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giovedì 5 maggio 2016

La luna nel Pozzo?

Mons. Pozzo e la FSSPX – In cauda venenum
                      di Don Patrick de La Roche, FSSPX





Editoriale di Le Chardonnet, maggio 2016
foglio della parrocchia di Saint-Nicolas-du-Chardonnet (Parigi),
della Fraternità San Pio X 
pubblicato da La Porte Latine.

- I neretti sono del testo -
 


Dunque, è fatta. Mons. Fellay ha incontrato il Papa Francesco; dell’incontro egli  ha presentato ampi passaggi, sia in un comunicato sia nell’omelia pronunciata a Puy.
L’indomani di quest’incontro, la partita è continuata con Mons. Pozzo, vero maestro nelle relazioni che Roma intrattiene con la Fraternità San Pio X.


In seguito, nel giornale La Croix del 7 aprile, Mons. Pozzo ha sintetizzato le condizioni romane per una regolarizzazione canonica. Le sue affermazioni sono troppo importanti per non soffermarvisi.

In realtà, la dichiarazione è a prima vista sorprendente. Fino ad oggi, l’accettazione piena ed intera del Vaticano II era posta come criterio indispensabile di cattolicità. E fino ad oggi, la Fraternità San Pio X gridava all’ingiustizia: mai un testo riconosciuto come non infallibile ha potuto essere normativo per la fede.
Ora, è precisamente questa divergenza che sembra risolvere Mons. Pozzo, ammettendo apparentemente la giustezza dell’obiezione.

Riprendendo alla sua maniera i criteri tradizionali di cattolicità – «l’adesione alla Professione di Fede, il vincolo dei sacramenti e la comunione gerarchica con il Romano Pontefice (1) – Mons. Pozzo afferma che solo questi saranno costitutivi della dichiarazione dottrinale richiesta a tutti i membri della Fraternità. Ne consegue, a rigore di logica, che «Le difficoltà sollevate dalla FSSPX circa le questioni del rapporto Stato-Chiesa e della libertà religiosa, della pratica dell’ecumenismo e del dialogo con le religioni non cristiane, di alcuni aspetti della riforma liturgica … non costituiscono ostacolo per il riconoscimento canonico».
Ecco dunque, apparentemente desacralizzato il concilio Vaticano II, che tornerebbe ad essere oggetto di discussione piuttosto che oggetto a cui si deve aderire indispensabilmente. E questo appare nuovo.

Ma, ahimè, è solo un’apparenza. Poiché, ciò che Mons. Pozzo concede sulla professione di fede, lo riprende subito indietro, quando espone la sua concezione della comunione gerarchica: «alla FSSPX si chiede di accettare che al solo Magistero della Chiesa è affidato il deposito della fede per essere custodito, difeso e interpretato».
Interpretato: è in quest’ultima parola che risiede tutto il problema, in cauda venenum.

Se Mons. Pozzo aveva concesso che «il Concilio Vaticano II può essere adeguatamente compreso solo nel contesto dell’intera Tradizione della Chiesa e del suo costante Magistero», ecco che adesso aggiunge, in maniera implicita ma molto reale, che a sua volta la Tradizione può essere compresa (interpretata) solo alla luce del Vaticano II e degli insegnamenti posteriori. Si tratta della famosa – e fumosa – ermeneutica della continuità, nella quale avrebbe voluto costringerci l’inaccettabile dichiarazione dottrinale del 2012. Ammettere un tale criterio impedirebbe l’indispensabile rimessa in discussione delle affermazioni deleterie del Vaticano II. La discussione – rimandata a dopo – si limiterebbe dunque, per la stessa confessione di Mons. Pozzo, ad una semplice «chiarificazione» in vista di una migliore precisione.

Niente è dunque veramente cambiato nelle esigenze romane. Solo l’abilità si è affinata. Fuggendo l’indispensabile confronto dottrinale che disorienterebbe l’errore a profitto della verità salvatrice, si limita il dibattito all’“ermeneutica”. Non si tratta più di farci ammettere direttamente gli errori distruttivi del Vaticano II, ma solo di imporci di inforcare occhiali deformanti: accettare che gli errori diffusi dagli  attuali detentori della funzione magisteriale, errori spesso sblasfematori una volta condotti fino in fondo, errori che servono da forche caudine sotto le quali dovrebbe piegarsi l’insegnamento costante e spesso infallibile della Chiesa.
Questo, evidentemente, è impossibile, come diceva Mons. de Galarreta a gennaio nella sua conferenza a Bailly (2).

Certi obietteranno forse che noi non possiamo rimanere insensibili a tanta benevolenza romana. Senza voler minimamente entrare nelle intenzioni, si deve comunque constatare che una tale «benevolenza» è perlomeno interessata: Mons. Pozzo è riuscito a limitare il dibattito a delle semplici precisazioni o chiarificazioni, laddove può esserci solo rigetto dell’errore.
Per fare solo gli ultimi esempi in ordine di tempo: cosa sarebbero le semplici «precisazioni» di fronte alla radicale messa in discussione del mistero della Redenzione attuata da Benedetto XVI nel suo intervento reso pubblico il 16 marzo (3)?
Come potrebbero bastare delle semplici «chiarificazioni» a contrastare l’introduzione ufficiale del relativismo morale realizzata dalla recente istruzione post-sinodale Amoris laetitia? Impedire la denuncia di tali testi significherebbe semplicemente facilitare la proliferazione dell’errore, a grande detrimento della Chiesa, della sua fede e della sua morale, e a grande detrimento delle anime.

Si comprende allora il realismo di Mons. Fellay che afferma che ci vorranno senza dubbio degli anni. Poiché, se il tempo trascorso non è bastato a modificare sostanzialmente le condizioni di Mons. Pozzo, quanto ce ne vorrà per giungervi e ancor di più per riconoscere alla Fraternità San Pio X il suo diritto e dovere di denunciare sia gli errori sia i fautori dell’errore, condizionesine qua non posta dal Capitolo del 2012?

In breve: in fondo niente di nuovo sotto il sole romano sui rapporti con la Fraternità San Pio X.

Don Patrick de La Rocque, curato di Saint-Nicolas-du-Chardonnet (Parigi)

NOTE
1 – In un’intervista rilasciata all’agenzia Zenit l’8 marzo 2016, Mons. Pozzo parla di vincolo, inteso nel senso di elemento richiesto per appartenere alla Chiesa. Questo fa riferimento al Canone 205 del Codice di Diritto Canonico del 1983: «Su questa terra sono nella piena comunione della Chiesa cattolica quei battezzati che sono congiunti con Cristo nella sua compagine visibile, ossia mediante i vincoli della professione di fede, dei sacramenti e del governo ecclesiastico»
2 – Conferenza di Mons. de Galarreta del 17 gennaio 2016.
3 – Sandro Magister, rubrica Settimo Cielo, 18 marzo 2016: Joseph Ratzinger torna in cattedra.

http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1509_Don_de-La-Roche_In_cauda_venenum.html

1 commento:

  1. Mons Fellay: "ci vorranno degli anni" , cioe' anticipa i tempi aspettando.. il prossimo papa.

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