La scoperta l’ha fatta un israeliano, l’economista Shir Hever, che da anni studia a mettere insieme i pezzi sparsi dei costi – e benefici – dell’occupazione israeliana del territorio palestinese. Non è facile, perché si tratta di mille rivoli fra ONG, ONU, autorità europee…
Per esempio: recentemente il glorioso Tsahal ha abbattuto le case di famiglie beduine n sul territorio occupato presso Gerusalemme, e un finanziamento europeo ha consentito ai senza tetto di restare sui loro terreni, che lo stato ebraico e i “coloni” fanatici volevano prendere loro. Per questo intervento, l’ambasciatore UE Lars Faaborg-Andersen, è stato dipinto in manifesti dei fanatici come Hannibal Lecter, il cannibale de “Il Silenzio degli Innocenti”.
E’ un caso raro. Come ha scoperto Hever, il 78 per cento dell’aiuto umanitario che la comunità internazionale raccoglie per i palestinesi, finisce nelle casse di Israele, ossia dell’occupante.
In altre parole, gli paghiamo noi i costi dell’occupazione.
Non è una piccola cifra. Si tratterebbe di 2 miliardi di dollari annui. Come avviene lo storno? Semplice, dice Hiver: i donatori, per raggiungere i palestinesi, devono passare per Sion: Israele è il mediatore delle donazioni, e ne approfitta di tutte le occasioni per scremarsi i suoi profitti.
In pratica, i palestinesi prigionieri a Gaza e nei Territori Occupati sono un mercato “captive” (è il caso di dirlo) per i giudei. Dipendono totalmente dai giudei per il gas, l’acqua, l’elettricità. Per esempio, latte e latticini li fornisce la azienda ebraica Tnuva,che da questo ricava un profitto monopolistico valutato in 60 milioni annui. Il cementificio israeliano Nesher controlla l’85 per cento di tutte le opere dei palestinesi nei territori occupati, precisamente le ricostruzioni dopo i bombardamenti ebraici: in pratica le devastazioni periodiche e ripetute non sono che un altro mezzo che gli israeliani usano per profittare dei loro prigionieri.
Ogni qualche anno bombardano, ammazzano, sperimentano i loro armamenti e sistemi di sorveglianza (una “industria” che esportano con profitti miliardari in dollari), fanno vivere i loro perseguitati fra le macerie, e poi passano alla cassa: pagate, europei, la ricostruzione. Fino al prossimo bombardamento.
Il punto, come ha notato l’esperto di diritto internazionale Richard Falk (che è ebreo), è che i donatori internazionali non pongono alcuna condizione ad Israele per esser sicuri che i loro milioni vadano ai veri bisognosi dell’aiuto. Lasciano a Sion – che controlla totalmente la circolazione di persone e di beni – la cura dei trasporti, del magazzinaggio, della “sicurezza”: sono tutti “servizi” che Israele si paga estraendoli dagli aiuti. Negli ultimi 20 anni dal “processo di pace” (sic) di Oslo, la comunità internazionale non fa ‘ che pagare ad Israele il consolidamento della sua presa e dominio sui palestinesi e finanzia la loro attività carceraria di un popolo intero. Lo sappia o no. Magari, sapendolo.
Infatti non sono poche le sapienti falle e trabocchetti che la UE pone nelle sue operazioni di politica estera.
Perché Kiev non obbedisce a Bruxelles
Come in Ucraina. Il regime che l’Europa ha messo sotto la sua protezione affonda in una corruzione senza limiti che divora gli “aiuti”, paralizzato da una guerra di potere fra Ytseniuk e Poroshenko a cui l’Europa assiste impotente, mentre l’inflazione galoppa e l’economia collassa. Siccome nei paesi europei crescono le resistenze al prolungamento delle sanzioni contro la Russia (Ungheria e Italia si son opposte a una nuova proroga: vedremo se Roma terrà duro), Bruxelles riempie Kiev di buoni consigli perché giunga a un accomodamento con Mosca, onde poter sollevare le sanzioni (almeno alcune) senza perdere la faccia. Ma il regime di Kiev, fa’ orecchie da mercante; duro, intransigente, moltiplica le provocazioni contro la Russia.
Il punto – come ha segnalato The Saker – è che Bruxelles (con Berlino e Parigi) s’è impegnata a mantenere in vigore le sanzioni fino all’adempimento completo degli accordi di Minsk II: “ma trascurando l’elementare precauzione di legare la levata delle sanzioni non solo all’adempimento da parte della Russia, ma anche a quello di Kiev degli accordi di Minsk II”.
Insomma la UE ha obbligato Mosca, ma non il regime di Kiev. Che naturalmente se ne infischia degli accordi, per esempio nega la concessione al Donbass di una autonomia semi-federale, tanto più che i suoi caporioni golpisti sono comunque mantenuti dagli aiuti del Fondo Monetario, degli Usa, di Soros e della UE. Inutilmente il ministro tedesco Steinmeier e il francese Ayrault sono piombati a Kiev dove hanno mostratola loro “irritazione” e proferito vane minacce (tipo: non v facciamo entrare nella UE…); quelli continuano. Per forza. Se “Yats” e Poro accedessero alle richieste europee concedendo una autonomia legale al Donbas (come prescritto da Minsk II) verrebbero meno al fondamento stesso per cui hanno reso il potere a Maidan: la creazione di uno stato monolingui stico, dove obbligatori la lingua ucraina, e vietata la russa; probabilmente sarebbero ammazzati dai neonazi del Settore Destro, che sono, per così dire, le forze dell’ordine del regime, di cui angariano la popolazione.
Grandiosa, la politica estera che Bruxelles pretende di gestire a nome nostro. Sulla sua stupidità probabilmente in parte volontaria (come nella questione immigrati) , dovrebbero meditare quelli che dicono che ci vuole “più Europa”. Alla larga.
Come accade, ad avere le idee chiare su questa politica estera gestita dalla UE , è il premier ungherese Victor Orban: “E’ venuto il momento di suonare l’allarme e riunire alleati” per “mettere il freno a Bruxelles”. Parlava, nell’anniversario della rivoluzione del 1848 contro l’impero absburgico, contro le quote, che Bruxelles vuole imporre obbligatoriamente ad ogni paese. Su questo, Orban ha annunciato un referendum: “Nessuno ha chiesto al popolo europeo se approva, accetta o rigetta le quote obbligatorie. Noi ungheresi riteniamo che farlo senza accettazione del popolo equivale ad abuso di potere”. Un abuso che fa’ parte del “complotto” per introdurre “gli Stati Uniti d’Europa” in modo surrettizio. “Se vogliamo fermare la migrazione di massa, dobbiamo prima mettere il freno a Bruxelles”.
In questa Europa, ha aggiunto Orban, “non è consentito dire la verità. E’ vietato dire che tale immigrazione di massa porta criminalità e terrore nei nostri paesi. E’ vietato dire che le masse che arrivano da altre culture sono una minaccia al nostro modo di vita, alla nostra cultura e alle nostre tradizioni cristiane”.
UE alle banche europee: non comprate titoli di stato russi
Il governo di Mosca ha invitato banche occidentali a fare offerte per titoli di Stato, un’emissione – secondo i progetti russi – di 3 miliardi di dollari. Sarebbe la rima volta dal 2013 che la Russia prova ad accedere al mercato dei capitali. Bruxelles “ha messo in guardia” le banche europee dall rispondere. Lo ha fatto di nascosto. E chi l’ha rivelato alla Reuters è un funzionario della UE, che non ha voluto essere nominato.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.