L’Amoris Laetitia come nuova inculturazione (terza e ultima parte)
La bestemmia contro Dio è formalizzata e pubblicata, dopo che la Sua legge è stata da tempo disattivata con l’arma impropria della misericordia, buona per fare piazza pulita di verità e giudizio, di legge morale e principio di creazione, di tutto quello che da sempre è al servizio dell’uomo.
di Patrizia Fermani
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Abbiamo chiuso la seconda parte di questo studio sulla AL con la frase: “Seguono pagine di moralismo vario che assume spesso sfumature di involontaria comicità”. Vediamole, partendo n. 78) in cui si raccomanda la cura pastorale verso quelli che convivono, in quanto “emarginati”. Sulla emarginazione di costoro si tornerà infatti al n. 212, quando verrà approfondito il tema cruciale, già affrontato dal Sinodo, del prezzo dei festeggiamenti nuziali che impedisce alle coppie di fatto di diventare coppie di diritto. L’ emarginazione, colpisce come è noto anche le convivenze “alternative” in stile Charasma, alle quali tuttavia pare non mancare almeno la dovuta cura pastorale vaticana.
In mezzo ad una lunga fornitura di norme di buona educazione ad usum delphini, si possono ora trovare profonde riflessioni sull’amore come quella del n.101, che citiamo a campione: “per amare gli altri occorre amare se stessi”, pensiero vintage di moda già ai tempi del ginnasio, e che fa il paio con l’altra del 107: “per perdonare gli altri dobbiamo perdonare noi stessi”.
Dopo altre cose dello stesso tipo in stile Alberoni prima maniera, sempre piuttosto imbarazzanti, si approda all’amore previo di Dio, che “offrendo sempre una nuova opportunità” esenta dalla osservanza di qualunque regola. È l’eterno ritorno di quel bel pensiero centrale di matrice luterana, che aiuta a spiegare ( n.111) il “dinamismo controculturale dell’amore” che tutto scusa: l’ambiguità sintattica tra ciò che per amore viene scusato e ciò che per amore deve essere scusato, previa chiamata in garanzia dell’incolpevole San Paolo, può riportare bene l’attenzione sulla inesistenza di una legge assoluta obbligante per tutti e sulla sua necessaria sostituzione con quella buona per tutti gli usi, dell’amore. Naturalmente, il tema che è il leit motiv predisposto a tutta l’opera, sarà ripreso nella sostanza nel fatidici finali numeri 304,305.
Ma intanto nei paragrafi successivi sale di intensità il tono di un sofferto lirismo profetico col quale viene cucinato un grande polpettone di psicologismo da parrucchiere, insieme alle più svariate banalità del progressismo autistico, fino alla celebrazione sadicamente ripetitiva dell’eros quale essenza stessa della unione matrimoniale nella forma del dono.
Si entra cioè in pieno nello spazio riservato all’erotismo, eletto a condizione essenziale dello stesso istituto matrimoniale. Sul registro sentimentale femminile dell’amore donato con l’offerta di sé, viene innestato stabilmente l’elemento erotico, già cantato da Charamsa davanti al proprio oggetto del desiderio in una indimenticabile conferenza stampa vaticana. Insomma, quello che gli spagnoli chiamano el amor brujo. E di desiderio immagato questo esaltante testo parla per interi estenuanti paragrafi, perché l’eros tutto scusa, tutto spera, tutto si aspetta … La sezione porta addirittura il titolo, forse inedito per un documento pontificio, “AMORE APPASSIONATO”, e subito si precisa, nientemeno, che un amore senza piacere né passione, non è sufficiente a “simboleggiare l’unione del cuore umano con Dio”. A scorno di quel trovatore che amò perdutamente la dama che non aveva mai veduta di persona.
Tuttavia dopo digressioni varie su istinti ed emotività, si approda a questa interessante teorizzazione: “bisogna avere la libertà per accettare che il piacere trovi altre forme di espressione (?) nei diversi momenti della vita, secondo le necessità del reciproco amore”, per cui bisogna, sulla scia dei maestri orientali, “non rimanere prigionieri di un’esperienza molto limitata che ci chiuderebbe le prospettive” in vista della dilatazione del desiderio… il testo appare chiaro e quindi non richiede commenti di sorta. Ma è evidente che in caso di dubbio potremo ricorrere alla autorità di Renato Zero, noto cultore di allargamenti della coscienza e dilatazioni del desiderio…
Al n.150 leggiamo che “l’erotismo più sano, sebbene sia unito ad una ricerca di piacere, presuppone lo stupore(!) e perciò può umanizzare gli impulsi”, mentre il n. 157 è tutto concentrato di nuovo su sessualità ed erotismo. Non manca però un excursus sulle deviazioni sessuali che onestamente devono essere riconosciute come tali, ci mancherebbe! Ma poi con il colpo di reni col quale uno si solleva dall’acqua per issarsi all’asciutto sul pattino, l’autore subito corregge il tiro affermando che “tuttavia il rifiuto delle distorsioni della sessualità e dell’erotismo non dovrebbe mai condurci a disprezzarli o trascurarli” (sessualità ed erotismo, beninteso). Insomma, guai a buttare via il bambino con l’acqua sporca, sennò va a finire che si torna alla sessuofobia e di lì alla promozione della castità il passo è breve.
Ma oramai il discorso ha preso di nuovo quota e dopo un ennesimo ritorno sulla donazione gratuita, auspicabile forse anche nel libero mercato dell’amore esentasse, arriva la giusta rivendicazione del diritto al soddisfacimento delle proprie necessità. Infatti avverte ancora l’autore, “ognuno non può solo donare, deve anche ricevere”, perché “bisogna ricordare che l’equilibrio umano è fragile”, cioè la carne è debole e non di solo pane vive l’uomo, come pure la donna. Insomma, ci vanno di mezzo l’equilibrio e anche la giustizia distributiva; e questo si che è parlare chiaro, altro che il si si no no del precettino evangelico.
Insomma, se hai dato generosamente qualche soddisfazione sessuale al partner è giusto che tu abbia in cambio il tantundem eiusdem generis et qualitatis, come dicono i legulei. E una volta poste le premesse, occorre tirare anche le estreme conseguenze: l’autore guarda lontano, anzi guarda l’orologio della vita, visto che il tempo è superiore allo spazio, e si rende conto che quando uno degli oggetti del desiderio invecchia in costanza di matrimonio, e non è più in grado di soddisfare le necessità erotiche dell’amato/a, questo/a , forte delle proprie esigenze insoddisfatte, a buon diritto finisce per soddisfarle altrove.
Pare che questo paragrafo sia stato letto con sollievo anche dalle parti di Alleanza Cattolica. Anche se non è il caso di riportare per esteso una famosa storiella sui rapporti matematici che regolano le tardive relazioni extraconiugali, è il caso di ricordare a Charamsa che forse anche lui ha fatto i conti senza l’oste, e non ha considerato che il tempo è superiore allo spazio.
In mezzo a tante aperture di credito anche all’eros extramatrimoniale, troviamo una sezione apposita che porta il titolo FECONDITA’ ALLARGATA” e che viene subito spiegata al n.178 secondo l’insegnamento di Aparecida 2007, richiamato in nota : “la maternità non è una realtà esclusivamente biologica”. Naturalmente Il pensiero corre commosso alla maternità di Niki Vendola e a quella di Elton John, esempi accertati di maternità non biologica.
Il tema delle corna verrà ripreso e completato nella parte dedicata alle crisi della famiglia e in particolare al numero 237 dove si fa riferimento esplicito “alla attrazione per un’altra persona” che, per un cattivo impiego della sintassi, al numero 238 sembra diventare il “nuovo compagno di strada”, oggetto di “ una scelta matura”. Ma questi sono solo gli scherzi giocati dall’uso disinvolto del linguaggio nuovo alla portata di tutte le borse, che piace all’arcivescovo di Vienna.
Se poi le corna fanno male a chi le porta , non è detto che esse non dipendano da un’antica sofferenza da parte di chi le conferisce. Infatti al n. 239 si concede che le corna possano essere il frutto ritardato di frustrazioni precoci, quelle che invero sembravano un po’ dimenticate e delle quali finalmente si torna a parlare. Gli abbandonati, per qualunque causa, psicologica o meno, originaria o avventizia, devono essere “accompagnati”, e devono essere rese più accessibili le procedure per le cause di nullità. Insomma, se costoro sono proprio inconsolabili, meglio curarli con i più aggiornati rimedi offerti dalla chiesa.
Per ricapitolare, vuoi perché la carne è comunque debole, vuoi perché il tempo è superiore allo spazio, se viene meno l’ attrazione sessuale non ci sono buoni motivi per mantenere in piedi il vincolo matrimoniale, e il robusto realismo iberico piemontese surclassa persino quello dei pur pragmatici romani che giustificavano pudicamente il divorzio informale col venir meno della maritalis affectio..
A questo punto, dopo tanto girare intorno all’eros che da solo giustifica e regge il matrimonio, si approda felicemente e liberamente all’amore omosessuale, ai cui cultori devono essere forniti “gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita” (250). In attesa che la chiesa presenti il proprio programma dettagliato di aiuti, come sappiamo il parlamento ha già provveduto a formulare il proprio e soprattutto ad accogliere il principio bergogliano per cui è l’amore che fa il matrimonio.
Invece per quanto riguarda la piena comprensione della volontà di Dio in materia, possiamo solo auspicare un prossimo sinodo presieduto da Fausto Bertinotti che, folgorato sulla via di Damasco, ha già cominciato ad evangelizzare le genti con la lettura pubblica itinerante della “laudato sì,” e nei lucidi intervalli sta scrivendo la prima lettera ai cagliaritani, gente rude, e, pare, ancora refrattaria alle novità continentali.
Sempre in vista di un ulteriore approfondimento del tema, non manca a questo punto uno sguardo amorevole alle famiglie monoparentali che hanno origine spesso da madri e padri “biologici”(n.252). Dei padri e madri non biologici non è dato sapere, perché qui la prosa bergogliana si tace..
Dopo nuove lezioni di bon ton famigliare, e una nuova impennata speculativa nientemeno che sul tema della libertà, ecco finalmente il colpo d’ala (267): “la dignità umana esige che ognuno agisca secondo scelte consapevoli e libere” , “mosso cioè e determinato da forti convinzioni personali”. Dove appare chiaro che siano bastate le forti convinzioni personali a fornire dignità alla signorina Ciccone in arte Madonna come a Jack lo squartatore, a Monica Cirinnà che per “portarle avanti”, giura sui propri cani, come a Niki Vendola, per non parlare del fu Mario Mieli. Anche Pol Pot ebbe forti convinzioni personali, ma il libero pensatore per eccellenza è, bisogna riconoscerlo, proprio Jorge Mario Bergoglio, che le ha tanto personali le idee da poterle mettere in contraddizione con tutta la dottrina cattolica. Un lusso che neppure Bonifacio VIII si concesse e che pure per molto meno fu infilato prematuramente nella fossa infernale in una posizione scomodissima dal nostro stizzoso Poeta.
Tuttavia si vola alto per poco, perché nel frattempo, è stato aperto il capitolo sulla educazione, che, dopo un’altra dose di pedagogia alla portata di tutte le teste, approda finalmente col n. 280) ad un categorico “Si all’educazione sessuale”. La lodata novità del linguaggio risulta comprovata, la sua suggestiva icasticità pure.
Che cosa significhi e a che cosa miri l’educazione sessuale sottratta manu militari alla famiglia, e affidata all’esercito degli operatori psico sanitari di regime, perché avviino il fanciulli alla pornografia omosessista passando per l’abbattimento degli” stereotipi di genere”, non lo sa soltanto l’autore della A.L. Oppure lo sa benissimo, come vedremo subito.
Infatti dopo alcune generose raccomandazioni circa il rispetto del pudore dei fanciulli, contro gli eccessi educativi a proposito del “sesso sicuro”, e sulla serietà da impiegare in genere nella trattazione della delicata materia, arriva la botta al cerchio che va in senso contrario a quella data qualche pagina addietro alla botte. Infatti, se è vero che al n. 56 si era condannato il gender (che nonostante le smentite della Giannini, pare dunque tornato ad esistere per disposizione pontificia), qui si dice in scioltezza che “maschile e femminile non sono qualcosa di rigido”. Per chiunque abbia orecchiato la grammatica perversa con cui è stata messa in campo nei programmi scolastici l’idea del sesso fluido e manipolabile a piacimento secondo libertà, la proposizione appare di una chiarezza insuperabile. Ed è anche noto come l’idea demenziale venga fatta passare per quella che serve a liberare l’uno o l’altro sesso dagli “stereotipi di genere”. Questi, vale ricordarlo ancora una volta, secondo la vulgata progressista e, come abbiamo visto sopra, ora anche vaticana, inchioderebbero soprattutto le donne agli asfittici ruoli legati alla maternità e alla conduzione famigliare. E’ evidente come qui entri in funzione ancora ancora una volta il gioco di prestigio, che serve ad accomunare attraverso una stupefacente falsificazione della realtà, una fantomatica “ discriminazione”ai danni della donna occidentale(!), e quella altrettanto immaginaria degli omosessuali, in modo da fare rientrare fantasiosamente entrambe le categorie nella logica della lotta di classe. Su questo stesso tranello linguistico e concettuale le associazioni lgbt consustanziali al governo hanno costruito il loro potere e hanno imbastito i programmi educativi della buona scuola renziana, imposti come obbligatori. Ora la cancelleria vaticana vi omologa ufficialmente l’educazione cattolica e si appresta a propinarla a tante famiglie ancora ignare di questa manovra avvolgente. Le stesse famiglie hanno addirittura il compito di costituirsi come soggetto “dell’azione pastorale” (n. 290) … attraverso “l’apertura alla diversità delle persone”. Lgbt. Uber alles.
Dunque anche sul fronte educativo un dogma costruito dalla politica diventa criterio di comportamento morale munito del sigillo pontificio, in omaggio alla nuova inculturazione. Gli autori di questa truffa epocale, insieme ai complici e alle vittime ignare, aprono le porte di tutte le scuole ai nuovi predicatori esperti di c.d. “scienze” psicopedagogiche, e immancabilmente iscritti nel libro mastro del progressismo, dei diritti, delle libertà di cui è tenutaria la nota signora che abita a Bruxelles.
A ritmo di tango la “misericordia immeritata, incondizionata e gratuita” (297) di cui si era autoinsignito Lutero conduce trionfalmente alla consacrazione ufficiale della morale di situazione.
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Conclusioni e ricapitolazione .
Con i paragrafi 304 e 305 si chiude virtualmente il cerchio in cui vengono stritolate morale e dottrina cattoliche, passando per matrimonio e famiglia o prendendo essi a pretesto, con buona pace di chi, avendo letto poco o nulla di questo inquietante manifesto della ideologia bergogliana, lo va proponendo a destra e a manca come la rassicurante ciambella di salvataggio per una società in crisi e per tanti spiriti dubbiosi. Vale solo la pena di osservare come qui venga persino esibito San Tommaso, che viene estratto dal cappello per attribuirgli, con goliardica impudenza, il pregio di essere il precursore della nuova teologia vaticana incentrata sulla cancellazione proprio di quella teologia della legge naturale divina di cui è considerato il principale esponente. E viene da pensare che gli estensori dell’A.L. riuniti intorno al tavolo per cesellarne i particolari si siano anche divertiti non poco, proprio come ci si diverte a confezionare un irridente papiro di laurea.
Qualche attenzione merita anche la estesa bibliografia che può essere definita, con una parola cara a Bergoglio, “autoreferenziale”, dal momento che per massima parte l’autore attinge alla propria “produzione”, ricorrendo cioè all’autorità di se stesso. Non manca però, sempre in evidente chiave goliardica, anche una innocua citazione di Roberto Bellarmino, oltre a quelle dell’Aquinate forse esibite anche ad pompam.
Ora, la carrellata fatta qui non ha ovviamente la pretesa di esaurire tutte le pieghe in cui si insinuano i venti di dottrina che spirano dalle parti di Santa Marta. Un capitolo a sé andrebbe dedicato ad esempio, a quello che, oltre a quanto si può trovare nel testo, dal testo manca invece vistosamente o viene liquidato in poche righe destinate a scomparire nelle nubi dense delle parole inutili. Infatti se il tema della famiglia interseca necessariamente quello della creazione e quindi i fondamenti stessi della fede, non si vede come mai si sia tirata in ballo l’emigrazione nei termini che abbiamo visto, e sia stato dedicato all’aborto soltanto un cenno fuggevole. Segno che lì si è ritenuto di poter occupare impunemente un terreno politico favorevole, mentre qui viene abbandonato in balia della peggiore ideologia politica anarcoide e nichilista proprio quel principio di indisponibilità della vita umana, di cui chiunque volesse esercitare degnamente il proprio servizio sacerdotale, dovrebbe essere lo strenuo difensore. Il discorso vale a maggior ragione per la questione capitale della fabbricazione dell’uomo in laboratorio, che viene liquidata anch’essa con poche righe di circostanza laddove avrebbe dovuto occupare lo spazio riservato all’eros e dintorni.
Ma la ragione di queste omissioni sta evidentemente nel disprezzo per lo stesso principio della creazione, perché la nuova chiesa non crede al Dio di Gesù Cristo ma ad un dio generico a basso costo spirituale da usare all’occorrenza in funzione meramente rappresentativa. Non è il Dio della fede, ma neppure quello dei filosofi, che pure risponde ad esigenze di ragione. Non per nulla in esordio (n.6) l’autore ha scritto: “comincerò con un’ apertura ispirata alle Scritture che conferisca un tono adeguato”. Cioè la Scrittura non è il punto di partenza obbligato, non è l’ “alfa e l’omega” della famiglia, ma un elemento che viene incontro ad esigenze di adeguatezza stilistica, di arredamento, quello che serve a creare l’ambientazione giusta.
Come si diceva all’inizio, la esortazione postsinodale era già scritta nel suo nucleo propositivo ben prima che il sinodo le fosse allestito intorno come si costruisce la coreografia sul copione di una commedia. Non c’era un canovaccio che consentisse libere interpretazioni. Il lancio pubblicitario doveva attirare l‘attenzione del pubblico che per suggestione e soggezione avrebbe applaudito in ogni caso, tanto per giustificare il costo del biglietto, anche qualora non avesse capito granché della trama e gli fosse sfuggito il senso di tante battute. Ma alla fine tornano utili ancora due osservazioni su questo marchingegno in cui forma e contenuto si compenetrano perfettamente secondo il noto canone della estetica crociana.
Quale sia lo spirito che ha animato il suo autore principale appare senza veli in quella immagine dei precetti evangelici che sono “pietre scagliate contro le persone”. In questa similitudine si dice in modo stupefacente, non solo che le norme morali vanno abbandonate per fare spazio a quella coscienza che equivale alla libertà di comportarsi come piace, ma addirittura che le leggi evangeliche sono un male perché fanno male, affliggono sadicamente gli uomini. La bestemmia contro Dio è formalizzata e pubblicata, dopo che la Sua legge è stata da tempo disattivata con l’arma impropria della misericordia, buona per fare piazza pulita di verità e giudizio, di legge morale e principio di creazione, di tutto quello che da sempre è al servizio dell’uomo.
Un ultimo breve cenno a parte merita poi la laboriosa costruzione del documento secondo una studiatissima logica di Marketing. Le proposizioni salienti e le intenzioni che le dirigono sono tutte immerse in dense nubi di parole a buon mercato, che suonano bene a qualunque orecchio e danno al tutto quel tono apparentemente dimesso, quella banalità soffusa, che mettendo a proprio agio chiunque, lo solleva dalla fatica di pensare e dalle ansie dell’abbandono. Ma nell’A.L. c’è anche una varietà di “stili”, preannunciata con soddisfazione nel prologo del documento, che in realtà dimostra la suddivisione dei compiti fra i diversi collaboratori incaricati, chi di soddisfare qualche esigenza culturale residua, anche di forma, del mondo cattolico (vedasi citazioni greche traslitterate che contrastano vistosamente con un lessico demagogicamente sciatto), chi di accontentare gli “operatori pastorali” fornendo loro le necessarie formule d’uso, chi di traghettare il gregge bendato dentro i nuovi pascoli, e di fustigare a sangue i recalcitranti. Una pluralità di stili e insieme una pluralità studiata di proposizioni contraddittorie, che dimostrano ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la funzione strategica di un documento al servizio di un freddo, ben calcolato, e irrinunciabile piano di guerra in vista della agognata e definitiva demolizione del cattolicesimo.
Insomma c’è del metodo in questa follia, e in questo metodo c’è ben più della follia.
di Patrizia Fermani
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Abbiamo chiuso la seconda parte di questo studio sulla AL con la frase: “Seguono pagine di moralismo vario che assume spesso sfumature di involontaria comicità”. Vediamole, partendo n. 78) in cui si raccomanda la cura pastorale verso quelli che convivono, in quanto “emarginati”. Sulla emarginazione di costoro si tornerà infatti al n. 212, quando verrà approfondito il tema cruciale, già affrontato dal Sinodo, del prezzo dei festeggiamenti nuziali che impedisce alle coppie di fatto di diventare coppie di diritto. L’ emarginazione, colpisce come è noto anche le convivenze “alternative” in stile Charasma, alle quali tuttavia pare non mancare almeno la dovuta cura pastorale vaticana.
In mezzo ad una lunga fornitura di norme di buona educazione ad usum delphini, si possono ora trovare profonde riflessioni sull’amore come quella del n.101, che citiamo a campione: “per amare gli altri occorre amare se stessi”, pensiero vintage di moda già ai tempi del ginnasio, e che fa il paio con l’altra del 107: “per perdonare gli altri dobbiamo perdonare noi stessi”.
Dopo altre cose dello stesso tipo in stile Alberoni prima maniera, sempre piuttosto imbarazzanti, si approda all’amore previo di Dio, che “offrendo sempre una nuova opportunità” esenta dalla osservanza di qualunque regola. È l’eterno ritorno di quel bel pensiero centrale di matrice luterana, che aiuta a spiegare ( n.111) il “dinamismo controculturale dell’amore” che tutto scusa: l’ambiguità sintattica tra ciò che per amore viene scusato e ciò che per amore deve essere scusato, previa chiamata in garanzia dell’incolpevole San Paolo, può riportare bene l’attenzione sulla inesistenza di una legge assoluta obbligante per tutti e sulla sua necessaria sostituzione con quella buona per tutti gli usi, dell’amore. Naturalmente, il tema che è il leit motiv predisposto a tutta l’opera, sarà ripreso nella sostanza nel fatidici finali numeri 304,305.
Ma intanto nei paragrafi successivi sale di intensità il tono di un sofferto lirismo profetico col quale viene cucinato un grande polpettone di psicologismo da parrucchiere, insieme alle più svariate banalità del progressismo autistico, fino alla celebrazione sadicamente ripetitiva dell’eros quale essenza stessa della unione matrimoniale nella forma del dono.
Si entra cioè in pieno nello spazio riservato all’erotismo, eletto a condizione essenziale dello stesso istituto matrimoniale. Sul registro sentimentale femminile dell’amore donato con l’offerta di sé, viene innestato stabilmente l’elemento erotico, già cantato da Charamsa davanti al proprio oggetto del desiderio in una indimenticabile conferenza stampa vaticana. Insomma, quello che gli spagnoli chiamano el amor brujo. E di desiderio immagato questo esaltante testo parla per interi estenuanti paragrafi, perché l’eros tutto scusa, tutto spera, tutto si aspetta … La sezione porta addirittura il titolo, forse inedito per un documento pontificio, “AMORE APPASSIONATO”, e subito si precisa, nientemeno, che un amore senza piacere né passione, non è sufficiente a “simboleggiare l’unione del cuore umano con Dio”. A scorno di quel trovatore che amò perdutamente la dama che non aveva mai veduta di persona.
Tuttavia dopo digressioni varie su istinti ed emotività, si approda a questa interessante teorizzazione: “bisogna avere la libertà per accettare che il piacere trovi altre forme di espressione (?) nei diversi momenti della vita, secondo le necessità del reciproco amore”, per cui bisogna, sulla scia dei maestri orientali, “non rimanere prigionieri di un’esperienza molto limitata che ci chiuderebbe le prospettive” in vista della dilatazione del desiderio… il testo appare chiaro e quindi non richiede commenti di sorta. Ma è evidente che in caso di dubbio potremo ricorrere alla autorità di Renato Zero, noto cultore di allargamenti della coscienza e dilatazioni del desiderio…
Al n.150 leggiamo che “l’erotismo più sano, sebbene sia unito ad una ricerca di piacere, presuppone lo stupore(!) e perciò può umanizzare gli impulsi”, mentre il n. 157 è tutto concentrato di nuovo su sessualità ed erotismo. Non manca però un excursus sulle deviazioni sessuali che onestamente devono essere riconosciute come tali, ci mancherebbe! Ma poi con il colpo di reni col quale uno si solleva dall’acqua per issarsi all’asciutto sul pattino, l’autore subito corregge il tiro affermando che “tuttavia il rifiuto delle distorsioni della sessualità e dell’erotismo non dovrebbe mai condurci a disprezzarli o trascurarli” (sessualità ed erotismo, beninteso). Insomma, guai a buttare via il bambino con l’acqua sporca, sennò va a finire che si torna alla sessuofobia e di lì alla promozione della castità il passo è breve.
Ma oramai il discorso ha preso di nuovo quota e dopo un ennesimo ritorno sulla donazione gratuita, auspicabile forse anche nel libero mercato dell’amore esentasse, arriva la giusta rivendicazione del diritto al soddisfacimento delle proprie necessità. Infatti avverte ancora l’autore, “ognuno non può solo donare, deve anche ricevere”, perché “bisogna ricordare che l’equilibrio umano è fragile”, cioè la carne è debole e non di solo pane vive l’uomo, come pure la donna. Insomma, ci vanno di mezzo l’equilibrio e anche la giustizia distributiva; e questo si che è parlare chiaro, altro che il si si no no del precettino evangelico.
Insomma, se hai dato generosamente qualche soddisfazione sessuale al partner è giusto che tu abbia in cambio il tantundem eiusdem generis et qualitatis, come dicono i legulei. E una volta poste le premesse, occorre tirare anche le estreme conseguenze: l’autore guarda lontano, anzi guarda l’orologio della vita, visto che il tempo è superiore allo spazio, e si rende conto che quando uno degli oggetti del desiderio invecchia in costanza di matrimonio, e non è più in grado di soddisfare le necessità erotiche dell’amato/a, questo/a , forte delle proprie esigenze insoddisfatte, a buon diritto finisce per soddisfarle altrove.
Pare che questo paragrafo sia stato letto con sollievo anche dalle parti di Alleanza Cattolica. Anche se non è il caso di riportare per esteso una famosa storiella sui rapporti matematici che regolano le tardive relazioni extraconiugali, è il caso di ricordare a Charamsa che forse anche lui ha fatto i conti senza l’oste, e non ha considerato che il tempo è superiore allo spazio.
In mezzo a tante aperture di credito anche all’eros extramatrimoniale, troviamo una sezione apposita che porta il titolo FECONDITA’ ALLARGATA” e che viene subito spiegata al n.178 secondo l’insegnamento di Aparecida 2007, richiamato in nota : “la maternità non è una realtà esclusivamente biologica”. Naturalmente Il pensiero corre commosso alla maternità di Niki Vendola e a quella di Elton John, esempi accertati di maternità non biologica.
Il tema delle corna verrà ripreso e completato nella parte dedicata alle crisi della famiglia e in particolare al numero 237 dove si fa riferimento esplicito “alla attrazione per un’altra persona” che, per un cattivo impiego della sintassi, al numero 238 sembra diventare il “nuovo compagno di strada”, oggetto di “ una scelta matura”. Ma questi sono solo gli scherzi giocati dall’uso disinvolto del linguaggio nuovo alla portata di tutte le borse, che piace all’arcivescovo di Vienna.
Se poi le corna fanno male a chi le porta , non è detto che esse non dipendano da un’antica sofferenza da parte di chi le conferisce. Infatti al n. 239 si concede che le corna possano essere il frutto ritardato di frustrazioni precoci, quelle che invero sembravano un po’ dimenticate e delle quali finalmente si torna a parlare. Gli abbandonati, per qualunque causa, psicologica o meno, originaria o avventizia, devono essere “accompagnati”, e devono essere rese più accessibili le procedure per le cause di nullità. Insomma, se costoro sono proprio inconsolabili, meglio curarli con i più aggiornati rimedi offerti dalla chiesa.
Per ricapitolare, vuoi perché la carne è comunque debole, vuoi perché il tempo è superiore allo spazio, se viene meno l’ attrazione sessuale non ci sono buoni motivi per mantenere in piedi il vincolo matrimoniale, e il robusto realismo iberico piemontese surclassa persino quello dei pur pragmatici romani che giustificavano pudicamente il divorzio informale col venir meno della maritalis affectio..
A questo punto, dopo tanto girare intorno all’eros che da solo giustifica e regge il matrimonio, si approda felicemente e liberamente all’amore omosessuale, ai cui cultori devono essere forniti “gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita” (250). In attesa che la chiesa presenti il proprio programma dettagliato di aiuti, come sappiamo il parlamento ha già provveduto a formulare il proprio e soprattutto ad accogliere il principio bergogliano per cui è l’amore che fa il matrimonio.
Invece per quanto riguarda la piena comprensione della volontà di Dio in materia, possiamo solo auspicare un prossimo sinodo presieduto da Fausto Bertinotti che, folgorato sulla via di Damasco, ha già cominciato ad evangelizzare le genti con la lettura pubblica itinerante della “laudato sì,” e nei lucidi intervalli sta scrivendo la prima lettera ai cagliaritani, gente rude, e, pare, ancora refrattaria alle novità continentali.
Sempre in vista di un ulteriore approfondimento del tema, non manca a questo punto uno sguardo amorevole alle famiglie monoparentali che hanno origine spesso da madri e padri “biologici”(n.252). Dei padri e madri non biologici non è dato sapere, perché qui la prosa bergogliana si tace..
Dopo nuove lezioni di bon ton famigliare, e una nuova impennata speculativa nientemeno che sul tema della libertà, ecco finalmente il colpo d’ala (267): “la dignità umana esige che ognuno agisca secondo scelte consapevoli e libere” , “mosso cioè e determinato da forti convinzioni personali”. Dove appare chiaro che siano bastate le forti convinzioni personali a fornire dignità alla signorina Ciccone in arte Madonna come a Jack lo squartatore, a Monica Cirinnà che per “portarle avanti”, giura sui propri cani, come a Niki Vendola, per non parlare del fu Mario Mieli. Anche Pol Pot ebbe forti convinzioni personali, ma il libero pensatore per eccellenza è, bisogna riconoscerlo, proprio Jorge Mario Bergoglio, che le ha tanto personali le idee da poterle mettere in contraddizione con tutta la dottrina cattolica. Un lusso che neppure Bonifacio VIII si concesse e che pure per molto meno fu infilato prematuramente nella fossa infernale in una posizione scomodissima dal nostro stizzoso Poeta.
Tuttavia si vola alto per poco, perché nel frattempo, è stato aperto il capitolo sulla educazione, che, dopo un’altra dose di pedagogia alla portata di tutte le teste, approda finalmente col n. 280) ad un categorico “Si all’educazione sessuale”. La lodata novità del linguaggio risulta comprovata, la sua suggestiva icasticità pure.
Che cosa significhi e a che cosa miri l’educazione sessuale sottratta manu militari alla famiglia, e affidata all’esercito degli operatori psico sanitari di regime, perché avviino il fanciulli alla pornografia omosessista passando per l’abbattimento degli” stereotipi di genere”, non lo sa soltanto l’autore della A.L. Oppure lo sa benissimo, come vedremo subito.
Infatti dopo alcune generose raccomandazioni circa il rispetto del pudore dei fanciulli, contro gli eccessi educativi a proposito del “sesso sicuro”, e sulla serietà da impiegare in genere nella trattazione della delicata materia, arriva la botta al cerchio che va in senso contrario a quella data qualche pagina addietro alla botte. Infatti, se è vero che al n. 56 si era condannato il gender (che nonostante le smentite della Giannini, pare dunque tornato ad esistere per disposizione pontificia), qui si dice in scioltezza che “maschile e femminile non sono qualcosa di rigido”. Per chiunque abbia orecchiato la grammatica perversa con cui è stata messa in campo nei programmi scolastici l’idea del sesso fluido e manipolabile a piacimento secondo libertà, la proposizione appare di una chiarezza insuperabile. Ed è anche noto come l’idea demenziale venga fatta passare per quella che serve a liberare l’uno o l’altro sesso dagli “stereotipi di genere”. Questi, vale ricordarlo ancora una volta, secondo la vulgata progressista e, come abbiamo visto sopra, ora anche vaticana, inchioderebbero soprattutto le donne agli asfittici ruoli legati alla maternità e alla conduzione famigliare. E’ evidente come qui entri in funzione ancora ancora una volta il gioco di prestigio, che serve ad accomunare attraverso una stupefacente falsificazione della realtà, una fantomatica “ discriminazione”ai danni della donna occidentale(!), e quella altrettanto immaginaria degli omosessuali, in modo da fare rientrare fantasiosamente entrambe le categorie nella logica della lotta di classe. Su questo stesso tranello linguistico e concettuale le associazioni lgbt consustanziali al governo hanno costruito il loro potere e hanno imbastito i programmi educativi della buona scuola renziana, imposti come obbligatori. Ora la cancelleria vaticana vi omologa ufficialmente l’educazione cattolica e si appresta a propinarla a tante famiglie ancora ignare di questa manovra avvolgente. Le stesse famiglie hanno addirittura il compito di costituirsi come soggetto “dell’azione pastorale” (n. 290) … attraverso “l’apertura alla diversità delle persone”. Lgbt. Uber alles.
Dunque anche sul fronte educativo un dogma costruito dalla politica diventa criterio di comportamento morale munito del sigillo pontificio, in omaggio alla nuova inculturazione. Gli autori di questa truffa epocale, insieme ai complici e alle vittime ignare, aprono le porte di tutte le scuole ai nuovi predicatori esperti di c.d. “scienze” psicopedagogiche, e immancabilmente iscritti nel libro mastro del progressismo, dei diritti, delle libertà di cui è tenutaria la nota signora che abita a Bruxelles.
A ritmo di tango la “misericordia immeritata, incondizionata e gratuita” (297) di cui si era autoinsignito Lutero conduce trionfalmente alla consacrazione ufficiale della morale di situazione.
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Conclusioni e ricapitolazione .
Con i paragrafi 304 e 305 si chiude virtualmente il cerchio in cui vengono stritolate morale e dottrina cattoliche, passando per matrimonio e famiglia o prendendo essi a pretesto, con buona pace di chi, avendo letto poco o nulla di questo inquietante manifesto della ideologia bergogliana, lo va proponendo a destra e a manca come la rassicurante ciambella di salvataggio per una società in crisi e per tanti spiriti dubbiosi. Vale solo la pena di osservare come qui venga persino esibito San Tommaso, che viene estratto dal cappello per attribuirgli, con goliardica impudenza, il pregio di essere il precursore della nuova teologia vaticana incentrata sulla cancellazione proprio di quella teologia della legge naturale divina di cui è considerato il principale esponente. E viene da pensare che gli estensori dell’A.L. riuniti intorno al tavolo per cesellarne i particolari si siano anche divertiti non poco, proprio come ci si diverte a confezionare un irridente papiro di laurea.
Qualche attenzione merita anche la estesa bibliografia che può essere definita, con una parola cara a Bergoglio, “autoreferenziale”, dal momento che per massima parte l’autore attinge alla propria “produzione”, ricorrendo cioè all’autorità di se stesso. Non manca però, sempre in evidente chiave goliardica, anche una innocua citazione di Roberto Bellarmino, oltre a quelle dell’Aquinate forse esibite anche ad pompam.
Ora, la carrellata fatta qui non ha ovviamente la pretesa di esaurire tutte le pieghe in cui si insinuano i venti di dottrina che spirano dalle parti di Santa Marta. Un capitolo a sé andrebbe dedicato ad esempio, a quello che, oltre a quanto si può trovare nel testo, dal testo manca invece vistosamente o viene liquidato in poche righe destinate a scomparire nelle nubi dense delle parole inutili. Infatti se il tema della famiglia interseca necessariamente quello della creazione e quindi i fondamenti stessi della fede, non si vede come mai si sia tirata in ballo l’emigrazione nei termini che abbiamo visto, e sia stato dedicato all’aborto soltanto un cenno fuggevole. Segno che lì si è ritenuto di poter occupare impunemente un terreno politico favorevole, mentre qui viene abbandonato in balia della peggiore ideologia politica anarcoide e nichilista proprio quel principio di indisponibilità della vita umana, di cui chiunque volesse esercitare degnamente il proprio servizio sacerdotale, dovrebbe essere lo strenuo difensore. Il discorso vale a maggior ragione per la questione capitale della fabbricazione dell’uomo in laboratorio, che viene liquidata anch’essa con poche righe di circostanza laddove avrebbe dovuto occupare lo spazio riservato all’eros e dintorni.
Ma la ragione di queste omissioni sta evidentemente nel disprezzo per lo stesso principio della creazione, perché la nuova chiesa non crede al Dio di Gesù Cristo ma ad un dio generico a basso costo spirituale da usare all’occorrenza in funzione meramente rappresentativa. Non è il Dio della fede, ma neppure quello dei filosofi, che pure risponde ad esigenze di ragione. Non per nulla in esordio (n.6) l’autore ha scritto: “comincerò con un’ apertura ispirata alle Scritture che conferisca un tono adeguato”. Cioè la Scrittura non è il punto di partenza obbligato, non è l’ “alfa e l’omega” della famiglia, ma un elemento che viene incontro ad esigenze di adeguatezza stilistica, di arredamento, quello che serve a creare l’ambientazione giusta.
Come si diceva all’inizio, la esortazione postsinodale era già scritta nel suo nucleo propositivo ben prima che il sinodo le fosse allestito intorno come si costruisce la coreografia sul copione di una commedia. Non c’era un canovaccio che consentisse libere interpretazioni. Il lancio pubblicitario doveva attirare l‘attenzione del pubblico che per suggestione e soggezione avrebbe applaudito in ogni caso, tanto per giustificare il costo del biglietto, anche qualora non avesse capito granché della trama e gli fosse sfuggito il senso di tante battute. Ma alla fine tornano utili ancora due osservazioni su questo marchingegno in cui forma e contenuto si compenetrano perfettamente secondo il noto canone della estetica crociana.
Quale sia lo spirito che ha animato il suo autore principale appare senza veli in quella immagine dei precetti evangelici che sono “pietre scagliate contro le persone”. In questa similitudine si dice in modo stupefacente, non solo che le norme morali vanno abbandonate per fare spazio a quella coscienza che equivale alla libertà di comportarsi come piace, ma addirittura che le leggi evangeliche sono un male perché fanno male, affliggono sadicamente gli uomini. La bestemmia contro Dio è formalizzata e pubblicata, dopo che la Sua legge è stata da tempo disattivata con l’arma impropria della misericordia, buona per fare piazza pulita di verità e giudizio, di legge morale e principio di creazione, di tutto quello che da sempre è al servizio dell’uomo.
Un ultimo breve cenno a parte merita poi la laboriosa costruzione del documento secondo una studiatissima logica di Marketing. Le proposizioni salienti e le intenzioni che le dirigono sono tutte immerse in dense nubi di parole a buon mercato, che suonano bene a qualunque orecchio e danno al tutto quel tono apparentemente dimesso, quella banalità soffusa, che mettendo a proprio agio chiunque, lo solleva dalla fatica di pensare e dalle ansie dell’abbandono. Ma nell’A.L. c’è anche una varietà di “stili”, preannunciata con soddisfazione nel prologo del documento, che in realtà dimostra la suddivisione dei compiti fra i diversi collaboratori incaricati, chi di soddisfare qualche esigenza culturale residua, anche di forma, del mondo cattolico (vedasi citazioni greche traslitterate che contrastano vistosamente con un lessico demagogicamente sciatto), chi di accontentare gli “operatori pastorali” fornendo loro le necessarie formule d’uso, chi di traghettare il gregge bendato dentro i nuovi pascoli, e di fustigare a sangue i recalcitranti. Una pluralità di stili e insieme una pluralità studiata di proposizioni contraddittorie, che dimostrano ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la funzione strategica di un documento al servizio di un freddo, ben calcolato, e irrinunciabile piano di guerra in vista della agognata e definitiva demolizione del cattolicesimo.
Insomma c’è del metodo in questa follia, e in questo metodo c’è ben più della follia.
– di Patrizia Fermani.
(fine)Guida ragionata alla lettura di un documento proteiforme. Per leggere la prima parte, clicca qui; per la seconda parte, clicca qui .
AVVISO IMPORTANTE: sono stati commessi degli errori in fase di impaginazione e pubblicazione delle prime due parti di questo saggio e alcuni paragrafi non sono stati pubblicati. Invitiamo pertanto alla rilettura delle prime due parti – ora corrette – e porgiamo le nostre scuse agli amici lettori e all’Autrice.
PD
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