ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 12 maggio 2016

Spauracchi

Vladimir Putin, il grande populista

Poutin ed i vescovo di Mosca
di  Gianluca Savoini
Lo zar russo è guardato con benevolenza da tutti quei popoli e politici che non si riconoscono nelle lobbies del Nuovo Ordine Mondiale.
In principio svettava incontrastato Vladimir Putin. Cattivone per eccellenza, un misto di nazionalismo e di comunismo, un populista all’ennesima potenza che spaventava i benpensanti occidentali, cultori del buonismo politicamente corretto. Dall’inizio dell’anno ha scalato tutte le posizioni e raggiunto lo “zar” russo Mr. Donald Trump. Pur assomigliando poco o nulla al leader russo, il magnate Usa che sfida la signora Clinton per la Casa Bianca è lo spauracchio degli stessi che non perdono occasione di attaccare il Cremlino.

Entrambi, nella personalissima classifica stilata dai difensori ad oltranza del pensiero unico dominante, sono tallonati dai già notissimi Matteo Salvini, Marine Le Pen, il presidente ungherese Viktor Orban (quello del primo “muro”anti-immigrati), gli austriaci (ormai praticamente tutti), i tedeschi anti-Merkel di AfD (Alternativa per la Germania), e via elencando. Nella loro patetica caccia alle streghe populiste, politici e gazzettieri di sinistra, di centro e anche di certa destra tecnocratica (se hanno ancora un senso queste differenze oggi) hanno però colto nel segno. Tutti questi cattivoni rappresentano veramente la grande alternativa alla distruzione delle sovranità politiche, economiche, monetarie e culturali che ormai da decenni viene messa in atto dal pensiero globalista ed economicista e che ha avuto una drammatica accelerazione dopo la creazione dell’ Unione europea, nata sotto i migliori auspici e ben presto trasformatasi in un Moloch burocratico al servizio degli interessi della grande finanza e dei grupponi bancari.
Alla faccia dei poveri cittadini d’Europa. Contemporaneamente la struttura finanziaria e burocratica dell’Ue ha creato anche i cosiddetti “valori” da propagandare ovunque: niente identità cristiana, ma relativismo religioso (con grande simpatia nei confronti di tutte le altre religioni, in primis l’Islam):basta con la famiglia composta da uomo, donna e figli, ma avanti con le teorie gender; apertura e accoglienza indiscriminate agli immigrati e non soltanto ai veri profughi che fuggono dalle guerre; rilettura della storia e conseguente e penoso rifiuto di episodi importanti che invece di essere contestualizzati vengono demonizzati (come ad esempio le Crociate).
Nonostante mezzi e sforzi potentissimi per rimbecillire le masse e renderle assolutamente succubi di questa ideolgia buonista, in questa primavera dell’Anno Domini 2016, dopo 27 anni dalla caduta del Muro di Berlino e la proclamazione della vittoria del mercato globale, la situazione che si presenta agli occhi di tutti vede un’Europa percorsa da sempre più cittadini sfiduciati e ferocemente disgustati dall’Ue che votano i partiti identitari (e quindi definiti razzisti, populisti, fascisti. blablabla) come la Lega, il Front National, il Vlaams Belang, AfD, Fpoe, Fidesz e molti altri da est a ovest. C’è ancora chi non vuole vederlo, ma sta nascendo un’Europa dei popoli opposta all’Unione europea dei banchieri e delle burocrazie. E questa Europa non può che guardare alla Russia di Putin.
Un capo di stato che da anni ha risanato la Russia distrutta dal demenziale decennio di Boris Eltsin, le cui ricette economiche e sociali erano identiche a quelle intraprese dalle nostre parti, con risultati negativi evidenti. Putin è riuscito a riportare il suo paese sul grande scenario internazionale e al tempo stesso aricompattare il grande popolo russo intorno ai valori tradizionali che nemmeno 70 anni di bolscevismo e di dittatura erano riusciti a distruggere, ma che stavano soccombendo sotto i colpi del materialismo consumista, come scriveva il grande scrittore Aleksandr Soljenytsin. Oggi la Russia è il grande alleato dei popoli europei che vogliono risollevarsi dalla crisi che attanaglia il Vecchio continente. Per questo motivo Putin è in cima alla famosa classifica dei cattivoni populisti.
Ma è la novita’ di Donald Trump, che ha dichiarato la sua amicizia verso la Russia e dichiarato che da presidente Usa inviterà a cena proprio lo Zar Vladimir, che sta facendo dormire sonni ancora più agitati ai cantori del globalismo e del buonismo politically correct. Se anche negi USA, il prossimo novembre, la ridanciana Hillary Clinton dovesse restare come casalinga a fianco del vecchio Bill invece di traslocare alla Casa Bianca, allora saremmo di fronte ad un cambiamento epocale per gli equilibri di tutto il mondo. Ma in ogni caso il piano di creare il cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale, annunciato urbi et orbi anche da un presidente Americano all’inizio degli anni Novanta del secolo passato, si puo’ dire fortunatamente fallito. Adesso è di nuovo tempo di identità, di sovranità, di libertà.
Fonte: Kathon
Da 

http://www.controinformazione.info/vladimir-putin-il-grande-populista/#

MINE ITALIANE A PALMIRA: ADESSO E’ CHIARO CHI ARMA L’ISIS?

MINE ITALIANE A PALMIRA: ADESSO E’ CHIARO CHI ARMA L’ISIS?

di Fabio Massimo Castaldo*


Mi fa rabbia, ragazzi, devo proprio dirvelo. Sentire che le mine ritrovate nell’antica città di Palmira, in Siria, sono in buona parte di fabbricazione italiana. Non so se avete capito: proprio noi, l’Italia, produciamo ed esportiamo allegramente questi ripugnanti strumenti di morte che colpiscono spesso a caso vittime innocenti - civili, bambini!

La fonte della notizia è autorevole. Una nota ufficiale dell’International mine-clearing Center delle Forze Armate russe ci informa che durante le operazioni di sminamento - completate da pochi giorni in questa antica città romana ora liberata dal Califfato per opera dei russi - sono state ritrovate armi prodotte in vari Paesi, tra cui l’Italia: “Gli ordigni esplosivi più moderni utilizzati dallo Stato islamico per minare Palmira”, si legge nelle nota “sono stati realizzati in quattro nazioni: Italia, Usa, Russia e Cina”.
Lo Stato islamico (o Daesh in arabo) è un mostro: siamo d’accordo. Nell’area di Palmira i suoi miliziani avevano disseminato qualcosa come 180.000 esplosivi! Da dove vengono tutte queste armi? Sentite cosa ha detto il fondatore di EMERGENCY, Gino Strada, in una intervista recente: “Nei territori controllati dall’Isis esistono fabbriche di armi? Mi pare proprio di no: gliele vendiamo noi!”.
Basta dare un’occhiata ai numeri. Per esempio, i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri) ci dicono come negli ultimi anni si assista ad un aumento dell’export di armi verso il Medio Oriente, Arabia Saudita e Emirati Arabi in testa. Un flusso enorme di armi proveniente da Usa, Russia, Germania Francia e ovviamente Italia che poi magari finisce in mano all’Isis…
Ecco appunto. E’ proprio per questo che sono arrabbiato e amareggiato. E che voglio combattere contro l’export di armi. E contro l’ipocrisia dell’Occidente che arma l’Isis nei fatti anche se a parole dice di combatterla.



*Eurodeputato M5S. Post Facebook 11 maggio 2016 


L’Europa che si rende Dhimmiland


E’ accaduto in Svezia nell’estate del 2015, ma la notizia si è saputa solo adesso per i suoi strascichi giudiziari.
Una madre di tre figli, aperta e di sinistra, dunque favorevole alla “accoglienza”,  s’è messa in casa un profugo eritreo, Isaac.  Per fargli spazio, gli ha lasciato la stanza di sua figlia Emma, di dieci anni, portandola a dormire nella sua propria.
Il 18 agosto 2015, Emma ha cominciato a comportarsi stranamente: caduta in un mutismo assoluto,  pianti immotivati, insonnia notturna;  appena  posava lo sguardo su Isaac “sembrava aver paura di lui”. Alla mamma però la bambina non ha mai detto niente.  Solo parecchio tempo dopo s’è confidata con una amichetta di scuola: un mattino s’era svegliata con Isaac sopra, che le strizzava il seno. Il seno le ha fatto male per giorni e giorni.  Alla fine è venuta la verità: Isaac il profugo eritreo le aveva fatto “una cosa” di cui non sapeva nemmeno dire il nome.  Messo alle strette, Isaac prima ha negato (“Ho una fidanzata in patria”) poi ha  ammesso. Quando l’ha polizia l’ha interrogato, però, ha negato di nuovo di aver mai toccato Emma.

La “cosa”  è divenuta di pubblico dominio perché la mamma di Emma ha fatto causa  all’ente pubblico che le aveva raccomandato il profugo.  In Svezia, paese ordinatamente governato, “l’accoglienza”  non avviene a caso, senza supervisione e selezione. L’ente aveva assicurato che Isaac aveva 15 anni:  un fanciullo secondo i metri nordici (dove lo sviluppo sessuale tarda). Era stato lo stesso profugo a dichiarare quella età. Al giudice del distretto di Lund davanti al  quale la polizia lo ha dovuto portare, Isaac ha insistito: sì, ho quindici anni. Infatti ho cominciato la scuola in Eritrea quando ne avevo 10; ho frequentato la scuola per 7 anni;  però ho smesso 2  anni fa, sicché ne ho solo 15.
Il particolare bizzarro non è nell’aritmetica del furbone eritreo, probabilmente più  che ventenne; è nel fatto che il giudice di Lund ha preso per buono il calcolo di Isaac sancendo che effettivamente si tratta di un quindicenne. Il che ne fa’ un “minore  non accompagnato” giudiziariamente non punibile e meritevole della più materna assistenza pubblica. Invece della detenzione,   Isaac  è stato affidato alle dolci cure di psico-terapeuti, che cercheranno di diagnosticare per quale disturbo psichico un ragazzino di 15 anni  può violentare le bambine svedesi, onde cominciare una terapia, fondata su colloqui con lo psicologo. Il quale assicura: “Imparerà  controllare i suoi impulsi attraverso la rievocazione delle passate esperienze della sua vita che  l’hanno indotto a fare quel che ha  fatto”. Naturalmente, non è mai stata questione di espulsione. Isaac resta in Svezia a fruire dell’asilo.
Effettivamente  Isaac non ha colpa alcuna. S’è comportato come un giovanotto musulmano col testosterone al massimo in una terra che gli hanno insegnato è “di conquista”, e  dove le decenni è uno scandalo che non siano chiuse in casa e vadano in giro mostrando le gambe – il che ne fa’ delle violentabili perché  così le si educa alla modestia. La colpa è delle “autorità” svedesi, che  – per allucinazione –   hanno visto in Isaac uno svedese un po’ scuro: in ritardo di sviluppo, ben educato a reprimersi  dalla pruderieluterana vigente,  ligio al conformismo sociale  e alla raccolta differenziata,  pieno di gratitudine per la generosa “accoglienza”. La gratitudine è un sentimento  sconosciuto,   a cui il mondo coranico non prepara affatto; figurarsi poi la gratitudine  di un maschio verso donne kafir (due volte inferiori)   che lo provocano.

Dov’è finita l’Antropologia Culturale?

Lo stupretto (uno dei tanti) è evidentemente il malaugurato frutto di – come chiamarlo? – un “errore” nell’incontro fra due “culture” nel senso etnologico: e  non c’è dubbio che la responsabilità dell’equivoco è  assolutamente europea.  Perché  è qui, mica nell’Islam, che è nata l’antropologia culturale, lo studio comparato delle religioni e delle culture;  mica  è mai esistito un Mircea Eliade musulmano,  un Levy- Strauss   coranico con la curiosità di studiare sul posto il mondo interiore e la struttura sociale delle genti “altre”. Non hanno questa ambizione, i musulmani. Né hanno avuto i grandi viaggiatori ed esploratori, quelli che hanno visto il mondo non da un resort a 5 stelle, ma da una caravella puzzolente   che ha dovuto approdare perché  senza più acqua nei barili né porco salato nella stiva, che nei loro diari di navigazione han reso conto degli strani e feroci costumi delle tribù con cui venivano a contatto, scambiando doni ma con la spada sguainata e l’archibugio innescato.
Ora, accade questo: che tutti questi secoli di storia della navigazione, di curiosità, esclusivamente europea, per  i popoli della Terra; Magellano  morto nei Mari del Sud per un equivoco culturale, riportato dal suo attendente Pigafetta; i diari di Colombo e Vasco De Gama,  non sono serviti a nulla per l’ultima generazione di europei.     Non c’è università in Europa  che non sia piena di cattedre di Etnologia, Antropologia culturale, Storia delle religioni.  Ebbene, arrivano ondate di genti musulmane – e dai paesi più  diversi, ciascuno con la “sua” specifica cultura etnologica, tribale e familiare  –  e i nostri dirigenti e governanti suppongono che integrarli sia facile: basta metterli a lavorare alla VW e insegnare loro “i diritti” che la nostra civiltà gli fornisce.
Perché? Perché apparentemente, credono che sulla Terra, dovunque, esiste una sola civiltà:  quella standard occidentale,  uguale per tutti, in cui essi vivono.  Suppongono che sia già una realtà quella   omogeneizzazione che la globalizzazione, di cui si sentono agenti operativi, dovrebbe attuare nel mondo.   Come se  ogni giovane profugo musulmano  fosse qui con la voglia di entrare nella Erasmus generation, fosse secolarizzato come la nostra media, individualista e civico come noi.     Eppure hanno perfino viaggiato molto  più che le generazioni precedenti: ma certo, nel turismo di massa. Vedono Maldive e Bombay, Kenya e Honduras da un resort con piscina, da un hotel all inclusive, o i leoni dello Tsavo dal veicolo ad aria condizionata; dovunque trovano McDo   o  la loro pizza (la pizza-standard internazionale). Se hanno “contatti con la popolazione” è per un po’ di turismo sessuale etero ed omo, o procurarsi la dose di coca a metà prezzo. Insomma viaggiano con le proverbiali fette di salame, e tutto ciò che riportano è l’abbronzatura o,  al massimo,   un’infezione venerea.
dhimmi
La mia generazione ha ancora letto Tristi Tropici, Alexandra David-Neel, il nostro grande orientalista Tucci, Eliade: sembra che nelle biblioteche di chi pretende di governarci ci sia un buco. Nero.
E’ come se un’ala intera del grande edificio della cultura occidentale fosse stato abbandonato alla rovina, o ridotto ad una erudizione senza senso pratico. E non un’ala marginale, ma fondamentale: la curiosità   scientifica per le culture altre – “l’ardore”  dell’Ulisse di Dante a “divenir del mondo esperto, e de li vizi umani e del valore”  –  è precisamente  la forza faustiana che ha  fatto uscire  l’Europa dal Medio Evo verso la modernità.



Pakistan: la polizia è rispettata
Pakistan: la polizia è rispettata  così

Una tale crassa ignoranza nelle classi dominanti denuncia un vero arretramento della nostra civiltà. Di tale crassa ignoranza  “Francesco” dà quasi caricaturale testimonianza ogni volta che parla di “accoglienza”:  “Sì, si può  parlare oggi di invasione araba”, ha detto giulivo in una intervista a La Voix, ma “quante invasioni   l’Europa ha conosciuto nel corso della sua storia! E ha saputo sempre superarsi e andare avanti per trovarsi infine come ingrandita dallo scambio tra le culture.”  Se il poveretto intendeva le invasioni barbariche, non ha capito che  “lo scambio” è  avvenuto nella direzione inversa:  è stata la civiltà tardo-romana ad arricchire   i bestioni con la conversione, spesso l’imposizione, del cristianesimo. Se alludeva all’Islam, lo scambio  culturale è avvenuto per libri (le traduzioni arabe di testi greci perduti per la Cristianità occidentale) mentre in forma di “invasione”, lo “scambio”  è stato ostinatamente bloccato,  proprio perché si sentiva la fede islamica come irriducibile all’idea stessa di Europa.
Quando poi questa crassa ignoranza scende al livello delle assistenti sociali, dei volonterosi e dilettanti gestori dei “centri d’accoglienza”, dei funzionari  di polizia, del pubblico generale che subisce il primo impatto con le altre “culture”,  il suo effetto è aggravato dal ben noto elemento: il politicamente corretto.  Poliziotti e giudici hanno l’obbligo di presumere che lo stupratore eritreo, il clandestino pakistano,  il senza-documenti  afghano o  azero, siano “uguali a noi”. Con suppergiù la stessa formazione, le stesse ambizioni del ceto medio-standard, i medesimi  fini esistenziali dello studente omologato europoide; che senta la stessa lealtà  verso la “autorità” della loro uniforme , che capisca cosa significhi essere portato davanti a un magistrato e dire la verità….Perché se invece poliziotti e giudici osano trattarli in base alla loro “diversità” culturale, come richiede il “loro” senso di giustizia (che esige unabastonatura invece che i colloqui con lo psicologo, per non guadagnare il loro disprezzo), apriti cielo:  discriminazione! Xenofobia! Razzismo! Pretesa di appartenere a una civiltà superiore! Crudeltà e mancanza di Misericordia!
Così  una ragazza aggredita e palpata da quattro uomini (poveri profughi islamici) alla stazione orientale di Vienna mentre aspettava il treno, s’è sentita dire agli agenti: non sa che le donne non devono uscire da sole dopo le otto di sera? Specialmente non sui mezzi pubblici. E con quei capelli biondi, poi! Se  li tinga di nero. E non vada in giro così provocante.



svezia
Svezia, novembre 2015. Un immigrato sputa su una donna. La vicenda ha fatto scalpore. 

Così (come aveva previsto Houellebeck nel suo Soumission) l’Europa ufficiale si rende da sé una terra di dhimmitudine, invitando i profughi stessi a trattarci come dhimmi (lo status giuridico inferiore che nelle  terre dell’Islam spetta ai non-musulmani). Ed  è questo atteggiamento ufficiale  che provoca la rivolta, e l’ascesa politica dei “partiti di destra”, e il rigetto della “accoglienza”-  classico caso di eterogenesi dei fini. In Svezia,  nel settembre  2015, a rifiutarla erano il 29 per cento; già a novembre, il rifiuto è salito al 49.  Due terzi dei tedeschi rifiutano di dare un ulteriore mandato alla  Merkel. Dal 41 al 48 per cento degli europei vogliono un referendum per decidere se stare nella UE o no.
In Usa, Donald Trump  ha dichiarato che non farà entrare nemmeno un musulmano, lui presidente. E “anche se non vince la Casa Bianca”, si è allarmato il Financial Times, “ha sdoganato delle idee che eravamo riusciti a tener fuori dallo spazio pubblico”, delegittimandole.
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http://www.maurizioblondet.it/leuropa-si-rende-dhimmiland/
scaglione

Vittoria sul nazismo, l’Europa insulta i russi

Insomma, il bravo giornalista tutto farà tranne che spiegare ai lettori quale colossale errore sia stato, da parte dei nostri leader, soprattutto quelli europei, disertare l'appuntamento. E lo fa perché lui è come noi. E' cresciuto ed è stato educato dopo la guerra calda, e cioè in piena guerra fredda, quando dell'Urss si poteva solo dir male. Nessuno gli ha mai spiegato bene che dei 70 milioni di morti, almeno 23 (ma molte stime dicono 27) furono soldati e civili sovietici
DI FULVIO SCAGLIONE - 12 MAGGIO 2016
Mosca celebra i settant’anni della vittoria sulla Germania nazista. E lo fa alla maniera russa, con la solita grande parata di reduci e mezzi militari sulla Piazza Rossa. Che fa allora il bravo giornalista? Ci racconta quante centinaia di mezzi militari hanno percorso le vie della città (200, con 150 aerei a sorvolarli), se vuol fare l’informato ci parla del nuovo modello di carro armato apparso alla sfilata. E ovviamente ci spiega che dei 68 presidenti e capi di Governo invitati da Vladimir Putin solo la metà ha accettato l’invito, e nessuno di quelli occidentali.
Insomma, il bravo giornalista tutto farà tranne che spiegare ai lettori quale colossale errore sia stato, da parte dei nostri leader, soprattutto quelli europei, disertare l’appuntamento. E lo fa perché lui è come noi. E’ cresciuto ed è stato educato dopo la guerra calda, e cioè in piena guerra fredda, quando dell’Urss si poteva solo dir male. Nessuno gli ha mai spiegato bene che dei 70 milioni di morti, almeno 23 (ma molte stime dicono 27) furono soldati e civili sovietici, una cifra che fa sembrare uno scherzo i 415 mila morti americani. Che furono i sovietici a liberare Berlino e Auschwitz. Sempre loro a decimare le armate naziste in Europa.
E’ anche per questo, e non solo perché sono gonfi di orgoglio nazionale, che i russi chiamano “grande guerra patriottica” quella che per il resto del mondo è la seconda guerra mondiale. Perché fu mondiale, sì, ma con un prezzo più alto per i russi rispetto a chiunque altro.
Per Obama la cosa è diversa: lui mica ce l’ha ai confini, la Russia. Ma i leader europei che hanno disertato la parata devono capire bene una cosa: lo schiaffo non l’hanno dato al Cremlino, l’hanno dato ai russi. Trattandoli da alleati di serie B, gente il cui sacrificio può tranquillamente essere dimenticato o disprezzato. E facendo così un grande favore politico a Vladimir Putin, che potrà contare, in futuro, su uno spirito patriottico e nazionalistico ancora più forte.
E non solo. L’assenza dei nostri leader dà un’ulteriore spinta alle alleanze alternative che la Russia sta stipulando con Paesi come Cina e Turchia, con cui in passato ha sempre avuto guerre, rapporti tesi e, nei momenti migliori, diffidenza. Un altro straordinario risultato politico, la conferma che la politica estera dell’Unione Europea, purtroppo, non è inesistente. E’ stupida.

1 commento:

  1. Putin "amico" della Turchia dopo che ha abbattuto un suo aereo in missione in Siria.... non credo proprio....

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