ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 28 febbraio 2016

La luna nel Pozzo?

A che punto è il dialogo con i lefebvriani?

Intervista con Mons. Guido Pozzo,
Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei25 febbraio 2016



Intervista condotta da Luca Marcolivio per conto dell'Agenzia Zenit

Molto si è parlato in questi anni del sofferto riavvicinamento alla Chiesa di Roma, da parte della Fraternità San Pio X, fondata da monsignor Marcel Lefebvre. La remissione della scomunica ad opera di Benedetto XVI non cancella ancora la posizione irregolare in cui versano i lefebvriani.
Permane, infatti, la loro mancata accettazione della liturgia Novus Ordo, dell’ecumenismo e della libertà religiosa, tuttavia l’ulteriore apertura avanzata da papa Francesco – che, in occasione del Giubileo, ha sancito la validità della ricezione dei sacramenti della confessione e dell’unzione dei malati amministrate dai sacerdoti lefevriani – rappresenta un nuovo passo avanti verso il riconoscimento canonico.
Per conoscere più da vicino la situazione attuale della Fraternità San Pio X, ZENIT ha intervistato monsignor Guido Pozzo, segretario della Pontificia CommissioneEcclesia Dei, istituita nel 1988 da San Giovanni Paolo II, con il precipuo scopo di avviare un dialogo con i lefebvriani, per giungere un giorno alla loro piena reintegrazione.


Eccellenza, nel 2009 papa Benedetto XVI ha rimesso la scomunica alla Fraternità San Pio X. Ciò significa che ora sono di nuovo in comunione con Roma?
Con la remissione da parte di Benedetto XVI della censura della scomunica ai Vescovi della FSSPX (2009), essi non sono più soggetti a questa grave punizione ecclesiastica. Con tale provvedimento tuttavia la FSSPX rimane ancora in una posizione irregolare, perché non ha ricevuto il riconoscimento canonico da parte della Santa Sede. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, i suoi ministri non esercitano in modo legittimo il ministero e la celebrazione dei sacramenti. Secondo la formula adoperata dall’allora cardinale Bergoglio a Buenos Aires e confermata da Papa Francesco alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, i membri della FSSPX sono cattolici in cammino verso la piena comunione con la Santa Sede. Questa piena comunione si avrà quando vi sarà il riconoscimento canonico della Fraternità.

Quali passi sono stati fatti dalla Santa Sede in questi 7 anni per favorire il riavvicinamento della Fraternità San Pio X?
A seguito della remissione della scomunica nel 2009, sono stati avviati una serie di incontri di carattere dottrinale tra esperti nominati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, cui è strettamente legata la Pontificia Commissione Ecclesia Dei dopo il Motu proprio di Benedetto XVI  Ecclesiae unitatem (2009), ed esperti della FSSPX per discutere e confrontarsi sui principali problemi dottrinali che sono alla base della controversia con la Santa Sede: il rapporto tra Tradizione e Magistero, la questione dell’ecumenismo, del dialogo interreligioso, della libertà religiosa e della riforma liturgica, nel contesto dell’insegnamento del Concilio Vaticano II.
Tale confronto, durato circa due anni, ha consentito di chiarire le rispettive posizioni teologiche in materia, di mettere in luce i punti di convergenza e di divergenza.
Negli anni successivi i colloqui dottrinali sono proseguiti con alcune iniziative mirate all’approfondimento e alla precisazione delle tematiche in discussione. Nello stesso tempo i contatti tra i Superiori della Commissione Ecclesia Dei e il Superiore e altri esponenti della FSSPX hanno favorito lo sviluppo di un clima di fiducia e di rispetto reciproci, che deve essere alla base di un processo di riavvicinamento. Occorre superare le diffidenze e gli irrigidimenti che sono comprensibili dopo tanti anni di frattura, ma che possono essere gradualmente dissipati se l’atteggiamento reciproco cambia e se le divergenze non vengono considerate come muri invalicabili, ma come punti di discussione che meritano di essere approfonditi e sviluppati verso una chiarificazione utile alla Chiesa intera. Ora siamo in una fase che ritengo costruttiva e orientata a raggiungere la auspicata riconciliazione. Il gesto di Papa Francesco di concedere ai fedeli cattolici di ricevere validamente e lecitamente il sacramento della riconciliazione e dell’unzione degli infermi dai vescovi e sacerdoti della FSSPX nel corso dell’Anno Santo della Misericordia, è chiaramente il segno della volontà del Santo Padre di favorire il cammino verso il pieno e stabile riconoscimento canonico.

Quali sono gli ostacoli che ancora si frappongono alla definitiva riconciliazione?
Distinguerei due livelli. Il livello propriamente dottrinale, che riguarda alcune divergenze circa singoli temi proposti dal Concilio Vaticano II e dal Magistero post-conciliare, relativi all’ecumenismo, al rapporto tra il Cristianesimo e le religioni del mondo, alla libertà religiosa soprattutto nel rapporto tra Chiesa e Stato, ad alcuni aspetti della riforma liturgica. Il livello dell’atteggiamento mentale e psicologico, che deve passare da una posizione di scontro polemico e antagonista, ad una posizione di ascolto e di reciproco rispetto, di stima e di fiducia, come deve essere tra membri dello stesso Corpo di Cristo, che è la Chiesa. Occorre lavorare su entrambi questi due livelli. Penso che il cammino di riavvicinamento intrapreso abbia dato qualche frutto, soprattutto per questo cambiamento di atteggiamento da entrambe le parti e vale la pena proseguire su questa linea.

Anche sulla questione del Concilio Vaticano II, penso che la FSSPX debba riflettere sulla distinzione, che è a mio avviso fondamentale e assolutamente dirimente, tra la mens autentica del Vaticano II, la sua intentio docendi, come risulta dagli Atti ufficiali del Concilio, e ciò che chiamerei il “paraconcilio”, cioè l’insieme di orientamenti teologici e di atteggiamenti pratici, che accompagnarono il corso del Concilio stesso, pretendendo poi di coprirsi con il suo nome, e che nell’opinione pubblica, grazie anche all’influsso dei mass media, si sono sovrapposti spesso al vero pensiero del Concilio. Spesso nella discussione con la FSSPX, l’opposizione non è al Concilio, ma allo “spirito del Concilio”, che si avvale di alcune espressioni o formulazioni dei documenti conciliari per aprire la strada a interpretazioni e posizioni che sono lontane e talvolta strumentalizzano il vero pensiero conciliare. Anche per quanto concerne la critica lefebvriana sulla libertà religiosa, al fondo della discussione a me pare che la posizione della FSSPX sia caratterizzata dalla difesa della dottrina tradizionale cattolica contro il laicismo agnostico dello Stato e contro il secolarismo e relativismo ideologico e non contro il diritto della persona a non essere coartata né impedita dallo Stato nell’esercizio della professione di fede religiosa. Si tratta comunque di temi che potranno essere oggetto di approfondimento e di chiarificazione anche dopo la piena riconciliazione. Ciò che appare essenziale è ritrovare una piena convergenza su ciò che è necessario per essere in piena comunione con la Sede Apostolica, e cioè sull’integrità della Professione di Fede cattolica, sul vincolo dei sacramenti e sull’accettazione del Supremo Magistero della Chiesa. Il Magistero, che non è al di sopra della Parola di Dio scritta e trasmessa, ma la serve, è l’interprete autentico anche dei testi precedenti del Magistero, incluso quelli del Concilio Vaticano II, nella luce della perenne Tradizione, che progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo, non però con una novità contraria (che sarebbe negare il dogma cattolico), ma con una migliore intelligenza del deposito della fede, sempre nella stessa dottrina, nello stesso senso e nella medesima sentenza (in eodem scilicet dogmate, eodem sensu et eademque sententia, cf. Concilio Vaticano I, Const. Dogm. Dei Filius, 4). Credo che su questi punti la convergenza con la FSSPX sia non solo possibile, ma doverosa. Tutto ciò non pregiudica la possibilità e la legittimità di discutere e approfondire altre questioni particolari, cui accennavo sopra, che non riguardano materia di fede, ma piuttosto orientamenti pastorali e giudizi di carattere prudenziale, e non dogmatico, su cui è possibile avere anche differenti punti di vista. Non si tratta quindi di ignorare o addomesticare le differenze su alcuni aspetti della vita pastorale della Chiesa, ma si tratta di tenere presente che nel Concilio Vaticano II vi sono documenti dottrinali, che intendono riproporre verità di fede già definite o verità di dottrina cattolica (es. Cost. dogm. Dei Verbum, Cost. dogm. Lumen gentium), e vi sono documenti che intendono suggerire indicazioni o orientamenti per l’agire pratico, cioè per la vita pastorale come applicazione della dottrina (Dich. Nostra Aetate, Decreto Unitatis Redintegratio, Dich. Dignitatis humanae). L’adesione agli insegnamenti del Magistero varia a seconda del grado di autorità e della categoria di verità propria dei documenti magisteriali. Non mi risulta che la FSSPX abbia negato dottrine di fede o verità di dottrina cattolica insegnate dal Magistero. I rilievi critici riguardano invece affermazioni o indicazioni concernenti la rinnovata cura pastorale nei rapporti ecumenici e con le altre religioni e alcune questioni di ordine prudenziale nel rapporto Chiesa e società, Chiesa e Stato. Sulla riforma liturgica, mi limito a menzionare una dichiarazione che Mons. Lefebvre scrisse a Papa Giovanni Paolo II in una lettera dell’8 marzo 1980: “quanto alla messa del Novus Ordo, malgrado tutte le riserve che si devono fare al riguardo, io non ho mai affermato che essa sia invalida o eretica”. Quindi le riserve al rito del Novus Ordo, che non sono ovviamente da sottovalutare, non si riferiscono né alla validità della celebrazione del sacramento né alla retta fede cattolica. Sarà pertanto opportuno proseguire nella discussione e nella chiarificazione di tali riserve.

In occasione dell’Anno della Misericordia è arrivato un gesto distensivo da parte di papa Francesco: i fedeli cattolici potranno ricevere il sacramento della riconciliazione anche da parte di sacerdoti appartenenti alla Fraternità. Cosa comporta questo provvedimento? Ritiene che questo gesto possa concretamente riaprire un dialogo che, da qualche tempo, sembrava essersi arenato?
Come ho detto sopra, il dialogo con la FSSPX non si è mai arenato. Si è piuttosto deciso che esso continuasse in una forma meno ufficiale e formale, per dare spazio e tempo ad una maturazione dei rapporti nella linea dell’atteggiamento di fiducia e di ascolto reciproco per favorire un clima di relazioni più idoneo ove collocare anche il momento della discussione teologica e dottrinale. Il Santo Padre ha incoraggiato la Pontificia Commissione Ecclesia Dei fin dall’inizio del suo pontificato a perseguire questo stile nei rapporti e nel confronto con la FSSPX. In questo contesto il gesto distensivo e magnanimo di Papa Francesco nella circostanza dell’Anno della Misericordia ha indubbiamente contribuito a rasserenare ulteriormente lo stato dei rapporti con la Fraternità, mostrando che la Santa Sede ha a cuore il riavvicinamento e la riconciliazione, che dovrà avere anche un rivestimento canonico. Spero e mi auguro che lo stesso sentimento e la stessa volontà siano condivisi anche dalla FSSPX.
http://www.unavox.it/Documenti/Doc0910_Mons-Pozzo_Intervista_FSSPX_25.2.16.html
Stralci della conferenza di Mons. de Galarreta
a Bailly, Francia

17 gennaio 2016




Pubblichiamo gli stralci della conferenza tenuta a Baily da Mons. Alfonso de Galarreta, vescovo della Fraternità San Pio X; come pubblicati da DICI, organo di informazione della Fraternità San Pio X.
Ci riserviamo di pubblicare il testo della conferenza non appena sarà reso disponibile.




Mons. de Galarreta: «Penso che il Papa si muova verso un riconoscimento unilaterale»


DICI 26 febbraio 2016



Mons. de Galarreta ha tenuto una conferenza a Bailly, vicino Versailles, il 17 gennaio 2016. Egli vi ha esposto la situazione attuale della Chiesa ed ha informato gli uditori sullo stato presente delle relazioni fra Roma e la Fraternità San Pio X.
Mons. de Galarreta diresse la commissione di teologi della Fraternità San Pio X al tempo dei colloqui dottrinali con Roma, tra il 2009 e il 2011. Ecco gli estratti più significativi della sua conferenza, trascritti da DICI.

Un aggravarsi della crisi della fede che suscita delle pubbliche reazioni

Nella prima parte, Mons. de Galarreta constata che si sviluppa a Roma «una volontà di trarre tutte le conseguenze contenute nei principii del concilio Vaticano II». Le idee conciliari di ecumenismo, libertà religiosa e collegialità sono ormai state acquisite dalle autorità romane, quindi adesso è la morale che è presa di mira da una forma di evoluzionismo: «Questo è già vero per il dogma, per la verità (secondo i progressisti); questo è già vero per l’ecumenismo, la libertà religiosa, la collegialità, tutto lo spirito liberale rivoluzionario… quindi perché no anche per la morale? In fondo, era un’incoerenza non applicare l’evoluzione anche alla morale», quest’ultima è dunque portata ad adattarsi anch’essa «in funzione della vita dell’uomo, dei costumi, delle leggi, dell’evoluzione delle cose…».

Nondimeno, il prelato argentino ha riconosciuto che a fronte di questo disastro si manifesta una reazione: «oggi è nella Chiesa attuale, ufficiale, che incominciano ad esserci delle reazioni. E delle reazioni che vanno in profondità, poiché certuni si rendono conto che vi è anche un problema dottrinale, un problema di fede. Essi si rendono conto che vi è un problema anche nel magistero conciliare e postconciliare. Cominciano a porsi delle domande e, aspetto molto importante, comprendono che per opporsi a questa rottura totale con la Tradizione, bisogna reagire e opporsi necessariamente alle autorità che sono i diffusori i questi errori. E così che si vedono dei cardinali, dei vescovi, dei preti, dei laici che cominciano a reagire, e nel buon senso, in un grande buon senso, talvolta anche con fermezza.»

Una duplice proposta romana: dottrinale e canonica

Mons. de Galarreta ha indicato in seguito che la Congregazione per la Dottrina della Fede, nell’estate 2015, ha avanzato una proposta di prelatura personale, accompagnata da una proposta di dichiarazione dottrinale. E ha fatto sapere che il «Superiore generale ha inviato i due testi romani a tutti i Superiori maggiori e ad alcuni teologi della Fraternità, come pure ai vescovi, perché se ne facesse un’analisi e si esprimesse il nostro parere».

A proposito della proposta dottrinale, il vescovo argentino ha riconosciuto: «Quello che si vede nella dichiarazione dottrinale è che non c’è più la professione di fede del cardinale Ratzinger. Le autorità romane ci chiedono la professione di fede di Pio IV e cioè la professione di fede del Concilio di Trento. Poi, mentre nella proposta precedente vi era un paragrafo sulla libertà religiosa, oggi hanno soppresso questa esigenza. L’ecumenismo è soppresso. Sulla Messa ci chiedevano di riconoscerne la validità e la legittimità. Oggi ci chiedono di riconoscere la validità dei nuovi sacramenti, della nuova Messa, secondo l’edizione tipica, l’edizione latina originale. Cosa che la Fraternità ha sempre riconosciuto. Vedete, essi avanzano delle condizioni per cercare di concludere.»

Poi, Mons. de Galarreta ha indicato che il Superiore generale ha inteso rispondere all’offerta romana di riconoscere la Fraternità “così com’è”, con una risposta preventiva che non resta nel vago: «Mons. Fellay ci ha detto: “prima di rispondere a questa proposta della Congregazione della Fede io voglio scrivere loro in maniera molto esaustiva, per precisare come siamo noi e come agiamo, cosa predichiamo, cosa facciamo, cosa non facciamo e cosa siamo pronti a fare”», allo scopo di sapere se la Fraternità è accettata “com’è” veramente.

Il prelato argentino ha espresso le sue riserve per una ragione dottrinale di fondo: «Essi intendono soprattutto e sempre farci accettare, almeno vagamente, almeno in linea di principio, il concilio Vaticano II e i suoi errori». Ed ha aggiunto che questa volontà romana si ritrova, sul piano pratico, nella proposta canonica: «Vi è sempre, in una maniera o in un’altra, una sottomissione  nei confronti dei dicasteri romani e nei confronti dei vescovi». Cosa che lo porta ad affermare che, personalmente, egli rifiuterebbe le proposte romane: «Per me, un accordo con la Roma attuale è escluso ». Ed ha precisato che si tratta di un rifiuto prudenziale dettato dalle circostanze – in assenza delle garanzie necessarie per la vita della Fraternità – tenendo a distinguersi da coloro che fanno di questo rifiuto un assoluto:
«Voi capite che noi non rifiutiamo in maniera assoluta e teorica la possibilità di un accordo con Roma. È questo che ci distingue dalla “Resistenza”. Per loro è una questione di principio, è una questione dottrinale: “Non potete ammettere la possibilità di un accordo con Roma senza essere liberali“. Non è la nostra posizione. Occorre ripeterlo: non era questa la posizione di Mons. Lefebvre. Egli firmò un protocollo d’accordo con Roma. Ed allora, anche quando ruppe dopo il protocollo, disse: “è perché non vi sono le condizioni necessarie per la nostra sopravvivenza, per la nostra protezione”. Perché vogliono ingannarci. Perché non vogliono darci la Tradizione. Perché vogliono condurci al Vaticano II. Perché non ci sono le condizioni. E aggiungeva: “Se mi avessero fornito le condizioni, le condizioni che avevo poste, avrei firmato”. Questo Mons. Lefebvre lo disse dopo le consacrazioni e precisò: “Se ho firmato un protocollo d’accordo è perché in esso non vi era alcunché di contrario alla fede”. Né nel contenuto né nel fatto di firmarlo. Ovviamente. Dunque noi continuiamo su questa linea.»

Verso un riconoscimento unilaterale della Fraternità?

Nella seconda parte, e indipendentemente dalle proposte della Congregazione per la Dottrina della Fede, Mons. de Galarreta confessa pubblicamente che egli pensa che il Papa possa conferire prossimamente uno statuto alla Fraternità San Pio X:
«Io penso piuttosto che vi è un altro aspetto della questione, ed è che questo Papa ha detto a chi vuol capire che noi siamo cattolici, ha detto e ripete che la Fraternità è cattolica, che noi siamo cattolici, che non ci condannerà mai, che intende regolare la nostra “questione”. E io penso che – ed ha già intrapreso questa strada – quando si verificherà che non vi è intesa con la Congregazione per la Fede, io penso che egli sorvolerà ogni questione dottrinale, teorica, pratica o di altro genere… E farà dei passi per conto suo, nel senso di un riconoscimento della Fraternità. Egli ha già cominciato, dovrà semplicemente proseguire. Io vi parlo non di quello che desidero, ma di quello che prevedo. Io prevedo, io penso che il Papa andrà verso un riconoscimento unilaterale della Fraternità, e per via di  fatto piuttosto che per via di diritto o legale, canonica.»

Mons. de Galarreta ha riconosciuto che «questo riconoscimento di fatto avrebbe un effetto buono, benefico: sarebbe un’apertura apostolica molto straordinaria e avrebbe un effetto straordinario». Ma ha aggiunto che a quel punto vi sarebbero due rischi: quello di creare una divisione all’interno e quello di condizionare la predicazione in certe circostanze. E si è chiesto: «Sarà necessaria una saggezza, una prudenza straordinaria, una fermezza, una chiarezza molto grande. Siamo capaci di questo?»
E il prelato argentino risponde chiedendo di conservare una fiducia soprannaturale di fronte a tale eventualità: «Se la Provvidenza ci manderà ciò, con questo avremo le grazie necessarie per superare le difficoltà e per gestirle com’è necessario, ma certo nella misura in cui non si tratta del prodotto della nostra volontà ed è qualcosa che ci si impone. Se si hanno le idee chiare si potrà sempre approfittarne per il bene. Ma in questo caso ipotetico – io vi do la mia opinione basata su delle congetture! – in tal caso io penso che avremo le grazie necessarie per perseverare e per fare il bene che dobbiamo fare nella Santa Chiesa. Il Buon Dio non ce le negherà mai, non cesserà di darci i mezzi per perseverare nella fede e nella vera battaglia, se noi rimaniamo sempre nella fede, nella speranza, nella carità, nella forza della confessione della fede, nella santificazione quotidiana

La paura dei rischi e la fiducia nella Provvidenza divina.

Egli ha concluso sollevando un’obiezione: «Allora, mi direte: “ in quel caso vi sarà un rischio!» - Sì, certo. Nella vita ci sono tanti rischi, in una guerra ancora di più. Noi siamo in guerra. Dunque sarà come il Buon Dio vorrà. Ma io ho fiducia nella Provvidenza e una fiducia totale nell’amore di Nostro Signore Gesù Cristo per la Santa Chiesa. Allora, nella misura in cui noi non la cerchiamo, anche se la cosa accadrà io penso che non bisogna avere paura. Niente cambierà. Continuerà sempre la stessa battaglia, la stessa linea di condotta. Semplicemente, si tratta di approfittare degli spazii di libertà che ci saranno lasciati. In una guerra, se il nemico abbandona le trincee bisogna occuparle; se egli indietreggia bisogna avanzare. Non bisogna rinchiudersi in se stessi col pretesto che vi sono dei rischi. Bisogna fare le cose prudentemente, e ci vuole anche del coraggio. E soprattutto tra noi è necessaria la fiducia in Dio. Si tratta della battaglia per Dio. Si tratta della battaglia per Dio. La nostra fiducia è in Lui e nella Santissima Vergine Maria.
«Personalmente non sono affatto inquieto circa l’avvenire della Fraternità o della Tradizione; per contro, circa l’avvenire della società, delle nostre nazioni un tempo cattoliche o anche della Chiesa ufficiale, sì, sono inquieto e pessimista. Si prevede che queste evolvano in peggio. Ora, è proprio quando si arriva ad una situazione molto più disperata, estrema, che si ha l’intervento della Divina Provvidenza, l’intervento di Dio che ha sempre i suoi mezzi divini. Nostro Signore è sempre il maestro degli avvenimenti, della storia. E non solo in generale, ma in particolare. Dunque, se il Vangelo ci dice che c’è un solo capello della nostra testa che cada… che tutti i capelli della nostra testa sono contati, che non v’è un passero che cada senza il permesso di Dio (cf. Mt. 10, 29-30), io penso che bisogna restare molto sereni. È così che si conserva un giudizio equo sulle realtà oggettive e si conserva un’attitudine non solo equilibrata, ma cattolica, cristiana e santa. È questa la saggezza che ci ha trasmessa Mons. Lefebvre, questa attitudine cattolica. Noi oggi possiamo conservare benissimo questa linea nella situazione attuale della Santa Chiesa, così come di fronte a tutte le eventualità che si presenteranno a breve.»

http://www.unavox.it/Documenti/Doc0908_De-Galarreta_Conferenza_17.1.16_brani_DICI.html

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