Se apro la finestra del mondo e mi affaccio sul cortile della Chiesa per vedere che cosa sta succedendo, ho la netta sensazione che sia iniziato una specie di Concilio Vaticano III “a pezzi”. Quando fu fatto Papa il cardinale Montini, uscì fuori una battuta che diceva: «Giovanni XXIII ha aperto il concilio e Paolo VI lo ha chiuso». Essa appare oggi estremamente attuale. In effetti, sembra che si siano riaperti tutti quei punti che il beato Paolo VI (e poi san Giovanni Paolo II), per fedeltà alla parola di Dio e alla tradizione, avevano “chiuso”: contraccezione, morale sessuale, ordinazione delle donne, celibato dei preti, democrazia nella Chiesa, ecc.
Esultano i “progressisti”, perché finalmente è stato ripreso lo “spirito” del Concilio, e si è capito che indietro non si può più andare. Esultano molti ortodossi e i protestanti, perché vedono che i cattolici stanno arrivando dove loro sono già giunti da molto tempo. Esultano, a loro modo, anche i tradizionalisti, perché dicono: «Avevamo ragione noi, quando dicevamo che il Concilio è stato una catastrofe per la Chiesa». Solo i poveri cristiani ordinari non sanno che dire e rimangono smarriti. Sentono che si dice tutto e il contrario di tutto. I problemi della Chiesa sono messi sulla piazza della pubblica opinione, dove tutti sono diventati maestri. Quello che conta è l’idea che passa attraverso le interviste: «Tu cosa pensi del celibato dei preti? Cosa pensi dei matrimoni gay? Cosa pensi dell’ordinazione delle donne? Cosa pensi della comunione ai divorziati risposati?, ecc. ecc.». È la risposta della gente che fa da magistero.
È vero che il Sinodo dei vescovi è solo consultivo; ma, dicono, chi se ne importa? Ci sono regole scritte a tavolino, che poi vengono superate dai fatti. Una volta che un argomento diventa di dominio pubblico, si va avanti a maggioranza. Un cattolico convinto, tuttavia, afferma che spetta al Papa l’ultima parola, quella decisiva e vincolante. Ma sapranno i “cristiani adulti” accettare le decisioni del Papa, anche se saranno controcorrente e non secondo la maggioranza? I poveri cristiani comuni che cosa fanno allora? Si rifugiano nella preghiera, dicono il rosario, vanno nei santuari mariani, confessano i loro peccati, ma per il resto soffrono e tacciono.
Non tocca a loro dire che cosa la Chiesa deve fare o non fare. Cercano di trasmettere ai figli ciò che essi stessi hanno ricevuto dai loro padri e dai loro nonni, e cioè le preghiere, le devozioni, il rispetto dei comandamenti e dei precetti della Chiesa, le opere di carità corporale e spirituale. Anche le suore di clausura, non discutono, ma pregano. E hanno fiducia nel Signore. E non c’è dubbio che anche molti fratelli ortodossi e protestanti in questo momento stanno pregando perché la Chiesa cattolica romana rimanga quello che è sempre stata.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli--il-sinodo-pare-un-concilio-vaticano-iii-a-pezzi-tutto-e-in-discussione-e-allora-che-fare-14084.htm
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Papa Francesco, il Sinodo e il caso Marino
Si è aperto in Vaticano il Sinodo dei Vescovi per trattare di matrimonio e famiglia (e di tutte le questioni collegate: specialmente omosessualità, ruolo delle donne nella Chiesa, e accesso alla comunione per i divorziati risposati). È un momento decisivo per il pontificato di Papa Francesco, che viene alla fine di un anno sinodale - dopo il Sinodo dell'ottobre 2014 sulla medesima questione (per la prima volta si celebrano due sinodi sullo stesso tema in dodici mesi).
Come lo scorso anno, è chiaro che nella Chiesa vi è un dibattito aperto sulle questioni tra vescovi e teologi di opinioni diverse. Non accadeva da circa cinquant'anni. È difficile per ora (dopo la prima delle tre settimane: il Sinodo dura fino al 25 ottobre) dire quali siano le proporzioni tra coloro che vorrebbero introdurre alcuni cambiamenti nella prassi e coloro che vorrebbero limitarsi a riproporre la dottrina tradizionale. I vescovi di lingua francese, tedesca e spagnola (specie latinoamericani) sono aperti alle novità, quelli di lingua inglese sono sospettosi o contrari (specie gli americani e gli africani), mentre gli italiani sono spaccati (eleggere l'ultraconservatore cardinale Piacenza relatore di uno dei circoli di discussione è un segnale chiarissimo inviato a Papa Francesco).
Come lo scorso anno, è chiaro che nella Chiesa vi è un dibattito aperto sulle questioni tra vescovi e teologi di opinioni diverse. Non accadeva da circa cinquant'anni. È difficile per ora (dopo la prima delle tre settimane: il Sinodo dura fino al 25 ottobre) dire quali siano le proporzioni tra coloro che vorrebbero introdurre alcuni cambiamenti nella prassi e coloro che vorrebbero limitarsi a riproporre la dottrina tradizionale. I vescovi di lingua francese, tedesca e spagnola (specie latinoamericani) sono aperti alle novità, quelli di lingua inglese sono sospettosi o contrari (specie gli americani e gli africani), mentre gli italiani sono spaccati (eleggere l'ultraconservatore cardinale Piacenza relatore di uno dei circoli di discussione è un segnale chiarissimo inviato a Papa Francesco).
Le differenze tra le culture di provenienza dei membri sono enormi e in una chiesa globale come quella cattolica, una volta perso il latino, è oggi difficile trovare una lingua franca. Ma le lamentele dei vescovi americani che non si fidano delle traduzioni dei testi (dall'italiano, che è la lingua base) sono istruttive del calo del livello intellettuali di molti prelati oggi: fare il vescovo o cardinale senza sapere l'italiano è come voler fare il top manager internazionale e rifiutarsi di imparare l'inglese. Le prossime due settimane daranno indicazioni maggiori per capire come si concluderà il Sinodo e cosa comporterà per papa Francesco.
Ma vi sono già tre dati che sono interessanti, anche per coloro che guardano la Chiesa da lontano. Il primo dato è che al Sinodo stanno emergendo dai vescovi stessi delle questioni che fino a poco tempo fa erano tabù - come ad esempio l'introduzione del diaconato per le donne, una decisione che sarebbe a suo tempo tradizionale (le diaconesse esistevano nel primo millennio) e moderna (risponderebbe alla realtà delle tantissime e cruciali funzioni che le donne già svolgono nella Chiesa e inizierebbe a scompaginare un clericalismo maschile tipico del cattolicesimo).
Il Sinodo non approverà cambiamenti epocali in questo mese, ma è un indizio dell'effetto Francesco sulla Chiesa, anche sui vescovi. Il secondo elemento è che il Sinodo stesso come strumento di dibattito nella Chiesa sta cambiando: il Papa lo può fare (nonostante lo shock di quelli che erano papisti fino a ieri), dato che il Sinodo è per definizione un organo di ausilio al potere del Papa. Rientra nel potere del Papa decidere di farsi aiutare di più, e come, dal Sinodo. Nessuno sa ancora cosa sarà in futuro del Sinodo dei vescovi (creato nel 1965), ma è chiaro che esso è già oggi qualcosa di diverso da quello che fu sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Quelli che gridano al complotto sono i nostalgici dei Sinodi del passato, ridotti a esercizi di obbedienza clericale. Il terzo elemento è appunto quello del complottismo, riemerso prepotentemente in alcuni circoli cattolici (giornalisti cattolici compresi), tanto che il papa stesso è dovuto intervenire all'inizio del Sinodo per invitare i membri a non cadere vittime della cultura del complotto. La cosa che fa riflettere è che quelli che mettono in dubbio la buona fede (e la fede cattolica) di Papa Bergoglio sono gli stessi che fino a poco tempo fa erano i difensori del papato ad ogni costo.
Spesso capita che alle vicende ecclesiali si sovrappongano quelle politiche, specialmente in Italia. Come per il Sinodo del 2014, anche quest'anno è in pieno svolgimento a Roma la vicenda del sindaco Marino. Nell'ottobre 2014 fu la decisione del sindaco di trascrivere i matrimoni omosessuali, quest'anno sono le dimissioni del sindaco a due settimane dall'uscita brusca del papa (durante la conferenza stampa di ritorno dagli Stati Uniti) sull'invito del sindaco a Philadelphia durante la visita del Papa negli Stati Uniti. Non vi è dubbio che qualcuno sarà contento in Vaticano per l'uscita di scena del sindaco (se così è). Ma ci sono alcune questioni che vanno tenute presente. La prima è che parlare de "il Vaticano" è come dire "l'America" o "l'Europa": significa poco o niente.
Esiste il Papa, la CEI, il Vicariato di Roma, la Segreteria di Stato, "L'Osservatore Romano", la diplomazia vaticana - e non è detto che siano tutti giocando la stessa partita. In questa questione particolare, è evidente che il Vicariato per Roma del cardinale Vallini è stato particolarmente assente da parecchie questioni del pontificato di Francesco, e si direbbe anche dalle vicende della città, salvo intervenire con un post mortem dopo le dimissioni del sindaco.
La seconda cosa da tenere presente è che Papa Francesco, al contrario di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II, è molto attento a tenere a distanza i politici e reagisce quando i politici (specie quelli che si dicono cattolici) tentano di politicizzarlo e manipolarlo. Il contegno del Papa verso i politici italiani in generale è una chiave tipica di questo pontificato, e la netta reazione del Papa (via portavoce) al caso Kim Davis in America è molto istruttivo.
La terza cosa, infine, è che si può essere d'accordo o meno, apprezzare o meno Papa Francesco e il ruolo che svolge nella chiesa e fuori. Ma interpretare Bergoglio come se fosse Wojtyla o Ratzinger o Ruini (o anche come Montini o Roncalli) non ha senso, ovvero è un riflesso che impedisce di capire - tanto ai clericali quanto agli anticlericali.
Professore di Storia del Cristianesimo, University of St Thomas
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