ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 18 aprile 2016

Ma questo è ancora niente !?

Comunione ai divorziati risposati, preti e vescovi in corsa per arrivare primiNella diocesi di Bergamo ci si vanta di usare questa prassi già da anni. Nelle Filippine invece è la Conferenza Episcopale che ordina la "comunione per tutti" e da subito per seguire le indicazioni di Amoris Laetitia. Ma il peggio deve ancora arrivare: sarà la "caccia" ai preti che, malgrado tutto, non intendono venir meno a ciò che la Chiesa ha sempre insegnato. Per loro è già pronta la gogna mediatica, come in un recente caso in diocesi di Pistoia. 
Ostie
«Da “artigianato locale” a prassi della Chiesa». Così il settimanale della diocesi di Bergamo, Sant’Alessandro, con una sintesi efficace brinda alla comunione ai divorziati risposati. Finalmente «alla luce del sole», esulta monsignor Alberto Carrara, il parroco che ha firmato l’articolo. Alla luce del sole in realtà sta venendo tutta quella parte di Chiesa che in questi anni se ne è fregata altamente delle indicazioni pastorali oltre che dottrinali stabilite dal magistero. Come abbiamo già scritto alcuni giorni fa, non sorprende dopo decenni di magistero parallelo insegnato in seminari e università pontificie. Forse un po’ sorprende la velocità con cui escono fuori coloro che ormai si sentono profeti della “nuova Chiesa”, che la vivevano già tanto tempo prima dell’attuale pontificato. 

E meno male che sabato, tornando dall’isola di Lesbo, rispondendo alla domanda di un giornalista papa Francesco se l’è presa con i media che hanno ridotto l’evento dei sinodi a un referendum sulla comunione ai divorziati risposati. Il Papa dovrebbe guardare piuttosto a preti e vescovi impegnati in una gara a chi rivela per primo di aver già dato la comunione ai divorziati risposati e a chi ne ha date di più. Come se si stessero disputando il Gran Premio della Misericordia. Non solo la diocesi di Bergamo; all’indomani della pubblicazione dell’esortazione apostolica era stato don Giovanni Cereti, sacerdote genovese trapiantato a Roma, in una intervista al Quotidiano Nazionale ad affermare orgoglioso che lui lo fa già da 40 anni. Don Cereti è l’autore di un vecchio libro sessantottino su “Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva”, ristampato per l’occasione alla vigilia del doppio Sinodo, facendo la fortuna dei sostenitori della “Comunione per tutti”.

E ancora: nelle Filippine è addirittura la Conferenza episcopale a correre: «La Misericordia non può aspettare», afferma in una lettera a tutti fedeli dell’arcipelago il presidente della Conferenza episcopale Socrates Villegas. Seguiranno direttive concrete da parte dei vescovi però intanto «già fin d'ora vescovi e preti devono aprire braccia accoglienti a coloro che si sono tenuti fuori dalla Chiesa per un sentimento di colpa e di vergogna. Il laicato deve fare lo stesso».

E casomai più che con i giornalisti in generale, il Papa dovrebbe prendersela con quelli chequalcuno ha chiamato “i turiferari”, e anche con i suoi collaboratori più stretti che da due anni impongono ai giornalisti il tema della comunione ai divorziati risposati. E lo hanno fatto anche all’indomani della pubblicazione dell’esortazione apostolica, per essere sicuri che il messaggio passasse chiaramente (leggere qui per una selezione degli interventi al proposito). È proprio così scandaloso sospettare che alla fin fine i due anni e mezzo di dibattito sulla famiglia servissero proprio a promuovere tale prassi?
Non sorprende perciò che lo stesso monsignor Carrara citato all’inizio si sia stupito del rumore provocato dal suo articolo. E nella replica, tra le altre cose, racconta i suoi colloqui con coppie di divorziati risposati, che vale la pena riprendere perché spiega meglio di qualsiasi altro discorso il valore che certo clero dà ai sacramenti: 
«Molte volte ho incontrato persone che erano passate a nuovo matrimonio. Con loro facevo un discorso pressappoco così. “Il tuo matrimonio, il primo, quello che è fallito, è indissolubile. Questo è scritto nel vangelo. Non ce l’hai fatta a viverlo fino in fondo: vivere come una sola carne non è cosa facile, lo so perché me lo ripetono anche quelli che non si separano, e vivere così per tutta la vita è difficile”.
“Ma è stato lui a andarsene via con la segretaria…”, mi rispondevano; “Ma vivere insieme era diventato un inferno”, “Saremmo stati costretti a fingere per tutta la vita”… Ascoltavo. Spesso ritornavano lacrime.
Continuavo: Tu protesti perché la Chiesa ti esclude dai sacramenti. Permetti che anche la Chiesa abbia qualche difficoltà a decidere, con quel vangelo in mano? Vedi tu. Puoi anche vivere la tua fede senza confessarti e fare la comunione, sei cristiano, sei cristiana a tutti gli effetti.
“Scusa, però, perché allora insistete tanto sull’eucarestia?”. Ascoltavo. Non riuscivo a rispondere perché quell’obiezione, in fondo, la facevo anch’io a me stesso, alla Chiesa di cui, in quel momento, ero visto come rappresentante in qualche modo ufficiale. Mi sentivo come sdoppiato, insieme accusatore e accusato.
Continuavo: “Ma, secondo me, puoi anche decidere di accostarti ai sacramenti. Ti do l’assoluzione. Non significa però che il problema è risolto. Resta sospeso. Soltanto, in coscienza, da prete, mi pare di non poterti dire che sei condannato per tutta la vita. Tu ti assumi la responsabilità di chiedere l’assoluzione, io di dartela. E aspettiamo con fiducia”.
Dopo aver dato quell’assoluzione mi sentivo sempre assolutamente tranquillo. Ho sempre pensato che, se andrò all’inferno, non sarà certo per quelle assoluzioni. Sarò forse pretenzioso ma mi sembra che la Chiesa, alla fine, mi ha dato ragione».
Ma questo è ancora niente. Perché ora si apre anche la caccia ai preti che invece non ritengono di dare la comunione a chi convive o si è risposato dopo un primo matrimonio. Ilformat è già collaudato: il prete fa un discorso generale, alla singola coppia o ad un gruppo, qualcuno comincia a lamentarsi delle idee retrograde e senza misericordia del parroco, c’è sempre un giornalista pronto a raccogliere gli sfoghi dei “discriminati” dal prete, e il caso è bello che montato. Segue linciaggio mediatico del prete e - in molti casi - la presa di distanza del proprio vescovo.

Il format è già diventato operativo ancor prima dell’esortazione apostolica: a suo tempo riportammo il caso del sacerdote di Cameri, diocesi di Novara, ma più recentemente a farne le spese è stato il parroco di Montemurlo, nella diocesi di Pistoia. Padre Maurizio Vismara, brianzolo e religioso betharramita, si è visto dedicare una pagina dal quotidiano locale Il Tirrenoperché a una riunione di genitori con bambini che si preparano alla Prima comunione, ha detto che non avrebbe potuto dare la comunione a coloro che erano in situazioni irregolari. Uno dei presenti ha creato il caso su cui il giornale è andato ovviamente a nozze. Ma è solo un assaggio. Nei prossimi mesi ne vedremo delle belle. E magari anche l’annuncio ufficiale del prossimo obiettivo: il celibato dei sacerdoti. Forse che anche questo non potrà essere definito un ideale, ma un giogo troppo pesante per tanti preti comuni?

di Riccardo Cascioli
18-04-2016
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-comunione-ai-divorziati-risposatipreti-e-vescovi-in-corsa-per-arrivare-primi-15898.htm

Il peccato più grave che si possa commettere



Non esiste atto più grave di quello di ricevere il Corpo e Sangue di Gesù Cristo in stato di peccato mortale, cioè privo della grazia santificante. Si chiama tecnicamente sacrilegio, cioè il mettere insieme Cristo e satana. Un atto di una gravità inaudita che dovrebbe far rabbrividire chiunque abbia una minima percezione del valore infinito che ha una sola Ostia consacrata. Su questo purtroppo dovremmo imparare dai nemici della fede: i satanisti credono molto più di noi al dogma della presenza reale di Gesù Cristo nell'ostia e nel vino consacrati, tanto che spendono molte energie per riuscire a impossessarsi delle particole per i loro maledetti riti. Si è perso il senso della presenza reale e questo anche a causa della pratica di dare la comunione in mano. Senza genuflessione, senza riverenza, senza adorazione, quel pane viene dato come fosse un cibo qualunque e la persona non è aiutata nel comprendere il grande "mistero della fede" che c'è dietro quelle semplici apparenze. In una celebrazione eucaristica la stragrande maggioranza dei fedeli si accosta alla Santa comunione e ben pochi di loro si sono visti accostarsi al confessionale prima di mettersi in fila per il sacramento eucaristico. Bontà vuole che si dia per scontato che si siano confessati a porte chiuse quando non li si poteva vedere, ma il senso di allarme rimane: si rendono conto le persone oggi a quale grave rischio vanno incontro? Il rischio di ricevere quel pane e vino essendo privi della condizione fondamentale perché quel pane e vino non diventino veleno ma siano cibo che dona la vita: essere in grazia di Dio. Essere in comunione con Dio! Come può una persona che non è in comunione con Dio andare a ricevere la "comunione"? Non può evidentemente! Per perdere la grazia santificante basta commettere un solo peccato mortale! Non sarebbe azzardato affermare che oggi le chiese sono piene di sacrilegi! Non si considera che il sacrilegio attira i castighi di Dio già in questa vita e che per riparare un solo sacrilegio bisognerebbe fare molta penitenza! Quanti hanno questa percezione che un tempo era quanto meno scontata? La situazione appare davvero disastrosa! La speranza viene dal coraggio dei fedeli e dei sacerdoti che amano il sacramento dell'Eucaristia, che danno
il buon esempio, che si alzano a gridare contro il peccato di sacrilegio. La speranza viene dai fedeli che scelgono di inginocchiarsi per ricevere il Salvatore, andando contro il maledetto rispetto umano che porta al peccato di accidia e di irriverenza. La speranza viene dal coraggio dei pastori che scelgono di non dare più il sa rarissimo corpo del Signore in mano, ma che scelgono di permettere - come e loro diritto - ai fedeli, di ricevere il salvatore in ginocchio e in bocca, adorandolo e mostrandoGli tutto il loro amore. Questa è la speranza della chiesa, la speranza di chi ama L'EUCARISTIA, la speranza di chi scrive...

"La ricezione indegna del suo corpo e del suo sangue e' certamente il più grande dolore del redentore" (Papa Benedetto XVI Via crucis 2005)

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