L’episodio dell’indemoniato di Gerasa pietra d’inciampo dei cattolici modernisti. Nei Vangeli si racconta che Gesù ha eseguito un esorcismo e che ha scacciato il Diavolo da un posseduto: la cosa va presa alla lettera? di Francesco Lamendola
Se nei Vangeli si racconta che Gesù ha eseguito un esorcismo e che ha scacciato il Diavolo da un posseduto, non solo gli studiosi e gli storici delle religioni di formazione razionalista, ma, sovente, anche parecchi esponenti della cultura cattolica, per paura di passare per retrogradi e oscurantisti – incredibile come il ricatto della ragione illuminista funzioni ancora perfettamente, a quasi tre secoli di distanza – si affrettano a sostenere che la cosa non va presa alla lettera; che quel racconto evangelico è il risultato di chissà quali passaggi di mano in mano, di voce in voce; che è difficilissimo, quasi impossibile, sapere che cosa sia accaduto realmente, risalire insomma sino al fatto vero e proprio; ma che, così come è pervenuto sino a noi, quel racconto va preso con beneficio d’inventario; che vi si possono scorgere i tipici procedimenti retorici di una storia edificante, di una parabola costruita a posteriori, di una leggenda creata in buona fede, da persone che credevano alla divinità di Gesù e che credevano anche a molte altre cose tramandate su di lui – forse a troppe.
Strano: perché sappiamo ormai bene quanto breve sia stata la distanza temporale che separa la vita di Gesù Cristo dai primi racconti scritti che parlano di essa, presenti in alcune epistole paoline – anteriori ai Vangeli stessi – e, poi, nei Sinottici; sappiamo che perfino il quarto Vangelo non è stato scritto per niente verso il 100 d. C., come a lungo si è detto, ma assai prima, e dunque, pur essendo stato composto per ultimo, esso è opera di persone le quali, nondimeno, ebbero la possibilità di conoscere Gesù, di vederlo, di ascoltarlo, o, come minimo, che udirono i racconti di testimoni immediati e diretti. Perciò resta da capire come sia possibile che, nello spazio di pochi decenni, e, comunque, in un tempo abbastanza vicino ai fatti, da includere i personaggi del racconto e gli autori di esso in un unico orizzonte temporale, si siano formate tutte queste leggende, tutte queste parabole elaborate a posteriori, tutti queste narrazioni mitizzate, allegoriche, che non rispecchierebbero dei fatti realmente accaduti, ma soltanto, o principalmente, le pie credenze e le pie (ed ingenue) aspettative di testimoni di seconda o terza mano, di scrittori appartenenti a una seconda o ad una terza generazione, rispetto a quella cui era appartenuto Gesù stesso. Ma lo sanno, quei signori esegeti e storici e perfino teologi, debitamente razionalisti e modernisti, che una leggenda, un racconto allegorico, un mito, impiegano secoli e secoli per formarsi, quando non addirittura millenni?
In realtà, un simile fiume di chiacchiere nasce da una sola preoccupazione, che non è di tipo storico, ma ideologico: dal desiderio di non urtare la sensibilità scientista della cultura oggi dominante; di non sfidare le leggi fisiche, biologiche, scientifiche, oggi note, e ritenute indiscutibili; di non apparire degli sprovveduti, o, peggio, dei bigotti, ma di qualificarsi come degli studiosi “seri” nei confronti dell’establishment culturale odierno, impregnato di concezioni materialiste, meccaniciste, razionaliste e, pertanto, orientato a escludere il soprannaturale, o, tutt’al più, ad ammetterne la possibilità teorica, beninteso a condizione che il soprannaturale abbia il buon senso di starsene calmo e tranquillo in un angoletto della società, ad esempio nelle sacrestie fumose d’incenso e sui banchi delle chiese ove si inginocchiano le povere vecchiette un po’ deboli di mente; ma se esso ha l’ardire di presentarsi, a testa alta, nel salotto buono della cultura, e di sfidare i paludati professori accademici e le collaudate celebrità del politically correct, allora è un’altra cosa: allora bisogna rimetterlo al suo posto, buono e a cuccia, impartendogli una meritata lezione di umiltà e di consapevolezza del fatto di essere solo tollerato, ma di non godere del pieno e legittimo diritto di cittadinanza nel mondo moderno.
Prendiamo, a titolo di esempio, uno dei racconti evangelici di esorcismo più circostanziati e più affascinanti: quello dell’indemoniato di Gerasa (Marco, 5, 1-20), in cui si parla non di un solo demone, ma addirittura di una legione di demoni, i quali si erano stabiliti nel corpo di un uomo, e che ne furono cacciati con autorità e potenza da Gesù Cristo, andando a trasferirsi, con il suo permesso, in un branco di porci, donde, infine, si precipitarono in massa nelle acque del lago di Tiberiade e vi perirono annegati, con grande costernazione degli abitanti di quel luogo. Tutti ne abbiamo sentito parlare, o lo ricordiamo dai tempi del catechismo; rileggendolo con mente razionale e perfino sospettosa, si resta ancora e sempre colpiti dal tono di verosimiglianza con cui Marco racconta un fatto che, per la mentalità moderna, appare francamente inverosimile. Già è difficile credere nel fatto della possessione diabolica, se si tratta di una sola entità; ma che un essere umano possa trovarsi posseduto da decine di demoni, da un esercito di demoni, questo supera la capacità di accettazione anche dello studioso meno succube al ricatto ideologico della modernità e più vicino alla mentalità tradizionale. È troppo, semplicemente.
Ora, proprio questo “troppo” ci fa avvertiti che, qui, siamo in presenza di una difficoltà che non è solo di tipo storiografico, scientifico e intellettuale; ma che essa è anche, e prima di tutto, di ordine ideologico. Noi siamo disposti ad ammettere la realtà di una determinata cosa solo all’interno di ciò che ha stabilito il paradigma culturale al quale apparteniamo; e il paradigma culturale della modernità ha deciso, ormai da molto tempo, che fenomeni come la possessione diabolica non sono possibili, per il semplice fatto che, a suo giudizio, ossia a giudizio delle élites culturali che guidano gloriosamente la barchetta della cultura moderna verso le magnifiche sorti e progressive, il Diavolo non esiste: la credenza in lui è solo e unicamente un retaggio, una sopravivenza culturale del “buio” Medioevo (un’epoca particolarmente sfortunata, perché non ancora toccata e rischiarata dai “lumi” della ragione scettica e volterriana).
Insomma: se gli studiosi di un tempo (e non soli i credenti di un tempo) potevano prendere sul serio il fatto dell’indemoniato di Gerasa, mentre gli studiosi di oggi non lo possono, è perché quelli odierni subiscono in pieno il ricatto dell’opinione oggi dominante, o, per meglio dire, del pregiudizio scientista odierno: che il Diavolo non esiste e che credervi equivale a squalificarsi agli occhi delle persone sapienti e intelligenti. Ragion per cui tutti quei bravi cattolici che si sentono e si dicono progressisti, moderni e al passo con il loro tempo; tutti quei cattolici che aborriscono il passato della loro religione e della loro cultura, che non si stancano di chiedere perdono per i misfatti – veri e presunti - dell’Inquisizione, e di sentirsi in colpa per le colpe dei loro padri e antenati, perpetrate ai danni del genere umano e dell’umana intelligenza (proprio essi, che sempre meno credono al Peccato originale), si rifiutano di prendere il racconto di Marco per quello che è, e si sforzano, in tutte le maniere possibili, di trovarvi quel che in esso non c’è: qualche traccia, qualche indizio, qualche appiglio che permetta loro di trasformarlo da una vera narrazione storica in una specie di apologo, in un racconto metaforico e simbolico.
Vale la pena di riportare l’interpretazione di Vincent Taylor nel suo vastissimo studio «Marco. Commento al Vangelo messianico» (titolo originale: «The Gospel according to St. Mark», London, The Macmillan Press; traduzione dall’inglese di Armido Rizzi, Assisi, Cittadella Editrice, 1977, pp. 308-09):
«Bultmann (“Die Geschichte der synoptischen Tradition”, Götingen, 1931, p. 224) fa notare che la narrazione ha la forma caratteristica della storia di miracolo (esorcismo): incontro con l’indemoniato, suo carattere pericoloso, suoi sospetti sull’esorcista, esorcismo, partenza dei demoni, impressione fatta sui testimoni oculari. La storia, egli scrive, è nella sua forma originale, salvo le formule di passaggio al v. 1, e il verso 8, redazionale. Questa opinione non rende giustizia integralmente alla narrazione. Questa non è ancora ridotta alla forma stilizzata che le storie di miracoli hanno quando sono passate attraverso una serie di narratori; è invece molto più vicina alla testimonianza di un testimonio oculare. Lo dimostra la disuguaglianza della narrazione. I vv. 6 s., con il disegno dell’indemoniato che vede Gesù da lontano, accorre e cade ai suoi piedi, suonano quasi come l’inizio di un nuovo racconto; mentre i vv. 3-5 stanno a sé, come l’indicazione realistica di vicini abituati da tempo alle violenze dell’uomo Il v. 8 sembra riflettere l’imbarazzo dell’evangelista nel dover riprodurre un materiale troppo abbondante. Tutti questi tratti vengono spiegati molto bene se noi supponiamo che egli abbia sentito raccontare la storia più di una volta, e abbia sovrapposto i vari elementi che ricordava. Un’altra caratteristica della narrazione è la sistemazione di scene in cui il punto d’interesse scivola dall’uomo (vv. 1-10) al branco di porci (vv. 11-13), poi agli abitanti della città (vv. 14-17), e finalmente torna all’uomo lungo la riva del lago (18-20). In forma rudimentale abbiamo l’inizio di un piccolo dramma in quattro atti. E tuttavia non riceviamo l’impressione di una creazione artistica immaginaria; la storia è così com’è perché descrive quanto accaduto. ”L’ipotesi più naturale rimane sempre che qui abbiamo la narrazione di fatti realmente accaduti (J. Weiss, “Das älteste Evangelium”, Göttungen 1903, p. 190).
È vero che le storie di miracoli possono incorporare “motivi” come quello dei demoni gabbati […], o la convinzione che i demoni appartengano all’abisso (cfr. Lc., 8, 31); ma non ne segue che tutte le narrazioni che rappresentano questi motivi siano costruzioni puramente immaginarie. Meno di tutte la presente.
I molti dettagli semplici, la figura di un uomo che fa a pezzi le catene e si percuote con le pietre, il dialogo, l’espulsione, la descrizione dell’uomo “seduto, vestito e sano di mente”, l’atteggiamento degli spettatori, il tipo di messaggio che il miracolato proclama nella Decapoli, sono dettagli presi della vita. Abbiamo buone ragioni per classificare questo racconto come petrino di origine.
Come vada interpretato quanto viene narrato è un’altra cosa. La difficoltà maggiore è data dall’episodio dei porci. Se rigettiamo spiegazioni mitiche, o l’indicazione di Dibelius (secondo cui è stata incorporata una storia profana […]), e se accettiamo una spiegazione psicologica di possesso [sic], dobbiamo spiegare il panico dei porci come lo piega Weiss, cioè come provocato dal parossismo della guarigione dell’uomo.»
Ci sentiamo di condividere le riflessioni e le considerazioni di Vincent Taylor riguardo alla ricostruzione storica del fatto dell’indemoniato di Gerasa; un po’ meno ci sentiamo di seguirlo nel suo ragionamento a proposito della sua interpretazionecomplessiva. Ci sembra che, proprio nel finale, egli, pentito della propria audacia, voglia, in qualche misura, rimangiarsi le eccessive concessioni fatte alla storicità di quel fatto, prendere in qualche misura le distanze da esso, ristabilire la sua posizione di studioso dotto e smaliziato del XX secolo, che non si lascia abbindolare facilmente dai racconti leggendari e che non è disposto a prendere per buono un racconto che sia così palesemente in contrasto con le convinzioni del suo secolo riguardo a ciò che è possibile e ciò che è impossibile. Anche il buon Taylor, dunque, è disposto a spingersi più avanti degli studiosi razionalisti di stretta osservanza, a dilatare il campo del possibile, ma fino a un certo punto, e non oltre. Anche per lui vi è pronta, sul sentiero che sta percorrendo, la sua brava pietra d’inciampo, il suo oggetto dello scandalo: ed è l’episodio dei porci. Fino a che non erano in scena i porci, tutto può essere accomodato, il racconto evangelico può essere considerato, alla fin fine, come il racconto di una esperienza realmente vissuta da colui, o da coloro, che l’hanno tramandata; ma quando entrano in campo i porci, allora le cose si fanno veramente troppo difficili da credere.
Quando si decideranno, tutti costoro, ad accettare l’idea che, se Gesù non era un uomo comune, ma il Figlio di Dio; se il Cielo e l’Inferno esistono; se il Bene e il Male non sono solamente concetti astratti, di cui si può discutere sorbendo una tazza di tè, con la punta del mignolo graziosamente sollevata, e stando seduti in una comoda poltrona, ma che sono delle entità reali e personali, suscettibili di impadronirsi della nostra vita e di orientarla secondo la loro rispettiva natura, allora non solo il racconto dell’indemoniato di Gerasa (branco di porci compreso), ma molti altri racconti evangelici, a cominciare dal ritiro di Gesù nel deserto e dalle tentazioni demoniache – che, invece, alcuni studiosi pseudo-cattolici vorrebbero trasformare in racconti puramente mitici e allegorici – sono possibili, possibilissimi, e che non vi è alcuna ragione per escluderli o per sottoporli a tortuosi processi di revisione e di adattamento alla mentalità moderna, perché è la mentalità moderna ad avere smarrito la nozione di ciò che è realmente possibile e di ciò che non lo è? A ogni paradigma, i suoi pregiudizi: a quello odierno, l’incapacità di credere che i diavoli entrino in un branco di suini…
L’episodio dell’indemoniato di Gerasa pietra d’inciampo dei cattolici modernisti
di
Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
chi non crede all'azione demoniaca si mette fuori dal cristianesimo ,Gesù è venuto a distruggerne le opere.....
RispondiElimina