Il vuoto insostenibile delle idee del Rifondatore: note a margine di altre parole in libertà
Alla fine possiamo solo ammirare uno che ha il coraggio di negare l’evidenza anche con tanta convinzione e trasporto, e che ha la forza morale necessaria per mandare al macero, quasi sempre ad alta quota, tutto il pregresso magistero della Chiesa, anche in barba ai meschini predecessori, insieme ai dogmi della fede cattolica.
di Patrizia Fermani
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Dopo i discorsi sul diritto fognario, che hanno risentito un po’ della improvvisazione, e delle emozioni del momento, Bergoglio in Africa ha affrontato anche due temi sui quali si è impegnato da tempo con molto studio e ai quali ha quindi potuto apportare i frutti di una più attenta riflessione. Anzitutto il tema della radice della violenza, e poi quello degli effetti del multiculturalismo. Al primo in particolare aveva già dedicato largo spazio in uno scrigno di sapienza neocattolica qual è la esortazione apostolica Evangelii Gaudium (V. ad es. i paragrafi 59 e 60). Ma in Africa è tornato a sviscerarlo da par suo, con intenso sforzo speculativo e con il corredo di un raro bagaglio culturale. E ha sintetizzato felicemente così il problema: la povertà è la causa della violenza.
Poi ha proclamato solennemente che il multiculturalismo porta la pace. C’è da dire che accanto a queste due proposizioni meriterebbe di essere collocata, nella posizione che ognuno meglio crede, l’altra formulata a caldo dopo i fatti di Parigi : la violenza è frutto della corsa agli armamenti. Ma per il momento possiamo limitarci a riflettere sulle prime due. E bisogna subito osservare come la fondatezza complessiva di entrambe, sia confermata dall’esempio degli Stati Uniti che, essendo ricchi e multiculturali, non hanno mai fatto la guerra a nessuno, e hanno sganciato le prime due bombe atomiche sulla testa dei giapponesi solo per impedire che questi, con la mania dei Kamikaze, continuassero a fornire al mondo intero un pessimo esempio. Del resto è risaputo che quando è stata superata la povertà, si può coltivare finalmente anche lo spirito, e le guerre umanitarie sono la grande conquista dei paesi ricchi.
Ma andiamo con ordine. Bergoglio è uomo di cultura che evidentemente conosce a fondo i Promessi Sposi, e ha potuto elaborare la propria teoria sulla povertà che genera la violenza, dopo avere letto l’episodio dell’assalto al forno delle Grucce, dove la connessione tra la prima e la seconda balza agli occhi di chiunque.
Un po’ meno evidente questa correlazione appare in altri eventi storici minori, da catalogare fra le eccezioni che confermano la regola.
Per esempio non è certo che sia stata la penuria di storioni a spingere Napoleone a seppellire un centinaio di migliaia di giovanotti francesi nelle nevi russe, né che sia stata la fame a guidare i Persiani nelle guerre contro l’antica Grecia. Non sembra neppure che sia stata la fame a costringere i conquistatori spagnoli a sterminare gli autoctoni del centro America, né a portare i Turchi sotto le porte di Vienna dopo la carneficina fatta a Costantinopoli qualche secolo prima. Non è il caso di mettere qui il dito nella piaga e toccare la sensibilità dei progressisti che non si danno ancora pace per lo stermino dei pellerossa da parte dei perfidi e già ricchissimi Yankee. In ogni caso non pare neppure che sia stata la fame a spingere i nonni di Erdogan al genocidio armeno, né i nazisti a quello degli ebrei. Mentre è incerto se i venti milioni e più di Kulaki si siano fatti ammazzare dal loro piccolo padre Josif , per consentirgli di superare i problemi della carestia venuta dopo la loro dipartita. Persino tra le cause di due guerre mondiali messe su dal prospero occidente contro se stesso, non è certo che ci fosse proprio la povertà. Ma evidentemente queste sono considerazioni marginali perché il fatto dell’assalto al forno resta, e a quello dobbiamo fare riferimento.
Anche l’altro principio enunciato dal Vescovo di Roma in fondo sembra non fare una piega, un po’ come quello della emancipazione intellettuale culturale e morale della donna moderna, che ci ha fornito una classe politica affollata dalle Boldrini, Cirinnà, Carfagna e altre. Mettendo da parte il caso del già citato multiculturalismo americano che ha prodotto persino un presidente della stazza di Obama, si può sempre ricordare la felice convivenza, nello stesso arcipelago, tra inglesi e irlandesi, l’altra di terraferma tra fiamminghi e valloni, ma soprattutto quella felicissima tra serbi, croati e bosniaci che ha ispirato ad Ivo Andric, fra tanti altri racconti che ruotano attorno allo stesso tema, la terribile “Lettera I920”. Qui viene descritta in modo esemplare la realtà di un odio quasi tangibile, atavico, insanabile e incoercibile, derivante dalla dannazione ad una convivenza fatale. Insomma i frutti del multiculturalismo vi sono rappresentare in modo esemplare. Non per nulla proprio Bergoglio, da uomo di cultura, insiste a spiegare al mondo quanto sia felice la convivenza tra cristiani e musulmani nelle terre dominate da questi, sicché di tutti quei cristiani non vale proprio la pena di occuparsi.
Alla fine possiamo solo ammirare uno che ha il coraggio di negare l’evidenza anche con tanta convinzione e trasporto, e che ha la forza morale necessaria per mandare al macero, quasi sempre ad alta quota, tutto il pregresso magistero della Chiesa, anche in barba ai meschini predecessori, insieme ai dogmi della fede cattolica. Infatti appare chiaro che lui, a differenza di Scalfari, è un Rifondatore, e la Rifondazione, come è noto, è un altro pallino della religione Comunista. Quella abituata a sostituire la realtà con il suono delle parole, in libertà.
– di Patrizia Fermani
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L’Avvenire di oggi, mercoledì 2 dicembre 2015, offre un ottimo esempio di Chiesa incidentata: da Padova a Senigallia, da Sassari alle pagine del quotidiano galantiniano è tutto un rincorrersi di sbandate. Come il magistero di Francesco viene recepito da certi cattolici, ansiosi di sventolare bandiera bianca davanti alle sfide anche identitarie del nostro tempo
Prendiamo a prestito il titolo di incisivo pamphlet del 1976 (Edizioni dello Scorpione) scritto da Federico Orlando (morto l’anno scorso, fu compagno d’avventura di Indro Montanelli nella fondazione de “il Giornale”) per connotare nella sostanza quello che sta emergendo in questi giorni in certa parte del mondo cattolico a proposito di Natale, scuole, presepi e canti. Ce ne dà l’occasione il quotidiano della Cei ‘L’Avvenire’, di cui peraltro non finiremo mai di lodare certe battaglie come quelle contro il gioco d’azzardo o sulla ‘terra dei fuochi’. Purtroppo in tema di identità e di valori non negoziabili ‘L’Avvenire’ - ormai pienamente galantinizzato e di una papolatria inferiore solo a quella della nota Tv 2000 (sempre della Cei) – sconcerta e anche indigna ogni giorno di più. Vedi ad esempio quanto appare in materia identitaria nel numero di oggi, mercoledì 2 dicembre.
In prima pagina ecco il titolo di apertura: “Natale ‘in ostaggio’ “. In ostaggio di chi? Di “chi lo nega”, si legge nel sommario, ma anche di “chi ne fa uso”. A che si riferisce il quotidiano galantiniano? Al preside (‘reggente’) dell’istituto di Rozzano, che ha negato i canti natalizi in classe e ha cancellato il concerto di Natale (sostituendolo con il ‘Concerto d’inverno’ nel mese di gennaio). Fin qui l’Avvenire’ mantiene la rotta. Poi però, ansioso di apparire ‘equilibrato’ evitando la terribile accusa di ‘fondamentalismo cattolico’, attacca con forza chi ha sollevato politicamente la questione, chi (come si legge nell’editoriale del direttore) “con lo spadone alzato prova invece a trasformare persino il presepe in arena di gladiatori”. Insomma l’ Avvenire mette sullo stesso piano chi vuole cacciare Gesù dalle scuole pubbliche e chi invece pubblicamente riafferma la valenza anche identitaria del Natale. E’ la politica, quella di ‘Avvenire’ di chi, a imitazione del segretario generale della Cei, strilla a voce alta che “no, di qui non si passa!” e poi, venendo al dunque, trova sempre la scusa buona perché “non si devono alimentare divisioni”. Proprio come vuole papa Francesco (salvo naturalmente che in tema di ambiente e di povertà: lì sì che si deve ‘spingere’ sull’acceleratore, a costo di andare fuori strada!).
L’AVVENIRE SALUTA UNO STRANO ‘CORO DI NATALE’ A SENIGALLIA, CON UNA DOCENTE DI RELIGIONE CATTOLICA IN PRIMA FILA
A pagina 2 ecco , su due colonne, le lettere dei lettori. Il titolo è già di per sé significativo: “Il Natale è festa piena: Gesù, noi e ogni altro”. “Ogni altro” chi? La risposta è nella prima lettera pubblicata, cui non segue nessuna messa a punto del direttore ormai galantinizzato. Il che lascia pensare che non abbia obiezioni particolari da rivolgere alla scrivente, una docente che insegna religione cattolica in una scuola primaria di Senigallia e si firma come Delfina Barbara Serpi. Nella lettera della Serpi, pubblicata in prima posizione (anche questo non è irrilevante), si tocca con mano come il magistero di papa Francesco sia recepito intensamente da certi cattolici. La Serpi nota che nella sua scuola ogni anno (l’anno scorso, no… era un’avvisaglia?) si tiene una manifestazione chiamata ‘Coro di Natale’ con 260 bambini. Quest’anno il ‘coro di Natale’ ci sarà e avrà come tema: “La diversità”, come si sa un tipico tema natalizio. Riferisce la Serpi: “La scaletta prevede Amazing Grace e Feliz Navidad (perché è Natale), Good Guys di Mika, testo sull’omosessualità, un paio di canzoni di Pierangelo Bertoli (inquinamento e povertà), Adriano Celentano e la ‘cementificazione’, canzoni di amicizia e girotondo dei più piccoli”. Un vero programma natalizio imposto a 260 bambini delle elementari di Senigallia, con il pieno appoggio di un insegnante di religione cattolica.C’è bisogno di commentare ulteriormente tale episodio grossolano di ‘Chiesa incidentata’?
QUANT’E’ BUONISTA IL NUOVO VESCOVO DI PADOVA, DALLA BANDIERA BIANCA INCORPORATA…
Però, dice la saggezza popolare, l’esempio vien dall’alto. E allora, a pagina 7 di ‘Avvenire’ (‘Primo piano’), ecco la vicenda penosa del vescovo Claudio Cipolla, che – nominato da papa Francesco – ha fatto il suo ingresso in diocesi di Padova lo scorso 18 ottobre. Ebbene, il titolo di ‘Avvenire’ su quanto accaduto così suona: “Non alziamo steccati ma costruiamo ponti”. Con il sottotitolo: “Il vescovo di Padova: no a passi indietro. I simboli natalizi? Alla luce del Vangelo”. Nell’occhiello: “Chiamato in causa pretestuosamente dopo un intervento a una tv locale veneta, il presule precisa il senso delle sue parole”. (notare il ‘pretestuosamente’).
Che cos’era successo? Il vescovo Cipolla il 30 novembre aveva dichiarato ai microfoni di Rete Veneta, a margine di una messa celebrata in Duomo e a proposito delle polemiche su presepi e canti natalizi nelle scuole pubbliche: “Non dobbiamo presentarci (NdR: noi cristiani, noi cattolici) pretendendo qualsiasi cosa che magari anche la nostra tradizione e la nostra cultura vedrebbe come ovvio. Se fosse necessario per mantenere la tranquillità e le relazioni fraterne tra di noi (NdR: con i musulmani e con gli altri) io non avrei paura a fare marcia indietro su tante nostre tradizioni”. Hoc dixit il vescovo cattolico di Padova. Indignate ( pretestuose, proclama l’Avvenire) reazioni a non finire, tra cui quelle – con una lettera circostanziata e di buon senso - del ‘governatore’ del Veneto Luca Zaia. Hoc dixit e, considerato il contesto, non può esserci dubbio sul significato di ‘resa’ della sua dichiarazione. Mons. Cipolla però ha tentato di giustificarsi e ha tra l’altro rilasciato un’intervista ad ‘Avvenire’ , che appare sempre a pagina 5 dell’edizione odierna. Come interpreta il vescovo il suo riferirsi alla “marcia indietro su tante nostre tradizioni”? “Pensavo genericamente a chi non la pensa come noi”. Ma che risposta è? Il vescovo di Padova crede che possiamo bere tutto quanto propina? E poi: “Ovviamente io non sono contro la presenza della religione nello spazio pubblico, né tantomeno contro le tradizioni religiose. Ma né l’una né l’altra possono essere strumenti di separazione, conflittualità, divisioni”. Abbiamo capito bene? Per il vescovo di Padova un presepe e un canto di Natale possono essere “strumenti di separazione, conflittualità, divisioni”. O, come rileva il compiacente ‘Avvenire’ in una bacchettata di due colonne a Zaia e al sindaco di Padova Bitonci, trasformarsi in “trincea”.
E A SASSARI? UNA TAVOLA ROTONDA SULLA ‘MULTICULTURALITA’ INVECE DELLA VISITA DELL’ARCIVESCOVO. L’AVVENIRE: VINCE IL BUON SENSO
Ma ‘Avvenire’ sforna nella stessa pagina, un’altra perla, che riguarda il caso di ua scuola di Sassari, il cui Consiglio di Istituto ha deciso di rifiutare all’arcivescovo della città, mons. Paolo Atzei, la visita natalizia suscitando aspre polemiche. Si compiace il quotidiano galantiniano: “Svolta a Sassari. Il caso è chiuso”. L’articolo così incomincia: “Pace fatta a Sassari. Alla fine ha prevalso il buon senso”. Vediamo che tipo di buon senso: l’organizzazione di una tavola rotonda sul tema della multiculturalità, cui parteciperà anche l’arcivescovo, immaginiamo insieme con rappresentanti di altre religioni. Una tavola sul tema della multiculturalità, in cui è facilmente prevedibile uno straripamento di melassa buonista a esaltare la Nuova Fratellanza Universale. La cultura della resa la trionferà… evviva il multiculturalismo, abbasso l’identità.
CULTURA DELLA RESA: AVVENIRE, VESCOVO DI PADOVA, SCUOLA DI SENIGALLIA – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 2 dicembre 2015
http://www.rossoporpora.org/rubriche/italia/544-cultura-della-resa-avvenire-vescovo-di-padova-scuola-di-senigallia.html
Pietrangelo Buttafuoco: “Papa Francesco segue lo spirito dei tempi, non lo Spirito Santo”
3 dicembre 2015
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