IL DIO DEL BIG BANG
Il biologo Holden è sceso 2.000 metri sott’acqua. “Ho studiato gli abissi e i cieli dell’universo: la scienza non può spiegare tutto”
“Io credo nel cristianesimo come credo che il Sole è sorto. Non solo perché lo vedo, ma perché attraverso di esso vedo tutto il resto” (C. S. Lewis)
Immanuel Kant s’è sbagliato, o quantomeno è stato troppo superficiale, ammesso che tale aggettivo possa essere usato in modo così sfacciato quando si parla dell’autore della “Critica della ragion pura” e di altri scritti che hanno segnato la storia del pensiero moderno. Il filosofo di Konigsberg che sulla lapide tombale s’era fatto scrivere “il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”, pensava che tutto fosse grosso modo riducibile a quella vaga idea di nebulosa primordiale, di certo sublime e misteriosa, ma scientificamente spiegabile. Altro che Dio, che rimane qualcosa di estraneo, di altro, di inspiegabile e semplice risposta umana a ciò che l’empirismo non poteva dimostrare. James Holden, microbiologo dell’Università del Massachusetts, ribalta la prospettiva e dimostra che proprio la ricerca scientifica, costante e indefessa, porta a credere che Dio c’è e non è una necessaria invenzione dell’uomo famelico di spiegazioni plausibili su ciò che lo circonda.
Lui, racconta al Foglio, l’ha scoperto scendendo negli abissi degli oceani, fino a 2.200 metri di profondità a bordo del sottomarino Alvin, il glorioso sommergibile della United States Navy varato nel 1964 . E’ lì, nell’oscurità dei fondali marini, tra una spedizione e l’altra oceanografica per studiare le sorgenti idrotermali – cioè le fratture nella superficie di un pianeta da cui fuoriesce acqua geotermicamente riscaldata – guardando pietre e sabbia e banchi di granchi, che ha deciso che quanto vedeva là sotto era un miracolo che andava ben oltre astruse combinazioni chimiche e formule buone per manuali universitari: “Il fatto è che la scienza non mi ha dato spiegazioni soddisfacenti riguardo il senso e lo scopo della vita, né mi ha detto nulla sulle ragioni per apprezzare la bellezza o la carità”, che poi altro non è che l’amore, come rivela il vocabolo latino, caritas. “E poi, se devo dirla tutta – prosegue – sono rimasto con la sensazione di dovere in qualche modo comportarmi in modo non vero; in una maniera che non mi consentiva di sperimentare gioia e soddisfazione e quindi di giustificare la mia esistenza”.
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Il professor Holden oggi tiene conferenze (rigorosamente a braccio) davanti agli studenti di un’America sempre meno credente e dubbiosa sull’opportunità di continuare a mostrare la Bibbia ovunque, dalle scuole al giuramento presidenziale ogni quattro anni il 20 gennio, spiegando loro perché la scienza e la religione possono coesistere senza troppi problemi o esagerati turbamenti psicologici. Confessa con altrettanta tranquillità che la fede in lui non è innata. Certo, “sono cresciuto in una famiglia formalmente cristiana, ma lasciai perdere la chiesa e le sue storie quando entrai al college. Sono stato fortunato a imparare e sperimentare cose davvero incredibili nel mio percorso verso il dottorato, ma non era abbastanza. Non mi sentivo soddisfatto: i risultati raggiunti non mi appagavano, mancava qualcosa”. Così, “terminato il dottorato, iniziai a cercare una filosofia di vita alternativa”. Usa la parole filosofia, e la ripete più volte, dando l’idea di non saper bene a quale approdo l’avrebbe condotto la navigazione incerta a bordo di una barca sballottata qua e là dai marosi. Un po’ come san Paolo scaraventato a Malta dall’euroaquilone, cioè dal grecale, come riportano gli Atti degli Apostoli. Una strada dunque tortuosa e logorante, non priva di asperità e di momenti di pausa, fa capire il microbiologo: “Ho esplorato i fondamenti di molte tradizioni religiose, ma alla fine ho capito che quella cristiana fosse la fede che aveva qualcosa in più da dirmi, soprattutto l’idea di grazia, di amore, di sacrificio e il fatto che quanto facevo era ispirato da una divinità incarnata, che io credo essere Gesù di Nazaret. Non è stato facile. Ho avuto molte discussioni con Dio lungo questa strada, e molte barriere sono dovute cadere prima che io, alla fine, trovassi la mia fede”.
Insomma, almeno su questo punto concorda con Kant, e cioè che è troppo facile chiudere la questione alla maniera di Anselmo d’Aosta, per il quale la prova dell’esistenza dell’essere perfettissimo era data dal semplice fatto che l’uomo a Dio ci pensava. “Da quando però ho trovato la mia via – prosegue Holden – ho avuto più pace e gioia nella mia vita, imparando a guardare le necessità degli altri anziché volgere lo sguardo solo su me stesso, sulle mie priorità. E’ chiaro che qualcuno senza fede può essere una persona migliore rispetto a me, ma ritengo che la fede aiuti a essere individui più positivi rispetto a quello che saremmo senza credere in qualcosa”.
La barriera suprema da abbattere rimane quella della prova dell’esistenza di Dio, il discrimine tra chi crede e chi non crede,tra chi si affida alla fede e chi basa tutto solo su ciò che è sperimentabile. Non c’è spazio per le cinque prove teorizzate da san Tommaso né per quel che la chiesa ha detto o tentato di dire nei secoli. Contano numeri, cifre, ragionamenti che fondano ogni cosa sul nesso tra causa ed effetto. Holden accenna a un sorriso, dicendo la sua sulla questione pur serissima: “Io non credo sia possibile dimostrare o smentire empiricamente o scientificamente l’esistenza di Dio. Però, credere in Dio può essere ragionevole e razionale. Come persona di fede, vedo segni di Dio ovunque attorno a me. Quando io faccio una scoperta scientifica o imparo qualcosa di nuovo riguardante la natura, dico sempre ‘Oh, allora è così che l’ha fatto Dio’. Una rarità nel mondo post moderno che ha elevato, pur senza ammetterlo – forse per imbarazzo – il razionalismo sfrenato a divinità, solo perché visibile e spiegabile. Ancor più difficile per un uomo di scienza che passa le giornate in laboratorio, chino su un microscopio a osservare quel che c’è su anonimi vetrini. “In realtà, la mia esperienza religiosa convive benissimo con la mia routine quotidiana. Il motivo? Semplice, penso che Dio voglia che io faccia quel che faccio abitualmente. Il mio lavoro, poi, mi aiuta ad apprezzare ancor di più Dio e ciò che lui ha fatto nella storia e nella mia vita d’ogni giorno”. Holden riconosce però d’essere una sorta di eccezione: “Ho colleghi che crederanno sempre solo in ciò che è empirico e quindi verificabile. E’ il loro modo di conoscere la verità. Io però trovo questa filosofia limitante, dal momento che alcune evidenze che abbiamo nella vita, come l’amore, la bellezza, l’altruismo e il sacrificio non possono essere verificati empiricamente. Eppure, nessuno di noi dubita della loro esistenza”. Forse, ha detto lo scorso febbraio parlando al Commonwealth Honors College di Amherst, basterebbe pensare la fede come qualcosa che va oltre il tempo, lo spazio, la materia, l’energia. Due domini separati e quindi perfettamente compatibili. Dopotutto, già Chesterton lo diceva: “Il modo migliore per capire se un cappotto sta bene addosso a un uomo non è prendere le misure dell’uno e dell’altro, ma farglielo provare”. La fede, insomma, può mostrare “un grande quadro d’insieme della realtà”, capace di comprendere in sé ogni cosa.
Spiegare tutto questo ai giovani è più difficile, ma in qualche modo affascinante. L’uditorio è presente e partecipa, assicura il nostro interlocutore. Magari qualcuno è dubbioso e qualche sopracciglio s’alza mentre questo microbiologo del liberal Massachusetts parla di Dio e Paradiso, tra una citazione di Dante e descrizioni di acque calde oceaniche. “La loro reazione è mista. Alcuni studenti credenti sono sollevati nell’ascoltare un professore a sua volta credente. Sono contenti di vedere che uno può essere uomo di fede e al contempo uno scienziato di successo. Altri sono invece scossi, convinti al cento per cento che scienza e fede siano ambiti totalmente separati. Altri ancora mantengono le loro riserve perché atei convinti o per certe opinioni politiche personali. La maggior parte degli studenti, comunque, accetta la mia fede e non sono troppo dispiaciuti di lavorare con me anche se hanno una prospettiva diversa sulle cose”.
Chi studia qui, oggi, è per lo più tollerante circa il pensiero e il credo altrui, sottolinea Holden: “Specialmente sono tolleranti verso quel che credono i loro coetanei. La chiave è mostrare rispetto per gli altri, anche se tu la pensi diversamente, e imbastire un dialogo civile su cosa noi crediamo in modo che tutti abbiano la stessa possibilità di esprimere il proprio punto di vista”. E quando qualche studente affascinato dalle teorie di Stephen Hawking o di altri illustri vati del pensiero scientifico contemporaneo o fedele alla nebulosa primordiale di kantiana memoria, domanda come si può credere a Dio e nel Big Bang nello stesso tempo e nello stesso modo? “Credo che il Big Bang, come fenomeno naturale, è il modo in cui Dio ha creato l’universo. Non vedo la necessità di mettere in contraddizione qualcosa come il Big Bang e l’esistenza di Dio”. Chiariamo: “La fede e la scienza non possono essere d’accordo su tutto, però ci sono ambiti in cui è necessario che i due aspetti lavorino assieme. Penso alla povertà, alle decisioni sul fine vita, al ruolo della tecnologia nella vita, alla definizione di ciò che significa essere ‘umani’ alla luce dell’intelligenza artificiale”. Strana sintonia quella che viene a crearsi con Karl Popper, il quale decenni fa spiegava che alla fine la religione fornisce le risposte a ciò che non può trovare risposta sul piano scientifico. Sono le celebri “questioni ultime”, tra cui rientra proprio il senso della vita o al posto dell’uomo nel grande proscenio universale.
Il piano è quello su cui si situa anche lo scienziato Alister McGrath, docente di Scienza e religione a Oxford, che in nome di Isaac Newton contesta l’ateismo di tanti suoi pari, come il neodarwinista e neoateista Richard Dawkins. Pure McGrath da ragazzo si definiva ateo, ne faceva quasi un vanto, convinto che solo la tavola periodica degli elementi avrebbe fornito le risposte alle domande più profonde. Poi, anche lui ha capito che “la realtà è troppo complicata per essere compresa attraverso una visione intellettuale di tipo tubolare”. Serviva qualcosa di più, “una narrazione più ricca, più profonda rispetto a quella offerta dalla sola scienza. Anzi, rispetto a quella che qualunque cosa da sola possa offrire”, ha scritto ne “La grande domanda”, pubblicato recentemente in Italia da Bollati Boringhieri (261 pp., 23 euro) con la traduzione di Sabrina Placidi. Racconta che a crescere in lui fu la consapevolezza che “rispetto alle alternative di ispirazione ateista, la fede cristiana offriva spiegazioni più convincenti del mondo che vedevo intorno a me e di ciò che vivevo nella mia interiorità”. E poi, “per apprezzare a pieno il mondo in tutta la sua complessità e per agire in esso in maniera corretta e piena di senso bisogna osservarlo attraverso più di una finestra”, osserva McGrath, che in tasca ha una laurea in Chimica, una in Teologia e un non disprezzabile dottorato in Biofisica molecolare. Per carità, precisa: “Non c’è niente di sbagliato nel cogliere solo una parte della verità. Basta essere consapevoli che si tratta di una visione incompleta”.
I problemi, infatti, “nascono quando ci convinciamo che la realtà sia limitata a ciò che un’unica tradizione di indagine può rivelare, quando ci rifiutiamo di ascoltare altre voci oltre alla nostra”. E’ chiaro poi che – per tornare a Chesterton – il cappotto della fede non cade sempre alla perfezione, e questo perchè, osserva McGrath, “nessuna visione del mondo è in grado di contenere la totalità dell’esperienza umana del mondo”. Da cristiano, aggiunge lo scienziato di Oxford, “trovo che l’esistenza del dolore e della sofferenza non riesca ad adattarsi in ogni piega al cappotto della fede” e “come la maggior parte degli individui, diffido dalle teorie troppo lineari. Tuttavia – aggiunge – sono convinto che Chesterton abbia ragione quando sostiene che questo cappotto calza meglio di altri cappotti. Meglio dell’ateismo, per esempio”.
di Matteo Matzuzzi | 17 Aprile 2016 ore 06:18 Foglio
Il Credo del Popolo di Dio0
Questo Credo, oltre a voler riconfermare la fede della Chiesa, fu in special modo una risposta all’eretico e blasfemo testo del Nuovo Catechismo Olandese (1966), il quale mirava a corrompere le fondamenta della teologia cattolica.
Riproponiamo questo testo con l’intento di rinnovarne la forza; contro le falsità dottrinali che, allo stesso modo di ieri, ancora oggi minacciano la millenaria dottrina della Chiesa.
Noi crediamo in un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, Creatore delle cose visibili, come questo mondo ove trascorre la nostra vita fuggevole, delle cose invisibili quali sono i puri spiriti, chiamati altresì angeli, e Creatore in ciascun uomo dell’anima spirituale e immortale.
Noi crediamo che questo unico Dio è assolutamente uno nella sua essenza infinitamente santa come in tutte le sue perfezioni: nella sua onnipotenza, nella sua scienza infinita, nella sua provvidenza, nella sua volontà e nel suo amore. Egli è Colui che è, com’egli stesso ha rivelato a Mosè; e egli è Amore, come ci insegna l’Apostolo Giovanni: cosicché questi due nomi, Essere e Amore, esprimono ineffabilmente la stessa realtà divina di colui, che ha voluto darsi a conoscere a noi, e che abitando in una luce inaccessibile è in se stesso al di sopra di ogni nome, di tutte le cose e di ogni intelligenza creata. Dio solo può darci la conoscenza giusta e piena di se stesso, rivelandosi come Padre, Figlio e Spirito Santo, alla cui eterna vita noi siamo chiamati per grazia di lui a partecipare, quaggiù nell’oscurità della fede e, oltre la morte, nella luce perpetua, l’eterna vita. I mutui vincoli, che costituiscono eternamente le Tre Persone, le quali sono ciascuna l’unico e identico Essere divino, sono la beata vita intima di Dio tre volte santo, infinitamente al di là di tutto ciò che noi possiamo concepire secondo l’umana misura. Intanto rendiamo grazie alla bontà divina per il fatto che moltissimi credenti possono attestare con noi, davanti agli uomini, l’Unità di Dio, pur non conoscendo il mistero della Santissima Trinità.
Noi dunque crediamo al Padre che genera eternamente il Figlio; al Figlio, Verbo di Dio, che è eternamente generato; allo Spirito Santo, Persona increata che procede dal Padre e dal Figlio come loro eterno Amore. In tal modo, nelle tre Persone divine, coeterne e coeguali, sovrabbondano e si consumano, nella sovreccellenza e nella gloria proprie dell’Essere increato, la vita e la beatitudine di Dio perfettamente uno; e sempre deve essere venerata l’Unità nella Trinità e la Trinità nell’Unità.
Noi crediamo in nostro signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios to Patri; e per mezzo di lui tutto è stato fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l’umanità, ed egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature, ma per l’unità della persona.
Egli ha dimorato in mezzo a noi, pieno di grazia e di verità. Egli ha annunciato e instaurato il Regno di Dio, e in sé ci ha fatto conoscere il Padre. Egli ci ha dato il suo comandamento nuovo, di amarci gli uni gli altri com’egli ci ha amato. Ci ha insegnato la via delle Beatitudini del Vangelo: povertà in spirito, mitezza, dolore sopportato nella pazienza, sete della giustizia, misericordia, purezza di cuore, volontà di pace, persecuzione sofferta per la giustizia. Egli ha patito sotto Ponzio Pilato, Agnello di Dio che porta sopra di sé i peccati del mondo, ed è morto per noi sulla Croce, salvandoci col suo sangue redentore. Egli è stato sepolto e, per suo proprio potere, è risorto nel terzo giorno, elevandoci con la sua Risurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia. Egli è salito al cielo, e verrà nuovamente, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, ciascuno secondo i propri meriti; sicché andranno alla vita eterna coloro che hanno risposto all’Amore e alla Misericordia di Dio, e andranno nel fuoco inestinguibile coloro che fino all’ultimo vi hanno opposto il loro rifiuto. E il suo Regno non avrà fine.
Noi crediamo nello Spirito Santo, che è Signore e dona la vita; che è adorato e glorificato col Padre e col Figlio. Egli ci ha parlato per mezzo dei Profeti, ci è stato inviato da Cristo dopo la sua Risurrezione e la sua Ascensione al Padre; egli illumina, vivifica, protegge e guida la Chiesa, ne purifica i membri, purché non si sottraggano alla sua grazia. La sua azione, che penetra nell’intimo dell’anima, rende l’uomo capace di rispondere all’invito di Gesù: Siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro celeste.
Noi crediamo che Maria è la Madre, rimasta sempre Vergine, del Verbo Incarnato, nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo, e che, a motivo di questa singolare elezione, essa, in considerazione dei meriti di suo Figlio, è stata redenta in modo più eminente, preservata da ogni macchia del peccato originale e colmata del dono della grazia più che tutte le altre creature.
Associata ai misteri della Incarnazione e della Redenzione con un vincolo stretto e indissolubile, la Vergine Santissima, l’Immacolata, al termine della sua vita terrena è stata elevata in corpo e anima alla gloria celeste e configurata a suo Figlio risorto, anticipando la sorte futura di tutti i giusti; e noi crediamo che la Madre Santissima di Dio, nuova Eva, Madre della Chiesa, continua in cielo il suo ufficio materno riguardo ai membri di Cristo, cooperando alla nascita e allo sviluppo della vita divina nelle anime dei redenti.
Noi crediamo che in Adamo tutti hanno peccato: il che significa che la colpa originale da lui commessa ha fatto cadere la natura umana, comune a tutti gli uomini, in uno stato in cui essa porta le conseguenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui si trovava all’inizio nei nostri progenitori, costituiti nella santità e nella giustizia, e in cui l’uomo non conosceva né il male né la morte. È la natura umana così decaduta, spogliata della grazia che la rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che viene trasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun uomo nasce nel peccato. Noi dunque professiamo, col Concilio di Trento, che il peccato originale viene trasmesso con la natura umana, non per imitazione, ma per propagazione, e che esso è proprio a ciascuno.
Noi crediamo che Nostro Signor Gesù Cristo mediante il Sacrificio della Croce ci ha riscattati dal peccato originale e da tutti i peccati personali commessi da ciascuno di noi, in maniera tale che, secondo la parola dell’Apostolo, là dove aveva abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia.
Noi crediamo in un solo battesimo, istituito da Nostro Signor Gesù Cristo per la remissione dei peccati. Il battesimo deve essere amministrato anche ai bambini che non hanno ancor potuto rendersi colpevoli di alcun peccato personale, affinché essi, nati privi della grazia soprannaturale, rinascano dall’acqua e dallo Spirito santo alla vita divina in Gesù Cristo.
Noi crediamo nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, edificata da Gesù Cristo sopra questa pietra, che è Pietro. Essa è il Corpo mistico di Cristo, insieme società visibile, costituita di organi gerarchici, e comunità spirituale; essa è la Chiesa terrestre, Popolo di Dio pellegrinante quaggiù, e la Chiesa ricolma dei beni celesti; essa è il germe e la primizia del Regno di Dio, per mezzo del quale continuano, nella trama della storia umana, l’opera e i dolori della Redenzione, e che aspira al suo compimento perfetto al di là del tempo, nella gloria. Nel corso del tempo, il Signore Gesù forma la sua Chiesa mediante i Sacramenti, che emanano dalla sua pienezza. E con essi che la Chiesa rende i propri membri partecipi del mistero della Morte e della Risurrezione di Cristo, nella grazia dello Spirito Santo, che le dona vita e azione. Essa è dunque santa, pur comprendendo nel suo seno dei peccatori, giacché essa non possiede altra vita se non quella della grazia: appunto vivendo della sua vita, i suoi membri si santificano, come, sottraendosi alla sua vita, cadono nei peccati e nei disordini, che impediscono l’irradiazione della Sua Santità. Perciò la Chiesa soffre e fa penitenza per tali peccati, da cui ha il potere di guarire i suoi figli con il Sangue di Cristo ed il dono dello Spirito Santo.
Erede delle promesse divine e figlia di Abramo secondo lo Spirito, per mezzo di quell’Israele di cui custodisce con amore le sacre Scritture e venera i Patriarchi e i Profeti; fondata sugli Apostoli e trasmettitrice, di secolo in secolo, della loro parola sempre viva e dei loro poteri di Pastori nel Successore di Pietro e nei Vescovi in comunione con lui; costantemente assistita dallo Spirito Santo, la Chiesa ha la missione di custodire, insegnare, spiegare e diffondere la verità, che Dio ha manifestato in una maniera ancora velata per mezzo dei Profeti e pienamente per mezzo del Signore Gesù. Noi crediamo tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio, scritta o tramandata, e che la Chiesa propone a credere come divinamente rivelata sia con un giudizio solenne, sia con il magistero ordinarlo e universale. Noi crediamo nell’infallibilità, di cui fruisce il Successore di Pietro, quando insegna ex cathedra come Pastore e Dottore di tutti i fedeli, e di cui è dotato altresì il Collegio dei Vescovi, quando esercita con lui il magistero supremo.
Noi crediamo che la Chiesa, che Gesù ha fondato e per la quale ha pregato, è indefettibilmente una nella fede, nel culto e nel vincolo della comunione gerarchica. Nel seno di questa Chiesa, sia la ricca varietà dei riti liturgici, sia la legittima diversità dei patrimoni teologici e spirituali e delle discipline particolari lungi dal nuocere alla sua unità, la mettono in maggiore evidenza.
Riconoscendo poi, al di fuori dell’organismo della Chiesa di Cristo, l’esistenza di numerosi elementi di verità e di santificazione che le appartengono in proprio e tendono all’unità cattolica, e credendo all’azione dello Spirito Santo che nel cuore dei discepoli di Cristo suscita l’amore per tale unità, noi nutriamo speranza che i cristiani, i quali non sono ancora nella piena comunione con l’unica Chiesa, si riuniranno un giorno in un solo gregge con un solo Pastore.
Noi crediamo che la Chiesa è necessaria alla salvezza, perché Cristo, che è il solo Mediatore e la sola via di salvezza, si rende presente per noi nel suo Corpo, che è la Chiesa. Ma il disegno divino della salvezza abbraccia tutti gli uomini: e coloro che, senza propria colpa, ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, ma cercano sinceramente Dio e sotto l’influsso della sua grazia si sforzano di compiere la sua volontà riconosciuta nei dettami della loro coscienza, anch’essi, in un numero che Dio solo conosce, possono conseguire la salvezza.
Noi crediamo che la Messa, celebrata dal sacerdote che rappresenta la persona di Cristo in virtù del potere ricevuto nel sacramento dell’Ordine, e da lui offerta nel nome di Cristo e di membri del suo Corpo Mistico, è il Sacrificio del Calvario reso sacramentalmente presente sui nostri altari. Noi crediamo che, come il pane e il vino consacrati dal Signore nell’ultima Cena sono stati convertiti nel suo Corpo e nel suo Sangue che di lì a poco sarebbero stati offerti per noi sulla Croce, allo stesso modo il pane e il vino consacrati dal sacerdote sono convertiti nel Corpo e nel Sangue di Cristo gloriosamente regnante nel cielo; e crediamo che la misteriosa presenza del Signore, sotto quello che continua ad apparire come prima ai nostri sensi, è una presenza vera, reale e sostanziale.
Pertanto Cristo non può essere presente in questo Sacramento se non mediante la conversione nel suo Corpo della realtà stessa del pane e mediante la conversione nel suo Sangue della realtà stessa del vino, mentre rimangono immutate soltanto le proprietà del pane e del vino percepite dai nostri sensi. Tale conversione misteriosa è chiamata dalla Chiesa, in maniera assai appropriata, transustanziazione. Ogni spiegazione teologica, che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino han cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù ad esser realmente dinanzi a noi sotto le specie sacramentali del pane e del vino, proprio come il Signore ha voluto, per donarsi a noi in nutrimento e per associarci all’unità del suo Corpo Mistico.
L’unica ed indivisibile esistenza del Signore glorioso nel cielo non è moltiplicata, ma è resa presente dal sacramento nei numerosi luoghi della terra dove si celebra la Messa. Dopo il sacrificio, tale esistenza rimane presente nel Santo Sacramento, che è, nel tabernacolo, il cuore vivente di ciascuna delle nostre chiese. Ed è per noi un dovere dolcissimo onorare e adorare nell’Ostia Santa, che vedono i nostri occhi, il Verbo incarnato, che essi non posso no vedere e che, senza lasciare il cielo, si è reso presente dinanzi a noi.
Noi confessiamo che il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo, non è di questo mondo, la cui figura passa; e che la sua vera crescita non può esser confusa con il progresso della civiltà, della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere sempre più profondamente le imperscrutabili ricchezze di Cristo, nello sperare sempre più fortemente i beni eterni, nel rispondere sempre più ardentemente all’amore di Dio, e nel dispensare sempre più abbondantemente la grazia e la santità tra gli uomini. Ma è questo stesso amore che porta la Chiesa a preoccuparsi costantemente del vero bene temporale degli uomini. Mentre non cessa di ricordare ai suoi figli che essi non hanno quaggiù stabile dimora, essa li spinge anche a contribuire – ciascuno secondo la propria vocazione ed i propri mezzi – al bene della loro città terrena, a promuovere la giustizia, la pace e la fratellanza tra gli uomini, a prodigare il loro aiuto ai propri fratelli, soprattutto ai più poveri e ai più bisognosi. L’intensa sollecitudine della Chiesa, Sposa di Cristo, per le necessità degli uomini, per le loro gioie e le loro speranze, i loro sforzi e i loro travagli, non è quindi altra cosa che il suo grande desiderio di esser loro presente per illuminarli con la luce di Cristo e adunarli tutti in lui, unico loro Salvatore. Tale sollecitudine non può mai significare che la Chiesa conformi se stessa alle cose di questo mondo, o che diminuisca l’ardore dell’attesa del suo Signore e del Regno eterno.
Noi crediamo nella vita eterna. Noi crediamo che le anime dl tutti coloro che muoiono nella grazia di Cristo, sia che debbano ancora esser purificate nel purgatorio, sia che dal momento in cui lasciano il proprio corpo siano accolte da Gesù in Paradiso, come egli fece per il Buon Ladrone, costituiscono il Popolo di Dio nell’aldilà della morte, la quale sarà definitivamente sconfitta nel giorno della risurrezione, quando queste anime saranno riunite ai propri corpi.
Noi crediamo che la moltitudine delle anime, che sono riunite intorno a Gesù ed a Maria in Paradiso, forma la Chiesa del cielo, dove esse nella beatitudine eterna vedono Dio così com’è e dove sono anche associate, in diversi gradi, con i santi Angeli al governo divino esercitato da Cristo glorioso, intercedendo per noi ed aiutando la nostra debolezza con la loro fraterna sollecitudine.
Noi crediamo alla comunione tra tutti i Fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la propria purificazione e dei beati del cielo, i quali tutti insieme formano una sola Chiesa; noi crediamo che in questa comunione l’amore misericordioso di Dio e dei suoi Santi ascolta costantemente le nostre preghiere, secondo la parola di Gesù: Chiedete e riceverete. E con la fede e nella speranza, noi attendiamo la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà.
Sia benedetto Dio santo, santo, santo. Amen.
PAOLO PP. VI
l Credo di Paolo VI. Chi lo scrisse e perché
Anche la Chiesa ebbe il suo 1968, espresso ad esempio dal Catechismo olandese. La risposta di papa Montini fu il "Credo del popolo di Dio". Oggi si sa che a scriverlo fu il suo amico filosofo Jacques Maritain
di Sandro Magister
di Sandro Magister
ROMA, 6 giugno 2008 – Alla fine di questo mese papa Benedetto XVI inaugurerà un anno giubilare dedicato all'apostolo Paolo, in occasione del secondo millennio della sua nascita. La celebrazione inizierà sabato 28, vigilia della festa del santo, e terminerà un anno dopo.
Quarant'anni fa, tra il 1967 e il 1968, papa Paolo VI fece qualcosa di simile. Dedicò un anno di celebrazioni agli apostoli Pietro e Paolo, in occasione del diciannovesimo centenario del loro martirio. Lo chiamò "Anno della Fede". E lo concluse in piazza San Pietro, il 30 giugno 1968, pronunciando una solenne professione di fede, il "Credo del popolo di Dio".
Il testo di questo Credo ricalcò quello formulato al Concilio di Nicea, che si recita in ogni messa. Ma con importanti complementi e sviluppi.
Come e perché nacque in Paolo VI l'idea di coronare l'Anno della Fede con la proclamazione del Credo del popolo di Dio? E come fu redatto quel testo?
La risposta a queste due domande è in un volume che uscirà presto in Francia, il VI tomo della "Correspondance" tra il teologo e cardinale svizzero Charles Journet e il filosofo francese Jacques Maritain, cioè le 303 lettere che i due si scambiarono tra il 1965 e il 1973.
Perché fu proprio Maritain a scrivere la traccia del Credo del popolo di Dio che poi Paolo VI pronunciò. Nel volume di prossima uscita saranno pubblicati i due testi a fronte, con evidenziate le poche varianti.
Intanto, però, il cardinale Georges Cottier – discepolo di Journet e teologo emerito della casa pontificia – ha già anticipato i retroscena di quel Credo al mensile internazionale "30 Giorni", che vi ha dedicato la copertina dell'ultimo numero.
Nel 1967 Maritain ha 85 anni. Vive a Tolosa, tra i Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld. Ha appena pubblicato "Le paysan de la Garonne", un'impietosa critica alla Chiesa postconciliare "inginocchiata al mondo".
Il 12 gennaio il cardinale Journet scrive a Maritain che incontrerà presto il papa, a Roma. Né l'uno né l'altro sanno che Paolo VI ha l'intenzione di indire l'Anno della Fede. Ma Maritain risponde a Journet confidandogli che da qualche giorno "un'idea mi è venuta in mente", che così descrive:
"Il Sovrano Pontefice rediga una professione di fede completa e dettagliata, nella quale sia esplicitato tutto ciò che è realmente contenuto nel Simbolo di Nicea. Questa sarà, nella storia della Chiesa, la professione di fede di Paolo VI".
Senza che Maritain gliel'abbia chiesto, Journet fotocopia la lettera del filosofo e la consegna al papa, quando lo incontra il 18 gennaio. In quell'occasione, Paolo VI chiede al teologo un giudizio sulla stato di salute della Chiesa: "Tragico", risponde Journet. Sia lui che il papa sono sotto choc per la pubblicazione avvenuta l'anno prima in Olanda, con la benedizione dei vescovi, di un nuovo Catechismo nientemeno "mirato a sostituire all'interno della Chiesa un'ortodossia a un'altra, un'ortodossia moderna all'ortodossia tradizionale" (così la commissione cardinalizia istituita da Paolo VI per esaminare quel Catechismo, di cui Journet fa parte).
Il 22 febbraio 1967 Paolo VI indice l'Anno della Fede. E due giorni dopo Maritain annota nel suo diario:
"È forse la preparazione per una professione di fede che lui stesso proclamerà?".
Quello stesso anno, dal 29 settembre al 29 ottobre, si riunisce a Roma il primo sinodo dei vescovi. Il rapporto finale della commissione dottrinale sottopone al papa la proposta di una dichiarazione sui punti essenziali della fede.
Il 14 dicembre Paolo VI riceve nuovamente il cardinale Journet. Questi ripresenta al papa l'idea di Maritain. E Paolo VI gli ricorda che già altri avevano suggerito, alla fine del Concilio Vaticano II, di promulgare un nuovo simbolo della fede. Lui stesso, il papa, aveva chiesto al famoso teologo domenicano Yves Congar di preparare un testo, che però non trovò soddisfacente, e accantonò.
Poi all'improvviso Paolo VI dice a Journet: "Preparatemi voi uno schema di ciò che voi pensate debba essere fatto".
Tornato in Svizzera, Journet riferisce la richiesta del papa a Maritain. E questi, all'inizio del nuovo anno, mentre è a Parigi, redige un progetto di professione di fede. Lo termina l'11 gennaio 1968 e il 20 lo invia a Journet. Che il giorno dopo lo trasmette a Paolo VI.
Dalla corrispondenza tra il teologo e il filosofo risulta che il testo elaborato da Maritain voleva essere soltanto una traccia che fosse d'aiuto a Journet. Ma è quest'ultimo che, di sua iniziativa, inoltra il testo al papa, senza aggiungervi nulla. A giudizio di Journet, in esso già trovavano risposta tutti i dubbi sollevati dal Catechismo olandese e da altri teologi contestatori su dogmi quali il peccato originale, la messa come sacrificio, la presenza reale di Cristo nell'eucaristia, la creazione dal nulla, il primato di Pietro, la verginità di Maria, l'immacolata concezione, l'assunzione.
Il 6 aprile arriva da Roma una lettera del teologo domenicano Benoît Duroux, consulente della congregazione per la dottrina della fede. Elogia il testo di Maritain e lo correda con alcuni commenti, che Journet interpreta come provenienti dallo stesso Paolo VI. Il quale a sua volta invia al cardinale un breve biglietto di ringraziamento.
Poi più nulla. Il 30 giugno 1968 Paolo VI pronuncia solennemente in piazza San Pietro il Credo del popolo di Dio. Maritain lo viene a sapere solo il 2 luglio, leggendo un giornale. Dalle citazioni, intuisce che il Credo pronunciato dal papa coincide ampiamente con la traccia scritta da lui.
E in effetti è così. Tra le poche variazioni, ce n'è una che riguarda gli ebrei e i musulmani.
In un passaggio, Maritain aveva citato esplicitamente la comune testimonianza che israeliti e islamici rendono all'unità di Dio insieme ai cristiani. Nel suo Credo, invece, Paolo VI rende grazie alla bontà divina per i "tanti credenti" che condividono con i cristiani la fede nel Dio unico, ma senza citare in forma esplicita l'ebraismo e l'islam.
Negli anni Cinquanta, Maritain fu vicino ad essere condannato dal Sant'Uffizio per il suo pensiero filosofico, sospettato di "naturalismo integrale". La condanna non scattò anche perché ne prese le difese Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, all'epoca sostituto segretario di stato, legato da lunga amicizia con il pensatore francese.
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