È Antonio Spadaro, direttore de "La Civiltà Cattolica". In un articolo sulla sua rivista ha già scritto che cosa dirà il papa sulla comunione ai divorziati risposati
di Sandro Magister
ROMA, 7 novembre 2015 – Mercoledì scorso, nella settimanale catechesi in piazza San Pietro, dopo aver ricordato che i padri sinodali gli hanno consegnato il testo delle loro conclusioni, papa Francesco si è limitato a dire con linguaggio sibillino:
"Non è questo il momento di esaminare tali conclusioni, sulle quali devo io stesso meditare".
Nell'attesa che si sciolga l'enigma sulle future mosse del papa, non resta che affidarsi a un rivelatore indiretto ma sicuro dei suoi intendimenti: il gesuita Antonio Spadaro con la rivista di cui è direttore, "La Civiltà Cattolica".
Per papa Francesco padre Spadaro è tutto. Consigliere, interprete, confidente, scrivano. Non si contano i libri, gli articoli, i tweet che scrive incessantemente sul papa. Per non dire dei discorsi papali che rivelano l'impronta della sua mano.
Per questo, non può essere trascurato il racconto del sinodo che Spadaro ha scritto sull'ultimo numero de "La Civiltà Cattolica", come sempre stampato solo dopo che le sue bozze erano transitate da Casa Santa Marta e avevano ricevuto il placet dell'autorità suprema.
Sono venti pagine di eccezionale interesse, per chi voglia intuire in anticipo non la forma ma la sostanza delle conclusioni che Francesco trarrà dal sinodo testé terminato.
Nel precedente post di questo sito, il teologo domenicano Thomas Michelet aveva mostrato come il testo finale del sinodo, sul nodo cruciale della comunione ai divorziati risposati, si presti a due letture alternative, di continuità o di rottura rispetto al precedente magistero della Chiesa:
> Sinodo discorde. Verso uno "scisma di fatto" nella Chiesa?
Ebbene, padre Spadaro opta senza esitare per la seconda modalità di lettura. Non gli importa che nella "Relatio" non compaiano nemmeno una volta le parole "comunione" e "accesso ai sacramenti". La sua conclusione perentoria è che "circa l’accesso ai sacramenti il sinodo ordinario ne ha effettivamente posto le basi, aprendo una porta che invece nel sinodo precedente era rimasta chiusa".
Più sotto è riportata per intero la parte dell'articolo di Spadaro dedicata a tale questione.
Ma è tutto l'articolo che va letto, come mostrano questi cinque assaggi, nei quali abbondano le citazioni del discorso con cui Francesco ha chiuso i lavori e prorompe l'avversione nei confronti dei padri sinodali accusati di "sognare un mondo che non esiste più".
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VERSO UNA CHIESA PLURALE
"La sinodalità implica la diversità. […] Una soluzione buona per la Nuova Zelanda non lo è per la Lituania, un approccio valido in Germania non lo è per la Guinea. Così, 'al di là delle questioni dogmatiche ben definite dal magistero della Chiesa', il pontefice stesso ha constatato, nel suo discorso conclusivo del sinodo, come sia evidente 'che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo – quasi! – per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo confusione'".
DOTTRINA COME PIETRE
"Un nodo critico è quello che riguarda il significato della dottrina. Già alla fine del sinodo del 2014 il pontefice aveva parlato della tentazione di 'trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati cioè di trasformarlo in pesi insopportabili'. La dottrina è pane, non pietra. Alla fine del sinodo ordinario il Papa ha ripetuto l’immagine, dicendo che esso ha 'testimoniato a tutti che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole indottrinarlo in pietre morte da scagliare contro gli altri'.
"La dottrina – come è stato ribadito in alcuni circoli minori – è l’insegnamento di Cristo, è il Vangelo stesso. Per questo non ha nulla a che fare con quei 'cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite, ha detto ancora Francesco".
LA SINDROME DELL'ASSEDIO
"Un nodo chiave della discussione è stato il modello di relazione tra la Chiesa e il mondo. […] Per alcuni padri, la Chiesa è circondata da un mondo ostile e demoniaco dal quale occorre difendersi, e che occorre attaccare con la proclamazione della dottrina. Altri invece hanno affermato che il compito della Chiesa è quello di discernere come Dio sia presente nel mondo e come proseguirà la sua opera. D’altra parte non possiamo né vivere sognando un mondo che non esiste più, né cadere nel 'complesso di Masada', cioè nel complesso dell’accerchiamento. Questo rischia di essere una mancanza di fede in Dio che agisce nella storia".
LA "COSPIRAZIONE" DEI TREDICI CARDINALI
"Per due volte papa Francesco ha chiesto di 'superare ogni ermeneutica cospirativa che è sociologicamente debole e spiritualmente non aiuta'. E questo perché, come egli stesso ha constatato, 'le opinioni si sono espresse liberamente', ma 'talvolta con metodi non del tutto benevoli'. Il gruppo tedesco ha manifestato pure 'grande turbamento e tristezza' per 'le dichiarazioni pubbliche di alcuni padri sinodali su persone, contenuto e svolgimento del sinodo. Ciò contraddice lo spirito dell’incontro, lo spirito del sinodo e le sue regole elementari. Le immagini e i paragoni usati non sono soltanto indifferenziati e sbagliati, ma anche offensivi'. I suoi membri – e con loro molti altri – unanimemente hanno preso le distanze. Il sinodo non è stato dunque del tutto privo di cadute di stile, né di tentativi di pressione tra l’esterno e l’interno dell’aula – prima del suo inizio e durante il suo svolgimento –, alcuni dei quali hanno trovato nei media un luogo per manifestarsi".
PORTA CHIUSA E PORTA APERTA
"La porta è stata evocata da alcuni come 'chiusa' o da chiudere definitivamente, come nel caso dell’eucaristia ai divorziati risposati civilmente; da altri come 'aperta' o da aprire per i motivi opposti, e parlando in termini generali, come atteggiamento pastorale fondamentale. […] Il pontefice aveva usato l’immagine della porta nella messa di apertura del sinodo, spronando la Chiesa a 'essere ospedale da campo, con le porte aperte ad accogliere chiunque bussa chiedendo aiuto e sostegno; di più, a uscire dal proprio recinto verso gli altri con amore vero, per camminare con l’umanità ferita, per includerla e condurla alla sorgente di salvezza'".
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Il testo integrale dell'articolo di padre Spadaro ne "La Civiltà Cattolica" in data 28 novembre 2015:
> Vocazione e missione della famiglia. Il XIV sinodo ordinario dei vescovi
E qui di seguito la sua parte finale.
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Porta aperta alla comunione, per i divorziati risposati
di Antonio Spadaro S.I.
Circa i battezzati che sono divorziati e risposati civilmente, nella "Relatio synodi" si afferma innanzitutto che essi "devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili".
La logica che guida i numeri 84-86 del documento è quella dell’integrazione, chiave di un solido accompagnamento pastorale. Ancora una volta la Chiesa si mostra madre, dicendo ai divorziati risposati civilmente di essere consapevoli di appartenere "al Corpo di Cristo che è la Chiesa", di essere "fratelli e sorelle". Si dice che "lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti".
L’intenzione dunque è quella di affermare che queste persone non hanno perso la vocazione al bene di tutti, la loro missione nella Chiesa. La loro partecipazione ecclesiale può esprimersi in diversi servizi ecclesiali, e occorre "discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate" (n. 84). Per la comunità cristiana, prendersi cura di queste persone "non è un indebolimento della propria fede e della testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale: anzi, la Chiesa esprime proprio in questa cura la sua carità" (ivi).
La "!Relatio synodi" recepisce il criterio complessivo espresso da san Giovanni Paolo II nella "Familiaris consortio": il "ben discernere le situazioni". Infatti c’è differenza "tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido" (n. 85). Ma ci sono anche coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido (cfr n. 84).
Il sinodo dunque afferma che è compito dei sacerdoti "accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del vescovo".
Questo itinerario impone un discernimento pastorale che fa riferimento all’autorità del pastore, giudice e medico, il quale è anzitutto "ministro della divina misericordia" (cfr. "Mitis et misericors Iesus"). In questo senso si procede nella linea dei recenti motu proprio di papa Francesco sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio. E si vede in questo riferimento ai vescovi una linea di condotta importante di riforma da parte del papa, che attribuisce potestà pastorali maggiori ad essi.
Il documento procede su questa strada del discernimento dei singoli casi senza porre alcun limite all’integrazione, come appariva in passato.
Esprime inoltre che non si può negare che in alcune circostanze "l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate" (CCC 1735) a causa di diversi condizionamenti. "Di conseguenza, il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare ad un giudizio sulla 'imputabilità soggettiva' (Pontificio consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000, 2a)" (n. 85).
Esiste una norma generale, ma "la responsabilità rispetto a determinate azioni o decisioni non è la medesima in tutti i casi". Per questo "il discernimento pastorale, pure tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi" (ivi).
La conclusione è che la Chiesa prende consapevolezza che non si può parlare più di una categoria astratta di persone e rinchiudere la prassi dell’integrazione dentro una regola del tutto generale e valida in ogni caso.
Non si afferma fino a dove possa arrivare il processo di integrazione, ma neanche si pongono più limiti precisi e invalicabili. Infatti, "il percorso di accompagnamento e discernimento orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio" (n. 86). Questo ragionamento pone a fondamento dell’agire della Chiesa e del suo giudizio la coscienza personale (n. 63).
"Quando ascolta la coscienza morale, l’uomo prudente può sentire Dio che parla" (CCC 1777); dunque, concretamente "il colloquio col sacerdote, in foro interno, – si legge nella 'Relatio synodi' – concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere" (n. 86). Questo discernimento è finalizzato alla "ricerca sincera della volontà di Dio"; è caratterizzato dal "desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa"; ed è plasmato dalle "esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa" e da condizioni quali "umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento".
Il cardinale Schönborn, intervistato da "La Civiltà Cattolica" prima del sinodo, aveva affermato che ci sono situazioni in cui il sacerdote confessore, che conosce le persone nel foro interno, può arrivare a dire: "La vostra situazione è tale per cui, in coscienza, nella vostra e nella mia coscienza di pastore, vedo il vostro posto nella vita sacramentale della Chiesa". E questo il confessore può affermarlo proprio considerando che le condizioni poste dalla "Familiaris consortio" sono state, 35 anni fa, un passo avanti, cioè una concretizzazione più aperta e attenta, rispetto al tempo precedente, al vissuto delle persone.
La tensione sulla situazione sacramentale dei divorziati risposati civilmente nasce proprio dal fatto che la "Familiaris consortio" affermava di essi: "Non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita" (n. 84). È un concetto che anche papa Francesco ha ripetuto molte volte.
Ma questa "apertura" pone il problema serio su che cosa sia questa "comunione ecclesiale" riconosciuta. Come è possibile essere davvero in comunione ecclesiale senza arrivare, prima o poi, alla comunione sacramentale? Postulare che sia possibile una piena comunione ecclesiale senza una piena comunione sacramentale non sembra una via che possa lasciare tranquilli.
Da notare inoltre che non si fa più menzione della "comunione spirituale" come strada alternativa al sacramento, così come era avvenuto fino al sinodo straordinario.
La via del discernimento e del "foro interno" espone alla possibilità di decisioni arbitrarie, certo, ma il "laissez-faire" non è mai stato un criterio per rifiutare un buon accompagnamento pastorale. Sarà sempre dovere del pastore trovare un cammino che corrisponda alla verità e alla vita delle persone che egli accompagna, senza poter forse spiegare a tutti perché essi assumano una decisione piuttosto che un’altra. La Chiesa è sacramento di salvezza. Ci sono molti percorsi e molte dimensioni da esplorare a favore della "salus animarum".
Circa l’accesso ai sacramenti, il sinodo ordinario ne ha dunque effettivamente posto le basi, aprendo una porta che invece nel sinodo precedente era rimasta chiusa.
Anzi, un anno fa non era stato possibile neppure certificare a maggioranza qualificata il dibattito sul tema, che era invece effettivamente avvenuto. Dunque si può a ragione parlare di un passo nuovo.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351172
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