Oggi si tende a negare la Teologia della Croce, eppure senza la sofferenza non si può capire né la bontà di Dio né tantomeno la possibilità di essere felici in questa vita.
Quello della sofferenza è un grande mistero. Sappiamo che per il Cristianesimo la sofferenza non è di per sé un “valore”. È infatti “valore” solo ciò che Dio ha voluto e creato, e la sofferenza Dio non l’ha né voluta né creata, tanto è vero che è entrata nel mondo con il peccato originale.
Ma la sofferenza, pur non essendo un “valore” di per sé, è divenuta, dopo il peccato originale, la strada per la salvezza.
Il Signore non doveva render conto a nessuno; poteva benissimo salvarci senza soffrire, eppure ha sofferto… e ha sofferto in quel modo! Il film The Passion di Mel Gibson è tutt’altro che un’esagerazione, anzi. Nessuno scritto, come nessun film, può lontanamente avvicinarsi alla reale sofferenza di Gesù.
Poniamoci una domanda: può esistere un Cristianesimo che non si fondi sulla Croce? Può esistere un Cristianesimo che faccia a meno della “Teologia della Croce”?
È questa una domanda tutt’altro che campata in aria. Ormai da diversi anni si parla di una Teologia che faccia sempre a meno della Croce. Lo dimostra il rifiuto di quelle devozioni tradizionali che molto si soffermavano sulla sofferenza redentiva di Gesù.
In realtà, questo tentativo di togliere la Croce dal messaggio cristiano muove da un’intenzione chiara: evitare che Dio venga presentato come un essere bramoso di sangue e di sofferenza. Si pensa che sottolineare l’importanza della sofferenza voglia significare presentare Dio soprattutto sotto l’aspetto della giustizia vendicativa.
Eppure non ci si accorge che accade proprio il contrario. Se al messaggio cristiano togliamo la centralità della Croce, tutto perde significato… e Dio diventa veramente cattivo. Perché la sofferenza di un bimbo? Perché le guerre? Perché le catastrofi? Perché Dio permette tutto questo, se la sofferenza non è necessaria alla salvezza?
Certo, la Croce non è la conclusione del Cristianesimo; la conclusione è la Resurrezione, tanto che san Paolo dice che se Gesù non fosse risorto, inutile sarebbe la fede. Ma indubbiamente la Croce rappresenta il culmine, il momento più rappresentativo del Cristianesimo stesso, perché dimostra il grande amore di Dio per l’uomo. Tutto questo, ovviamente, a causa del peccato originale. Se questo peccato non fosse avvenuto, le cose sarebbero andate diversamente.
Ma c’è un altro motivo per cui la teologia contemporanea tende ad accantonare la necessità della sofferenza. Questa teologia tende ad immanentizzare il messaggio cristiano, cioè tende a presentare il messaggio di Gesù solo come una “risposta” per la vita terrena. Di vita eterna se ne parla poco, per non parlare della dimenticanza quasi completa dell’inferno. Ora – è ovvio – che se la vita terrena diviene la preoccupazione più importante, se l’inferno non esiste e il paradiso viene presentato come una sorta di grande magazzino dove si entra come e quando si pare, allora perché soffrire? Perché sottolineare la sofferenza di Cristo, che ha sofferto in quel modo proprio per strapparci all’inferno? E perché valorizzare la sofferenza nella vita del cristiano come mezzo redentivo per sé e per gli altri?
L’esito però è sempre lo stesso. Non solo non si raggiunge lo scopo, ma si arriva ad una conclusione completamente diversa. Senza la valorizzazione della sofferenza, la vita non diventa più bella ma più triste. L’unica felicità raggiungibile su questa terra non è l’eliminazione del dolore, bensì l’eliminazione della disperazione, cioè del non poter dare un significato al dolore. Perché devo soffrire? La Passione di Gesù mi dà la Risposta. Ma senza Gesù che soffre, che significato posso dare al dolore? Il “perché” rimane impietosamente senza risposta.
Oggi si crede che il Cristianesimo sia una “passeggiata”. I santi c’insegnano che così non è. La vita cristiana solitamente si divide in tre vie: la via purgativa, la viailluminativa e la via unitiva. Che non è altro che la codificazione di ciò che Gesù insegnò: Chi vuol essere mio discepolo, rinneghi se stesso (via purgativa), prenda la sua croce (via illuminativa) e mi segua (via unitiva).
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