ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 5 ottobre 2015

Déjà vu





Un'unica regia per un Sinodo gay-friendlyIl caso Charamsa non è un episodio isolato, ma l'ultimo passaggio di una strategia che mira a usare del Sinodo sulla famiglia per far fare un decisivo balzo in avanti al progetto della lobby gay all’interno della Chiesa. E qualsiasi sia l'esito del Sinodo, i risultati nell'opinione pubblica si sono già ottenuti, con la complicità di chi guida la comunicazione in Vaticano.
Sinodo
Si sbaglierebbe di grosso chi pensasse che sia un semplice episodio il caso di monsignor Krzysztof Charamsa, l'ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede che ha rivelato la sua omosessualità e presentato il suo compagno: il caso estremo di un teologo di Curia frustrato che approfitta del Sinodo per liberarsi del peso della sua doppia vita e cercare di influenzare a sua vantaggio il Sinodo sulla famiglia appena iniziato; e tanto che c’è farsi un po’ di pubblicità in vista dell’uscita annunciata di un libro da lui scritto per raccontare la sua storia. In questo caso sarebbe un fatto grave sì, ma in fondo un fatto isolato dalle conseguenze limitate.

Troppi elementi fanno invece ritenere che si tratti solo dell’ultimo episodio di una strategia che viene da lontano e che mira a usare del Sinodo sulla famiglia per far fare un decisivo balzo in avanti al progetto della lobby gay all’interno della Chiesa, che noi denunciamo ormai da anni (clicca qui per un esempio). L’obiettivo in realtà era già stato smascherato da un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede esattamente 29 anni fa, la Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali (nn. 8 e 9) in cui si afferma che c’è una lobby all’interno della Chiesa, collegata alla più ampia lobby gay nel mondo, che ha l’obiettivo di sovvertire l’insegnamento della Chiesa, in primis portarla «ad accettare la condizione omosessuale come se non fosse disordinata, e a legittimare gli atti omosessuali». Firmato: cardinale Joseph Ratzinger.
Allora poteva sembrare fantascienza, oggi vediamo che tale strategia si sta realizzando in modo stupefacente, dopo che per tanti anni c’è stato un discreto quanto sistematico lavoro di infiltrazione fino ai più alti livelli della Santa Sede, ma anche delle Chiese nazionali, Italia in testa.
Il doppio Sinodo sulla famiglia è stata l’occasione per venire sempre più allo scoperto.Molti padri sinodali hanno ad esempio lamentato che nella relazione finale del Sinodo dell’ottobre 2014 fosse entrato un paragrafo sulle unioni omosessuali di cui non si era affatto discusso in aula (e del resto è un Sinodo sulla famiglia, perché si dovrebbe parlare delle persone con tendenze omosessuali?): una forzatura evidente, di cui fu accusata la segreteria del Sinodo. In questi mesi la questione gay all’interno della Chiesa – con l’appoggio dei giornaloni laicisti - è stata riproposta in diverse occasioni, ma ha toccato il culmine nell’ultima settimana. Primal’intervista del cardinale Walter Kasper al Corriere della Sera, in cui ha fatto anche la strabiliante affermazione che «gay si nasce»; quindi il noto attivista gay chiamato a svolgere il ministero di lettore per la messa del Papa a New York; poi il grande mistero dell’incontro del Papa a Washington con Kim Davis e Yayo Grassi.
Quest’ultima vicenda in particolare merita attenzione: per due giorni infatti i media hanno riportato indiscrezioni e dettagli sull’incontro che c’è stato nella nunziatura di Washington tra il Papa e la donna, Kim Davis, funzionario pubblico, che è stata arrestata (e poi rilasciata) per essersi rifiutata di firmare licenze per nozze gay. Ma venerdì scorso il portavoce della Sala stampa vaticana, padre Lombardi, ha sminuito il valore dell’incontro, prendendo le distanze dalle posizioni della donna. Una ricostruzione strana (qui potete leggere dettagli e incongruenze sulla vicenda) anche perché effettivamente papa Francesco nel suo viaggio negli States aveva più volte toccato il tema della libertà religiosa e, nella conferenza stampa sul volo di ritorno a Roma, aveva rivendicato con molta chiarezza il diritto all’obiezione di coscienza su queste materie per i funzionari governativi. Lo stesso padre Lombardi si premurava di far sapere che l’unica udienza privata concessa dal papa a Washington riguardava un suo ex alunno. Passano poche ore ed ecco che magicamente spuntano i dettagli di questo incontro privato: l’ex alunno è un omosessuale che si è presentato dal Papa con familiari e compagno al seguito. 
È un vero capolavoro mediatico: si disinnesca un "pericoloso" evento in cui il Papa appare chiaramente contrario alle unioni gay al punto da incoraggiare chi vi si oppone con l’obiezione di coscienza, e si diffondono immagini in cui si vuol far leggere la benedizione di papa Francesco alle coppie gay. Non importa che le cose in realtà stiano diversamente, l’effetto sui media di tutto il mondo è quello voluto, e con la complicità della Sala stampa vaticana. Sarebbe davvero paradossale che la riforma della Curia, che ha portato ad accentrare tutta la comunicazione del Vaticano in un’unica segreteria, avesse come esito quello di meglio coordinare la regia di queste operazioni ideologiche "gay-friendly".
Non bastasse, ecco il giorno dopo l’outing di monsignor Charamsa, che ora terrà banco per un po’ spostando l’attenzione mediatica sul Sinodo dalla famiglia alle unioni gay. In ogni caso, sapendo come funzionano i media, è certo che passerà l’idea di una apertura sulle relazioni omosessuali. Ed è inevitabile che la pressione si senta anche all’interno dell’aula, tanto più che non mancano – come un anno fa – coloro che proprio dall’interno portano avanti lo stesso obiettivo.
Diversi commentatori, in questi giorni, hanno cercato di far passare l’idea che il gesto avventato di monsignor Charamsa comprometterà le possibili aperture dei padri sinodali, dando forza ai conservatori che si oppongono ai cambiamenti dottrinali.

Niente di più sbagliato, in realtà la lobby gay sta già raccogliendo i risultati voluti: nel linguaggio di vescovi e teologi sta già passando l’idea che l’omosessualità non sia un problema in sé, neanche per i preti. Basti pensare all’editoriale di Avvenire che commentiamo a parte (sul ruolo che il giornale della CEI ha avuto negli ultimi 25 anni per promuovere l’agenda gay ci torneremo nei prossimi giorni): «Il prete omosessuale non è un problema» dice il teologo moralista don Mauro Cozzoli. Ecco, la rivoluzione è già compiuta. E anche lo stringato comunicato di padre Lombardi censura modi e tempi dell’outing di monsignor Charamsa, ma nulla dice sulla sostanza.
E possiamo stare certi che non è finita qui.


di Riccardo Cascioli 05-10-2015

Vaticano, è il sinodo della famiglia, ma sembra un film di Almodóvar

Il monsignore che dichiara la sua omosessualità, gli intrighi di palazzo: 

Papa Francesco vuole una Chiesa più aperta, ma per ora è solo più confusa


TIZIANA FABI/AFP/Getty Images)



È cominciato con un colpo di scena degno di un film di Pedro Almodovar il secondo sinodo sulla famiglia convocato da papa Francesco. Il coming out di monsignor Krzysztof Charamsa, a metà strada fra operazione di marketing e liberazione personale, ha dato un tocco trash alla grande assise cattolica che ha raggiunto l'apice quando l'ex teologo in carriera ha presentato ai media di tutto il mondo il suo compagno, Eduardo.
Senza contare che il giovin monsignore polacco si appresta a pubblicare un libro, destinato a fruttargli non poco: una sorta di buonuscita preparata in anticipo visto che, con ogni probabilità, aveva messo in conto di perdere gli incarichi in Vaticano e presso gli atenei pontifici in cui lavorava. 
Che poi Charamsa sia segretario aggiunto della Commissione teologica internazionale presieduta dal cardinale Gerhard Muller, prefetto dell'ex sant'Uffizio e soprattutto capo della corrente tradizionalista che cerca di mandare a monte le riforme di Bergoglio, è ironia della sorte davvero notevole.
D'altro canto il Vaticano produce ciclicamente, in modo involontario, momenti di grande cinema, a volte tenebroso - thriller politici, sessuali o finanziari - a volte più sul genere feuilleton, come in questo caso; sarà forse perché è uno dei pochi posti al mondo dove ancora sessualità e morale vengono prese sul serio o perché qualche tabù e pregiudizio di troppo resiste impavido al mutare dei tempi.
Sia come sia, sul fronte opposto l'ex cardinal sottile, Camillo Ruini, guida lancia in resta le forze dell'immobilismo ecclesiale: tanto da osservare che se in effetti nella storia umana sono esistiti anche modelli di poligamia e poliandria, tuttavia di nozze omosessuali non ha parlato mai nessuno fino ad oggi, a riprova che quindi siamo di fronte a una vera assurdità. L'argomento non è imbattibile, evidentemente.
Il preludio dell'assise è stato insomma scoppiettante e di certo poco prima che i 270 padri sinodali si chiudessero in Vaticano per una discussione intensa su aspetti delicati della vita della Chiesa, sono volati vari stracci; inoltre diversi convegni si sono svolti a Roma nei giorni precedenti l'inizio dei lavori dell'assemblea sinodale, da quelli degli ultratradizionalisti che non darebbero la comunione a un divorziato risposato nemmeno sotto tortura, all'incontro promosso dal Global Network of rainbow catholics che intendeva affrontare il tema delle famiglie Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender). In Italia poi, sullo sfondo, c'è il tema annoso di una possibile legge che regolarizzi le unioni civili.


Appunto, il sinodo sulla famiglia cui partecipano delegazioni di vescovi di tutti i Paesi
del mondo oltre a teologi, missionari, coppie di laici, delegati di altre chiese, membri
della Curia vaticana, prelati nominati direttamente dal papa, dovrebbe affrontare non tanto
gli aspetti più spettacolari di questo dibattito, quanto dare un quadro aggiornato del rapporto fra Chiesa e famiglia a cominciare da quella eterosessuale. Se questo è il tema effettivamente
sul tappeto, forse la posta in gioco non detta pubblicamente è ancora più alta: si tratta del futuro
di una Chiesa in bilico fra la ripresa di un cammino riformatore aperto dal Concilio 
Vaticano II cui papa Francesco ha dato nuovo impulso, e il ripiegamento in una comunità chiusa, avvolta intorno al dogma a difesa di un cattolicesimo tradizionalista:
visione, questa, che cozza violentemente  con la Chiesa aperta all'altro immaginata da papa Francesco.

Da una parte c' è un cattolicesimo fortificato, ideologico, poco incline al confronto con
 il “diverso” – sia esso un divorziato, un omosessuale, un immigrato, un credete di altra
 fede – dall'altra il tentativo portato avanti da Bergoglio di rimettere la Chiesa in
collegamento col mondo interrompendo così il declino di una fede che – al di là del
numero di battezzati a livello globale – prosegue (calano matrimoni in chiesa, sacramenti,
 vocazioni, frequenza delle messe e s'indebolisce più in generale il legame vivo e attivo con la Chiesa).
Sotto questo profilo Francesco ha una strategia ampia che comprende il ritorno
della Santa Sede sugli scenari internazionali, un rapporto coni media estremamente moderno
– e quindi facile anche all'equivoco, al fraintendimento che in qualche modo sono rischi accettati –
 e infine un dialogo con i 'lontani' , cioè con persone e realtà che, per varie ragioni, si sentono
 escluse dalla Chiesa.
Francesco, aprendo il sinodo, ha ribadito che la Chiesa deve essere «ospedale da campo
con le porte aperte ad accogliere chiunque bussa chiedendo aiuto e sostegno; di più, di uscire
dal proprio recinto verso gli altri con amore vero, per camminare con l’umanità ferita, per
includerla e condurla alla sorgente di salvezza».
Ma il vero dilemma a questo punto, dopo due anni e mezzo di pontificato, è il seguente:
la Chiesa sta con Francesco? È in grado di seguire il papa, magari trovando pure i necessari equilibri dentro al sinodo su coppie di fatto, divorziati, famiglie monoparentali, amore
omosessuale e quant'altro, dando però un segno chiaro di apertura alla modernità? Questo
è il nodo decisivo, per tale ragione i vari cardinali Muller, Caffarra, Scola, Napier, vivono
 il sinodo un po' come la loro ultima occasione, la trincea dalla quale difendere un
tradizionalismo ormai bersagliato da tutte le parti.
D'alto canto anche il fronte aperturista deve dimostrare di essere in grado di fare un salto di
 qualità; in questo schieramento non si tira certo indietro il cardinal Walter Kasper,
grande teologo favorevole alla comunione ai divorziati risposati, il quale ha infine affermato che «gay si nasce», e in un libro appena uscito ha scritto: gli omosessuali «a volte posseggono
 doti che altri non hanno e spesso hanno una grande sensibilità e possono contribuire alla vita
della Chiesa con i loro doni. È noto che molti artisti - rileva il cardinale - hanno questa
inclinazione e possono fare ugualmente bene alla società e alla Chiesa». Francesco, aprendo
 il sinodo, ha ribadito che la Chiesa deve essere «ospedale da campo con le porte aperte ad
accogliere chiunque bussa chiedendo aiuto e sostegno; di più, di uscire dal proprio recinto
verso gli altri con amore vero, per camminare con l’umanità ferita, per includerla e condurla
 alla sorgente di salvezza».

Il sinodo resta un organismo consultivo, tuttavia il papa gli ha voluto assegnare, di fatto,
un ruolo quasi decisionale. Tuttavia Francesco sa bene quante siano ancora pesanti le
 resistenze nei suoi confronti per questo sa pure di avere una via d'uscita: l'ultima parola
 spetta infatti sempre a lui. Ma questo significherebbe ridurre quel principio di collegialità
 che fa parte pienamente di un'idea di Chiesa meno centralizzata e più capace di condividere
le scelte di ascoltare le voci dei vescovi e delle “periferie”. Certo, se si guarda ad altre
esperienze, per esempio alla sinodalità della Chiesa anglicana, si intravede un percorso
 diverso da quello fino adesso in vigore a Roma; in molti casi decisioni importanti sono
passate al vaglio di numerosi sinodi prima di giungere a un cambiamento. Insomma la Chiesa cattolica si trova forse solo all'inizio di un cammino nuovo, e originale nell'ambito cristiano,
in cui la centralità del vescovo di Roma si misurerà sempre di più con le voci locali non più
relegate sullo sfondo cercando un nuovo equilibrio.

http://www.linkiesta.it/it/article/2015/10/05/vaticano-e-il-sinodo-della-famiglia-ma-sembra-un-film-di-almodovar/27651/ 
Quelli che: "l'omosessualità di un prete non è un problema"Il coming out di monsignor Charamsa è una mossa eclatante. Le reazioni non sono all'altezza. Don Mauro Cozzoli, ordinario di Teologia Morale nella Pontificia Università Lateranense, scrive su Avvenire che l'omosessualità di un sacerdote, in sé, non è un problema. Ah no?
di Roberto Marchesini 05-10-2015
Krzysztof Charamsa e il suo compagno
Grande mossa quella del coming out di monsignor Charamsa – nientepopòdimeno che Ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede – alla viglia del Sinodo sulla famiglia. Poco in sintonia con il candore cattolico, ma sicuramente una grande mossa.
Le reazioni, bisogna dirlo, non paiono però all'altezza. Prendiamo ad esempio il commento di Avvenire, firmato da [don] Mauro Cozzoli - Ordinario di Teologia Morale nella Pontificia Università Laretanense. Cozzoli definisce “sconcertante” l'intervista del prete polacco, e più avanti motiva il suo sconcerto: “Ciò che stupisce nell’intervista non è la dichiarazione di omosessualità del soggetto, ma il carattere rivendicativo della stessa, elevata a bandiera della causa omosessuale. In fondo, non è un problema un prete omosessuale. Vi sono, conosco anzi, dei preti omosessuali che non hanno bisogno (come tanti omosessuali peraltro) di esibire la propria omosessualità, perché serenamente riconciliati con essa. Preti che vivono con libertà la propria verginità. Questo per dire appunto che il problema non è l’omosessualità”.
Calma, rileggiamo. “In fondo, non è un problema un prete omosessuale”, scrive don Mauro. Eppure dovrebbe esserlo, almeno stando alla Istruzione della Congregazione per l'Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri: “[...] la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay” (§ 2).
Proseguiamo. “Vi sono, conosco anzi, dei preti omosessuali che non hanno bisogno (come tanti omosessuali peraltro) di esibire la propria omosessualità, perché serenamente riconciliati con essa”. Come è possibile riconciliarsi serenamente con una tendenza che il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce “oggettivamente disordinata” (§ 2357)?
Ancora. “Questo per dire appunto che il problema non è l’omosessualità”. Eppure il Catechismo definisce la tendenza omosessuale in sé come “oggettivamente disordinata”: come può l'omosessualità non essere un problema?
Il problema, sostiene Cozzoli, è “il carattere rivendicativo della stessa [omosessualità], elevata a bandiera della causa omosessuale”. In sostanza, è la mancanza di decoro, di garbo con il quale il prete polacco ha dichiarato le proprie tendenze, non le tendenze in sé. Il problema, prosegue don Mauro, è “l’incapacità a mantenere l’impegno di castità perfetta assunto prima dell’Ordinazione”. È indifferente se questo impegno non è stato mantenuto con un uomo o una donna.
Eppure questo è quanto ha da dire un Ordinario di Teologia Morale nella Pontificia Università Laretanense sul coming out di un Ufficiale della Congregazione per la Dottrina della Fede. Alla vigilia dell'apertura del Sinodo.


Antonio Socci: al via il Sinodo dell'Apocalisse, conseguenze drammatiche per la Chiesa e il Mondo


Appena iniziato, questo Sinodo (imbavagliato e «teleguidato») è già finito. Infatti la conclusione è già scritta: l’arbitro argentino ha stabilito in anticipo la vittoria - a tavolino - della fazione «di sinistra» che lui stesso capeggia.
Dopo non si sa cosa potrà accadere fra ortodossi (cioè fedeli all’insegnamento del Vangelo e della Chiesa di sempre) ed eterodossi che vogliono sottomettere la Chiesa alle mode ideologiche del momento (san Pio X definiva il modernismo «la sintesi di tutte le eresie»).
Essendo già scritto l’esito del Sinodo resta da spiegare il suo senso: è in corso la (tentata) liquidazione della Chiesa.
Evento epocale che dovrebbe preoccupare anche i laici seri, perché probabilmente prelude alla liquidazione della stessa Europa.
Diceva Immanuel Kant: «Il Vangelo è la fonte da cui è scaturita la nostra cultura». E il laicissimo Federico Chabod: «Il Cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c’è fra noi e gli Antichi (…) è proprio dovuta a questo gran fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il verbo cristiano. Anche i cosiddetti “liberi pensatori”, anche gli “anticlericali” non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo».
Infine il papa laico Benedetto Croce, nel saggio del 1942 Perché non possiamo non dirci cristiani spiegò: «Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta (…). Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate (…). E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni (…) non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana (…) perché l’impulso originario fu e perdura il suo».
Si pensi inoltre alla resistenza della Chiesa - pagata con milioni di martiri - ai totalitarismi del XX secolo. È sempre stata l’unica luce nella notte degli orrori e il grande antidoto alle ideologie.
Certi laicisti alla Scalfari oggi potranno gioire per la sua liquidazione. Ma potrebbero amaramente pentirsene di fronte alle devastazioni del nichilismo e - come ha dimostrato in Francia la tragedia di Charlie Hebdo - davanti all’Islam rampante nel mondo.
Un intellettuale liberale francese, Pierre Manent ha pubblicato un libro, Situation de la France, dove fotografa la disperata inermità dell’Europa laicista di fronte all’Islam. Manent dice: «Non basta la laicità per contrastare l’Islam. E diversamente da quanto sostengono i politici radicali, la laicità nemmeno serve a integrare i musulmani». La tragedia è stata la demolizione della Chiesa.
«Era l’idea dell’ateismo progressista», dice Manent. Dopo il Concilio «i cattolici hanno accettato di fondersi in questa sorta di nuova chiesa postcristiana… E il cristianesimo si è dissolto in una religione dell’umanità».
Oggi siamo all’atto finale. In effetti l’assalto al cattolicesimo, anche dall’interno, fu chiaro dagli anni Settanta, quando Paolo VI angosciato prese a denunciare una smania autodemolitrice che si era impadronita della Chiesa, parlò di un «pensiero non cattolico» che si era fatto dilagante al suo interno, succube delle ideologie, e addirittura affermò che il «fumo di Satana» era entrato nel tempio di Dio.
Sembrò di essere a un passo dal crollo, ma arrivò la provvidenziale sorpresa di Giovanni Paolo II che con Ratzinger raddrizzò la barca e dette l’impressione di aver evitato il naufragio.
Poi qualcosa di terribile è accaduto: Benedetto XVI ha dovuto eclissarsi e autorecludersi. Così l’autodemolizione è ripresa e ora sembra al suo atto finale.
A molti uomini di Chiesa non sfugge la gravità della situazione, che traspare bene da un testo dei giorni scorsi in cui si mostra la lontananza dalla dottrina cattolica del cosiddetto Instrumentum laboris, vidimato da Bergoglio per il Sinodo, su comunione ai divorziati risposati e omosessualità.
Tale stroncatura è firmata da tre teologi, Claude Barthe, Antonio Livi e Alfredo Morselli, ma in realtà ha dietro l’elaborazione di molti padri sinodali, vescovi e cardinali.
Vi si dice intanto che l’Instrumentum ripropone quelle proposizioni che «non essendo state approvate a maggioranza qualificata» dal Sinodo del 2014 «non dovevano né potevano essere incluse nel documento finale di quel Sinodo» e «dovevano reputarsi respinte» (è stato Bergoglio in persona a imporne la riproposizione).
Inoltre in questo Instrumentum «risulta, in generale, compromessa la Verità, sì da rendere complessivamente non accettabile il documento, o altro che ne riproponesse i contenuti e fosse posto ai voti alla fine della prossima assemblea sinodale».
Si cita come monito il profeta Isaia: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre» (5, 20).
I tre teologi rilevano infine che i due Motu proprio dell’8 settembre scorso svuotano la discussione dal punto di vista teologico e canonico (non ne spiegano il perché, ma è facilmente intuibile: con essi si introduce di fatto il divorzio nella Chiesa).
È la prima volta che un documento sinodale approvato dal papa e un suo Motu proprio, sono fortemente sospetti di uscire dall’ortodossia cattolica. Su punti fondamentali che a cascata farebbero poi venire giù tutto.
Così oggi - come ha scritto il cardinale Sarah - proprio mentre «migliaia di cristiani muoiono ogni giorno» per la fedeltà al Vangelo, «in Occidente degli uomini di Chiesa cercano di ridurre al minimo le esigenze del Vangelo. Il vero scandalo... è la confusione tra bene e male operata da pastori cattolici».
La mia previsione (a meno di un miracolo) è che il Motu proprio sul divorzio non venga ritirato ed entri in vigore l’8 dicembre, provocando un terremoto mai visto. E che Bergoglio, tramite il Sinodo che controlla, pur ribadendo a parole che il matrimonio è indissolubile, apra sulla comunione per alcuni divorziati risposati (anche se per casi particolari sarebbe la classica falla nella diga). Infine prevedo che si sdoganino di fatto anche altri tipi di unione (comprese quelle dello stesso sesso), sia pure dicendo che non possono parificarsi al matrimonio.
È un capovolgimento epocale del magistero della Chiesa e della vita cristiana, dalle conseguenze incalcolabili se solo si pensa che per una «i» nella crisi ariana, per il «Filioque» nello scisma con la Chiesa orientale, per un singolo divorzio - di re Enrico VIII - che provocò lo scisma anglicano, la Chiesa ha vissuto tragedie terribili. Dalle conseguenze spaventose, anche per il mondo.
Oggi un certo clima apocalittico è avvertito dal popolo cristiano che in questi mesi, attraverso la rete, rilancia convulsamente una quantità di profezie terribili, tutte concentrate sul nostro tempo: talora di sedicenti veggenti che non hanno credibilità, ma spesso di mistici seri, come la visione dei due papi e delle due chiese della beata Emmerich.
Ma al di là di mistici e apparizioni mariane - che, anche quando sono approvate dalla Chiesa come Fatima o La Salette, sono solo rivelazioni private e non obbligano la fede del credente - c’è una profezia a cui i cattolici devono credere, perché non è una rivelazione privata, ma fa parte integrante della rivelazione pubblica e viene dalla Sacra Scrittura.
Sta ufficialmente nel Catechismo della Chiesa Cattolica varato da Giovanni Paolo II e dal cardinal Ratzinger, dove si preannuncia quanto segue: «Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il “Mistero di iniquità” sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell'apostasia dalla verità» (n. 675).
Molti si chiedono se non è proprio quello che sta accadendo sotto i nostri occhi.
di Antonio Socci
www.antoniosocci.com

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