprattutto perché, lo ripetiamo, chi non è con Lui è contro di Lui (Mt, 12, 30).
Avendo affermato che l’unità non è uniformità crede, forse, di poter dare all’estraneità valdese il sigillo dell’ortodossìa solo perché costoro si dicono “cristiani”? . Essi potranno dirsi e qualificarsi tali, uniti in Cristo, solo ed esclusivamente col rientro nel seno dell’unica Chiesa, quella Cattolica, Apostolica, Romana sicché il Papa non può permettersi di cambiare le carte del Vangelo trattandole e manipolandole come provvedimenti disciplinari, contingenti e modificabili perché, lo sappia, cielo e terra passeranno, ma le parole eterne di Cristo non passeranno e di esse non cadrà nemmeno uno iota o un apice: “Caelum et terra transibunt, verba autem mea non praeteribunt” (Mt. 24, 35) “iota unum aut unus apex non praeteribit a lege” (Mt. 5, 18).
Affermare poi che, nell’annuncio del Vangelo ci sono state diversità e talora contrasti, è cosa che dèsta dubbî sulla reale preparazione culturale e dottrinaria del Pontefice perché i contrasti a cui allude – lo scontro pubblico San Paolo / San Pietro, e quello privato San Paolo/Barnaba - furono risolti nell’ambito della carità e dell’unità ecclesiale, e al suo interno con il mantenimento della comunione, mentre quello esploso con la ribellione e la deriva dottrinaria di una minoranza eretica, i valdesi cioè, rimane ancora in atto, determinando il persistente e volontario distacco di questi dalla Madre Chiesa.
Desta, pertanto, sconcerto il finale della lettera che si aggancia a questo ultimo tema, laddove egli dice che non è il caso di guardare alle “divergenze” che ancora sussistono tra la Katholica e gli eretici. Divergenze! Roba da farsi seppellire dalle risate se non fosse che il lavoro di disgregazione che questo Papa sta portando avanti nella tenebra del relativismo immanentistico, e con la fattiva collaborazione di un’ala modernista minoritaria ma urlante e, cosa biasimevole, con il silenzio di quanti potrebbero opporsi ma non lo fanno o per viltà, o per timidezza o per calcolo - diciamolo fuori dai denti – carrieristico, questo suo lavoro, dicevamo, è di una prospettiva scandalosa, tragica ed di inaudita ed evidente, eretica dirompenza.
E non poteva mancare l’ormai rituale “mea maxima culpa”. Supplica, infatti, così:
“Chiedo al Signore che ci dia la grazia di riconoscerci peccatori e di saperci perdonare gli uni gli altri… Vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci!”
Diciamo subito che la riposta dei valdesi a questa istanza s’è qualificata per una manifesta e brutale chiusura laddove essi osservano che “siamo commossi dalla richiesta ma non possiamo sostituirci a quanti hanno pagato col sangue la loro testimonianza alla fede evangelica e perdonare al loro posto” (La Stampa, 24 agosto 2015).
Le successive e serpentine rettifiche non lasciano dubbi al vero sentimento valdese che non intende ritornare alla Cattolicità ma, anzi, ne disprezza lo spirito di carità e di umiltà, confidando, per questo esercizio di scortesía, nell’incapacità di opportuna e autorevole replica da parte della Curia.
Ma i lettori sanno che padre Federico Lombardi non ha coraggio e, pertanto, non se lo può dare.
Ma vediamo cosa dice la storia a proposito dei “massacri” condotti dalla Chiesa e dall’Inquisizione (Il Giornale – intervista al senatore Lucio Malan, valdese – 23 giugno 2015, pag. 16) e chi siano stati i valdesi, servendoci di quello straordinario studio di Igor Šafarevič “Socialismo - come fenomeno storico mondiale – Ed. Effedieffe 1999”, prefato da Aleksandr Solženicyn.
Innanzi tutto «secondo la tradizione valdese non fu Valdo il fondatore della loro chiesa; parlando di Pietro di Bruys, vissuto nella prima parte del XII secolo, lo chiamavano “uno dei nostri” (Valdo aveva predicato nella seconda metà di quel secolo)» (op. cit. pag.117). Ma ciò che interessa al lettore cattolico e all’apologeta, è quanto l’autore, sulla scorta di ricerche e studî specifici, ci dice del carattere “mite” dei valdesi e della loro vocazione al martirio.
Nel turbinìo di sètte ereticali che si scatenarono nell’alto e basso medioevo, esplodendo con la rivoluzione protestante luterana, figurano i “Fratelli del libero spirito”, derivati dai catari/albigesi, la cui nota dottrinaria erano l’esperienza e l’esplorazione volontaria del male più nefando e la pratica del terrore, in specie contro la Chiesa cattolica – devastazioni di conventi , assassinî e stupri – intesa quale forma di ascesi e di perfezionamento. «E indubbia l’influenza dei “liberi spiriti” sui valdesi, e soprattutto su una ristretta cerchia di capi ed apostoli che, secondo quanto credevano, ricevevano il potere dagli angeli.» (op. cit. pag. 115).
Le cronache dell’epoca narrano di scorrerìe, di incendi, di razzíe, di stragi e delitti compiuti da queste sètte, che l’autore considera, e ritiene, filiazioni tutte con l’unico DNA dell’ antica Gnosi spuria – come giustamente la definisce don Ennio Innocenti - comunità anarchiche, comunistoidi e, perciò pericolo dell’ordine sociale, invasate da spirito di violenza con cui intendevano sradicare i nemici di Dio, cioè la Chiesa e il Papato (op. cit. pag 120). Vittime illustri furono, tra le tante, Pietro di Castelnau, cistercense legato pontificio (1170 – 1208) e san Pietro da Verona (1252).
«Nella Cronaca di Sebastiano Frank (1531) si parla di legami tra fratelli boemi, valdesi e anabattisti (i terroristi di Munster): “I valdesi che provenivano dalla Piccardia, formarono in Boemia una sètta o popolo di Dio, particolare… Essi sono in tutto e per tutto uguali agli anabattisti» (op. cit. pag. 118).
Come risposta, la Chiesa – nella funzione vicaria dell’impero mancante – e le monarchie europee allestirono eserciti agguerriti per snidare questi gruppi facinorosi, come ben dimostra la storia di Gherardo Segalelli e del suo alunno fra’ Dolcino Tornelli. Perciò, più che di lotta all’eresìa, si trattò di guerra al disordine sociale nello stile che, più tardi caratterizzò la repressione degli anabattisti, dei seguaci di Thomas Muntzer e dei libertini da Giovanni da Leida sovvertitori della società che, dice S. Agostino, deve invece collocarsi in quell’ordine e in quella concordia che Dio esprime nelle cose create (La Città di Dio, XIX, 13, 1).
«Per i catari era peccato il solo contatto con un’arma, anche per legittima difesa, eppure esistevano gruppi che ammettevano il saccheggio e l’esproprio dei beni ecclesiastici. Alcuni studiosi (Keller, Hahn, Bϋttner) ritengono che alcuni fatti particolari siano spiegabili proprio con questo brusco passaggio delle sètte più pacifiche sotto l’influsso di quelle più aggressive… Dal canto loro i valdesi, considerati come una delle sètte più “pacifiche”, in alcuni periodi presero a bruciare le case dei preti che li osteggiavano, ad uccidere e a mettere taglie su coloro che abiuravano» (op. cit. pag. 121/122).
Gratta gratta, anche negli armadî di Torre Pellice, è possibile trovare qualche scheletrino in riposo ma è tassativa parola d’ordine, emanata dalle sacre stanze, di non aprirne le ante, pena la rovina delle magnifiche sorti e progressive dell’ecumenismo e del ritrovato amore con la… fratellanza A.°. G.°. D.°. G.° A.°. D.°. U.°. valdese (Leggere per credere: Valdesi e Massonería, due minoranze a confronto – Ed. Claudiana (valdese), 2000 – Torino).
Ora, questo andazzo di chiedere perdono a tutti, anche alla massonería – ché non bastavano gli elogî e gli ammiccamenti elargiti ai vari B’naï B’erith, ai Davos Forum, all’ONU - iniziato con Giovanni XXIII, e fattosi tradizionale e doveroso con Paolo VI, GP II (il Papa che ne implorò ben sette), B XVI e, oggi, con Francesco I che s’è convertito alle elucubrazioni massonico/ecologiste New Age, questo andazzo, dicevamo, ha calato sulla Chiesa la bituminosa leggenda nera, formulata già dall’illuminismo, che la condanna manifesta associazione a delinquere che, nella sua storia, ha seminato morte, sparso sangue e soffocato aneliti di libertà più del comunismo, del nazismo, dell’ateismo e del bellicismo capitalista franco/anglo/americano messi insieme.
Pur facendo necessaria nota che non la Chiesa, in quanto Istituzione divina, ma i suoi uomini sarebbero da mettere sotto accusa, è da dire che il supino e codardo senso di colpa, che tipizza certi pastori, ha impedito che la verità storica, equa distributrice dei torti e delle ragioni, venisse a costituire argine e difesa contro false accuse. Basterebbe consultare gli “Atti del Simposio internazionale – L’Inquisizione – Città del Vaticano, Ed. Biblioteca Apostolica Vaticana 2003”, 783 pagine, per aver chiaro lo scenario delle menzogne che, sull’argomento, il liberalismo settario ha disegnato contro la Chiesa e contro le quali menzogne nulle sono state, in questi anni le necessarie reazioni della Santa Sede, ma addirittura silenziate e schernite quelle dei pochi e coraggioso apologeti.
I valdesi, che avrebbero motivo di dolersi di antiche violenze, di cui chiedere almeno scusa, salgono invece in alterigia ricusando la richiesta di perdono che Papa Bergoglio, così generosamente come stoltamente, ha loro indirizzato. A ben riflettere questa loro risposta è quella che, in genere, si merita chi non sa e non vuole difendere le proprie idee e la propria storia, forse perché, in fondo, non ci crede.
Conclusione:
cosa ci si aspetta dal prossimo ed imminente Sinodo di ottobre?
Non è mancanza di rispetto se noi sospettassimo e dicessimo che questa sarebbe l’occasione, per l’attuale pontificato, di chiedere perdono a tutte le donne per aver difeso la vita già nel suo primo nascere e non, invece, il loro diritto ad abortire.
Il segno c’è: la licenza concessa a tutti i preti, nel tempo di questo atipico Anno Santo, di assolvere dal peccato di aborto tutte coloro che se ne dorranno. L’ipermercato della misericordia: compri due, tre, tutto e paghi niente.
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