La tomba del prossimo papa defunto è già pronta sotto la basilica di San Pietro
Situata a pochi metri della lapide di Paolo VI, è di una forma simile a quella, vicinissima, di Giovanni Paolo I
La tomba per il prossimo Pontefice defunto (©I.Media)
La tomba del prossimo papa che morirà è pronta nella cripta della
basilica di San Pietro. Una tomba massiccia in marmo e senza alcuna
iscrizione è stata installata recentemente tra le tombe dei papi. Un
atteggiamento «saggio», spiegano in Vaticano dove regna un papa di 79
anni e vive anche un pontefice emerito di quasi 89 anni.
Nelle cosiddette Grotte vaticane, sotto la Basilica, è apparso recentemente un massiccio sarcofago rettangolare in marmo bianco, senza nessun’iscrizione, soltanto inquadrato da due colonnine di colore rosa pallido. Situata a pochi metri della sobria lapide di Paolo VI, questa tomba è di una forma simile a quella, vicinissima, di Giovanni Paolo I. La tomba di Papa Luciani, che regnò soltanto 33 giorni, è un’imponente blocco di marmo grigio fiancheggiato da due angeli alati.
I custodi dei luoghi affermano che si tratta della tomba «del prossimo papa» che sarà morto. La situazione, di fatto, è nuova: oltre a papa Francesco, 79 anni, c’è in Vaticano il papa emerito Benedetto XVI, che celebrerà i suoi 89 anni ad aprile. I due uomini, tuttavia, non sembrano particolarmente malati. Alla Fabbrica di San Pietro, incaricata della basilica, si parla di «lavori ordinari».
Infatti, il direttore della Sala stampa della Santa Sede afferma che non c’è «alcun mistero» dietro l’installazione di questa tomba. «È necessario prevedere che nelle Grotte vaticane vi siano posti per tombe negli anni futuri», dice padre Federico Lombardi, spiegando inoltre che «vi era solo una cappella libera e quindi era saggio prevedere anche altre possibilità». Infatti, l’unica cappella libera è quella lasciata dopo il trasferimento della salma di Giovanni Paolo II in Basilica, al piano superiore.
Dopo Leone XIII, morto nel 1903 e sepolto a San Giovanni in Laterano, gli otto papi successivi sono stati sepolti nella cripta della basilica di San Pietro. La tradizione vuole che le tombe dei pontefici dichiarati beati dalla Chiesa - e a volte canonizzati - siano trasferite al piano principale della basilica vaticana. Oggi, le Grotte vaticane accolgono le tombe di più di una ventina di papi, fra i quali Bonifacio VIII, Sisto IV, Benedetto XV, Pio XII, Paolo VI e Giovanni Paolo I.
Nelle cosiddette Grotte vaticane, sotto la Basilica, è apparso recentemente un massiccio sarcofago rettangolare in marmo bianco, senza nessun’iscrizione, soltanto inquadrato da due colonnine di colore rosa pallido. Situata a pochi metri della sobria lapide di Paolo VI, questa tomba è di una forma simile a quella, vicinissima, di Giovanni Paolo I. La tomba di Papa Luciani, che regnò soltanto 33 giorni, è un’imponente blocco di marmo grigio fiancheggiato da due angeli alati.
I custodi dei luoghi affermano che si tratta della tomba «del prossimo papa» che sarà morto. La situazione, di fatto, è nuova: oltre a papa Francesco, 79 anni, c’è in Vaticano il papa emerito Benedetto XVI, che celebrerà i suoi 89 anni ad aprile. I due uomini, tuttavia, non sembrano particolarmente malati. Alla Fabbrica di San Pietro, incaricata della basilica, si parla di «lavori ordinari».
Infatti, il direttore della Sala stampa della Santa Sede afferma che non c’è «alcun mistero» dietro l’installazione di questa tomba. «È necessario prevedere che nelle Grotte vaticane vi siano posti per tombe negli anni futuri», dice padre Federico Lombardi, spiegando inoltre che «vi era solo una cappella libera e quindi era saggio prevedere anche altre possibilità». Infatti, l’unica cappella libera è quella lasciata dopo il trasferimento della salma di Giovanni Paolo II in Basilica, al piano superiore.
Dopo Leone XIII, morto nel 1903 e sepolto a San Giovanni in Laterano, gli otto papi successivi sono stati sepolti nella cripta della basilica di San Pietro. La tradizione vuole che le tombe dei pontefici dichiarati beati dalla Chiesa - e a volte canonizzati - siano trasferite al piano principale della basilica vaticana. Oggi, le Grotte vaticane accolgono le tombe di più di una ventina di papi, fra i quali Bonifacio VIII, Sisto IV, Benedetto XV, Pio XII, Paolo VI e Giovanni Paolo I.
16/03/2016 antoine-marie izoard
Città del Vaticano
Una picconata al giorno leva la Dottrina di torno
Il nuovo protocollo vaticano per le udienze a capi di Stato con situazioni matrimoniali irregolari è un nuovo colpo inferto alla Dottrina, che peraltro non viene ufficialmente rifiutata. Semplicemente, non la si applica.
di Paolo Deotto
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La notizia non è nuovissima, ma non ha suscitato grande attenzione, anche perché si è portati in genere a considerare le questioni di “protocollo” semplicemente come regole, anche un po’ noiose, che disciplinano il cerimoniale vaticano. Una decina di giorni fa, ci informa Andrea Tornielli su La Stampa con l’articolo che riportiamo in calce, è entrato in vigore un nuovo protocollo, voluto da Bergoglio, da applicare in caso di visite di capi di Stato con situazioni matrimoniali irregolari.
La cosa però si fa interessante se il cerimoniale stabilisce alcune regole in base alla dottrina e alla morale cattolica. Tale era proprio il caso delle visite in Vaticano fatte da capi di Stato ufficialmente “cattolici” ma con situazioni matrimoniale irregolari. In tal caso il capo di Stato era ricevuto da solo dal Pontefice, e la coniuge veniva salutata solo alla fine, in separata sede.
Insomma, nella fase “ufficiale” dell’udienza doveva essere ben chiaro che la Santa Sede non riconosceva il “vincolo” contratto da divorziati risposati. Non ne faceva oggetto di un pubblico biasimo, per ragioni diplomatiche, ma il protocollo adottato era già chiaro.
Ora le regole sono cambiate e già è stato applicato il nuovo protocollo con il presidente argentino, ricevuto in udienza in compagnia della terza moglie.
Siamo di fronte alla consueta tattica: non si agisce direttamente contro la Dottrina, ma più semplicemente non la si applica. Ovviamente il tutto viene presentato, dai megafoni di regime, come gesto di apertura e, in questo caso, anche di cortesia.
Il risultato? La Chiesa, il Vicario di Cristo, devono scegliere tra la Verità e il rispetto umano. Scelgono il rispetto umano. Certo, può apparire scortese, agli occhi del mondo, che il/la coniuge di un capo di Stato vengano “emarginati”. Ma la Santa Sede non è uno Stato qualsiasi, che intrattiene rapporti diplomatici con altri Stati. La Santa Sede è la sede del Vicario di Cristo in terra, che dovrebbe (bisogna purtroppo usare il condizionale), come custode della Dottrina, avere sempre e comunque come scopo principale delle proprie azioni il bene supremo: la salvezza delle anime.
Certo, tutto ciò è valido se c’è ancora la Fede. San Tommaso Moro preferì la scure del carnefice all’oltraggio della Verità che gli veniva chiesto da un re lascivo e pazzo. È chiaro che lo Spirito Santo gli diede, in virtù della sua grande Fede, la forza per affrontare serenamente una sentenza infame.
Oggi i tempi sono cambiati. Non si ha più almeno la criminale chiarezza di intenti che aveva un re come Enrico VIII e da parte della Chiesa ci si adegua a questa felpata atmosfera in cui il peccato viene “normalizzato” in nome di una misericordia stralunata, che ha dimenticato la Giustizia e che infatti si guarda bene dal parlare del peccato, dell’inferno, della necessità del pentimento, della Fede cattolica che è una cosa seria,che richiede la conversione della propria vita e non solo un’adesione formale, magari un po’ sentimentale e infiorata da tanto garbo e tanto “volemose bene” unicamente umano.
I tempi sono cambiati e dobbiamo stare con occhi e orecchie ben aperti, e soprattutto col Santo Rosario sempre con noi. L’inganno non passa attraverso una sciagurata ma virile negazione esplicita della Dottrina. No, l’inganno passa in modo dolce dolce, con azioni garbate e beneducate, per instillarci a poco a poco in testa l’idea che la Verità è una gran bella cosa, ma è così difficile da seguire e quindi è meglio, nella pratica quotidiana, vivere felci e contenti nei nostri limiti umani. Tanto, arriva poi la “misericordia”.
Si è fatto un passettino in più per l’azione sacrilega che in molti chiedono, l’Eucaristia data ai divorziati risposati. La parola d’ordine è “integrare”.
“Integrare nella vita della Chiesa le famiglie ferite, le famiglie di risposati” (parole di Bergoglio) è una frase di un’ambiguità tremenda, che apre le porte a ogni soluzione, dimenticando che quelle famiglie si sono ferite da sole, dal momento che hanno scelto una strada in contrasto con la retta Dottrina. Però la parola “integrare” è così bella, dolce come una caramella, mentre le parole “peccato”, “inferno”, “dannazione”, come sono dure! Amare come una medicina che un bambino capriccioso non vuole prendere.
Ma chi è ancora testardamente cattolico e vuole salvare la propria anima sceglierà sempre la Verità prima del “rispetto umano”.
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Questo è l’articolo di Andrea Tornielli sopra citato e linkato:
ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO
È un cambio di protocollo che la Segreteria di Stato ha studiato appositamente, su richiesta di Papa Francesco. Le circostanze hanno fatto sì che, per la prima volta, sia stato applicato proprio in occasione della visita in Vaticano del nuovo presidente dell’Argentina Mauricio Macri, ricevuto in udienza da Papa Francesco sabato 27 febbraio. D’ora in avanti i capi di Stato cattolici con situazioni matrimoniali irregolari potranno portare il loro coniuge in presenza del Papa e comparire nelle foto di gruppo ufficiali al momento dello scambio dei doni. Fino a oggi, invece, in questi casi, la consorte o il consorte attendevano in un’altra sala e al termine dell’udienza il Papa li salutava separatamente.
Fonti della Segreteria di Stato hanno confermato a Vatican Insider che si tratta di un cambiamento destinato a valere d’ora in poi per ogni capo di Stato cattolico in visita ufficiale in Vaticano. Il protocollo tradizionale stabiliva infatti che si tenesse conto, soltanto nel caso dei leader di fede cattolica – dunque figli spirituali della Chiesa – della «regolarità» della situazione matrimoniale secondo la normativa canonica.
I primi a sperimentare questa nuova formula sono stati il neo-presidente argentino Mauricio Macri e la sua terza moglie, Juliana Awada. All’origine della decisione papale c’è un episodio accaduto più di due anni fa, quando un capo di Stato latinoamericano, sposato solo civilmente, aveva incontrato il Papa che alla fine aveva salutato la consorte in separata sede. Aveva cominciato allora a maturare l’idea di cambiare la regola protocollare fino a quel momento seguita. Nell’incontro con i giornalisti sul volo di ritorno dal Messico, lo scorso 17 febbraio, Francesco, parlando dei divorziati risposati, aveva detto: «La parola-chiave che ha usato il Sinodo – e io la riprenderò – è “integrare” nella vita della Chiesa le famiglie ferite, le famiglie di risposati». Il cambio di protocollo è un piccolo segno in questa direzione.
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