ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 11 maggio 2016

Troppo tardi..

Esercizi di lettura. La "Amoris laetitia" del cardinale 


Müller

In un monumentale discorso in Spagna, il prefetto della dottrina della fede riconduce l'esortazione postsinodale nell'alveo della disciplina precedente della Chiesa. Troppo tardi. Perché ormai Francesco l'ha scritta in modo da far capire il contrario

di Sandro Magister


ROMA, 11 maggio 2016 – Con la "Amoris laetitia" sta accadendo nella Chiesa cattolica qualcosa di simile a quanto accadde mezzo secolo fa con la "Humanae vitae". A parti rovesciate.

L'enciclica di Paolo VI sulla procreazione era chiarissima. Ma teologi, vescovi e conferenze episcopali dissenzienti ne diffusero interpretazioni artificiose e fumose, al fine di far apparire lecito ciò che il papa proibiva.

L'esortazione postsinodale di Francesco sulla famiglia è stata scritta invece in forma volutamente vaga, consentendo a chiunque di leggervi ciò che desidera, in particolare sulla questione cruciale della comunione ai divorziati risposati. E tocca a teologi, vescovi e cardinali volonterosi affaticarsi a darne una lettura chiara ed univoca, in accordo con il magistero della Chiesa di sempre.



Tra questi, il più alto d'autorità è il cardinale Gerhard L. Müller, già vescovo di Ratisbona, editore dell'opera omnia di Joseph Ratzinger e dal 2012 prefetto della congregazione per la dottrina della fede.

Già pochi giorni prima della pubblicazione della "Amoris laetitia" Müller aveva ribadito i punti fermi dai quali il magistero della Chiesa non si poteva discostare, in un libro uscito in Spagna dal titolo: "Informe sobre la esperanza":

> Come il cardinale Müller rilegge il papa (29.3.2016)

Ma ai primi di maggio, ad "Amoris laetitia" pubblicata, egli è tornato in Spagna, prima a Madrid poi a Oviedo, non solo per presentare il suo libro, ma soprattutto per dettare una lettura dell'esortazione papale rigorosamente aderente a ciò che vi si trova scritto.

Il cardinale Müller ha tenuto il suo lungo e argomentato discorso di illustrazione della "Amoris laetitia" nel seminario di Oviedo, il 4 maggio. E in quest'altra pagina web si può leggerlo integralmente così come l'ha pronunciato, in lingua spagnola:

> ¿Qué podemos esperar de la familia?

La traduzione italiana integrale è qui:

> Che cosa possiamo aspettarci dalla famiglia?

Mentre qui c'è quella in lingua tedesca, pubblicata in Germania da "Die Tagespost" e corredata da una decina di note:

> Was dürfen wir von der Familie erwarten?

Qui di seguito sono invece riprodotte le parti centrale e finale del discorso.

Leggendolo, si vedrà come Müller interpreta le ambiguità della "Amoris laetitia" non come un via libera a cambiamenti della dottrina e della prassi, ma al contrario come la prova che papa Francesco non ha inteso in alcun modo rompere con la precedente disciplina, perché se davvero "avesse voluto cancellare una disciplina tanto radicata e di tanta rilevanza l'avrebbe detto con chiarezza e presentando ragioni a sostegno", cosa che non ha fatto.

Quanto all'ormai famosa nota 351, su cui fanno leva i fautori della comunione ai divorziati risposati, Müller mostra come essa non tocchi affatto il caso specifico.

E quanto al "discernimento" per esaminare se una persona è o no colpevole soggettivamente e grazie a ciò ammetterla o no alla comunione, dice:

"L'economia dei sacramenti è un'economia di segni visibili, non di disposizioni interne o di colpevolezza soggettiva. Una privatizzazione dell'economia sacramentale certamente non sarebbe cattolica".

Ma l'elemento portante dell'intero discorso è la sua architettura dottrinale e teologica. Dice il cardinale:

"Il principio di fondo è che nessuno può veramente desiderare un sacramento, quello dell'eucaristia, senza desiderare anche di vivere in accordo con gli altri sacramenti, tra cui quello del matrimonio. […] Cambiare la disciplina in questo punto concreto, ammettendo una contraddizione tra l'eucaristia e il matrimonio, significherebbe necessariamente cambiare la professione di fede della Chiesa, che insegna e realizza l'armonia tra tutti i sacramenti, tale e quale l'ha ricevuta da Gesù. Su questa fede nel matrimonio indissolubile, non come ideale lontano ma come realtà concreta, è stato versato sangue di martiri".

Colpisce che un discorso di tale portata il cardinale Müller l'abbia pronunciato non a Roma ma in Spagna e senza che abbia avuto particolare pubblicità. "L'Osservatore Romano" l'ha del tutto ignorato.

Perché agli effetti pratici il suo impatto è minimo. Come marginale, irrilevante, è ormai il ruolo del prefetto della congregazione per la dottrina della fede.

Con Francesco è cambiata infatti la forma del magistero papale.

La chiarissima "Humanae vitae" di Paolo VI fu travolta dalle fumosità di vescovi e cardinali dissenzienti.

Mentre invece la "Amoris laetitia" è vittoriosa proprio grazie alla sua calcolata vaghezza. Perché a tutti i livelli della Chiesa come nella pubblica opinione è ormai passato ciò che non vi è scritto a chiare lettere, ma solo fatto intuire.
__________

Che cosa possiamo aspettarci dalla famiglia?

Una cultura di speranza per la famiglia, partendo dalla "Amoris laetitia"

di Gerhard L. Müller
Introduzione

[…]
1. Chiesa e famiglia: l'arca di Noè
[…]

2. L'architettura dell'arca: l'amore di Cristo vissuto nella famiglia

[…] Il papa insiste sul fatto che la pastorale matrimoniale deve essere “una pastorale del vincolo” (AL 211). Dinanzi a una pastorale emotiva, che cerchi soltanto di incoraggiare i sentimenti o accontentarsi di esperienze intimiste dell'incontro con Dio, una pastorale del vincolo è una pastorale che prepara al “sì per sempre”. La preparazione al matrimonio prende luce da qui: accompagnando le tappe del fidanzamento affinché i giovani imparino a dire "sì, voglio" e accolgano il progetto che Dio ha per loro. Coltivando il vincolo, l'amore esce da sé stesso, supera il sentimento fluttuante, diventa forte per sostenere la società ed accogliere i figli. Si tratta di dare una dimora alla famiglia, della quale il vincolo matrimoniale è la chiave di volta. Nel vincolo si supera l'individualismo degli sposi o della coppia e si crea una cultura della famiglia, un ambiente dove l'amore può fiorire, l'arca di Noè per navigare insieme nel diluvio della postmodernità liquida. Agli sposi la Chiesa garantisce che, in ogni occasione, in qualsiasi situazione si trovino, veglierà su questo vincolo, lo renderà stabile e lo proteggerà affinché resti vivo, affinché possiate sempre tornare ad esso, perché in esso sta la vostra più profonda vocazione.

Bisogna capire da qui l'insistenza di papa Francesco su quello che lui chiama "ideale cristiano". Alcuni hanno interpretato questo ideale come un obiettivo lontano, solo per pochi. Ma non è questo il pensiero di Francesco. Il papa non è platonico! Tutto il contrario, per lui il cristianesimo tocca la carne dell'uomo (cf. "Evangelii gaudium" 88, 233). Lo si vede chiaramente quando Francesco ci avverte che non dobbiamo presentare "un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono" (AL 36). Qui il papa stesso nega che l'ideale sia astratto e artificioso. 

Di che cosa ci parla allora il papa quando fa riferimento all'ideale del matrimonio? Nella Chiesa l'ideale è sempre l'ideale incarnato, perché il Verbo, il Logos, si è fatto carne e accompagna la sua vita nei sacramenti. Questa presenza viva e trasformatrice dell'amore pieno di Gesù si trova precisamente nei sacramenti, che contengono in sé l'architettura dell'arca di Noè. La "Amoris laetitia", infatti, parla in diverse occasioni del rapporto tra l'iniziazione cristiana e la vita matrimoniale (AL 84, 192, 206-207, 279) e del nesso tra eucaristia e matrimonio (AL 318). Potremmo concludere che ogni famiglia e tutta la Chiesa si fondano su questa cultura dell'amore di Gesù, che è custodita nell'economia dei sacramenti. Questi rimangono segno vivo di Cristo per generare la sua stessa vita tra gli uomini. Costituiscono l'architettura dell'arca, quell'arca le cui misure furono dettate da Dio.

Il nostro tempo, pieno di desideri liquidi, ha bisogno, come dicevo prima, di una dimora dell'amore, di una cultura dell'amore. La Chiesa promuove questa cultura dell'amore precisamente nei suoi sacramenti, che la costituiscono. Essa potrà offrire speranza agli uomini, a tutti, anche ai lontani, se si mantiene fedele a questa dimora che ha ricevuto da Dio e mentre promuove questa cultura comune dell'amore di Cristo, confessata nei segni sacramentali, che sono l'architettura della nave che ci fa approdare nel buon porto.

L'immagine dell'arca di Noè, della Chiesa che naviga e porta la speranza in mezzo al mondo, è unita al numero otto che simboleggiava sin dai primi tempi l'ottavo giorno, il giorno della risurrezione di Cristo, l'inizio del mondo futuro. In questo modo si insisteva sul fatto che la Chiesa non cammina soltanto verso una lontana pienezza, bensì che in lei questa pienezza dell'amore è già stata inaugurata. Si, è possibile vivere l'amore di cui ci parla san Paolo nel suo inno e per questo non dobbiamo aspettare la fine dei tempi. Questo amore possiamo viverlo adesso, perché la Chiesa, nei suoi sacramenti, mantiene viva ed efficace, come dono originario di Cristo, la dimora che accoglie, sostiene e dona vigore alle nostre povere forze.

3. Accogliere nell'arca i più lontani: accompagnare, discernere, integrare

Partendo da questo grande orizzonte della cultura dell'amore, possiamo affrontare una domanda alla quale il papa ha dedicato la sua attenzione nella "Amoris laetitia": come dare speranza a quanti vivono lontani e, specialmente, a quanti hanno vissuto il dramma e la ferita di una seconda unione civile dopo un divorzio? Sono quelli che, per dirla così, sono naufragati nel diluvio della postmodernità liquida e hanno dimenticato quella promessa sponsale per la quale sigillarono in Cristo un amore per sempre. Possono ritornare nell'arca di Noè, costruita sull'amore di Cristo, e sfuggire al diluvio? In tre parole il papa ci ha indicato la via per questo compito della Chiesa: accompagnare, discernere, integrare (AL 291-292). Partendo da esse si può leggere il capitolo ottavo della "Amoris laetitia". 

3.1. Accompagnare: l'arca che galleggia e naviga

Si tratta, anzitutto, di accompagnare. Questi battezzati non sono esclusi dalla Chiesa. Al contrario, la Chiesa, nuova arca di Noè, li accoglie, anche se la loro vita non corrisponde alle parole di Gesù. Questa capacità di accoglienza è descritta da sant'Agostino stabilendo una distinzione, sempre riguardo all'arca di Noè come immagine della Chiesa. In primo luogo, nell'arca non furono ammessi soltanto gli animali puri secondo la Legge. Questo significava per Agostino che la Chiesa accoglie nel suo seno giusti e peccatori sotto un medesimo tetto; che è fatta di uomini che cadono e si rialzano, che devono pronunciare, all'inizio di ogni messa: “Io confesso”. In questo modo, la Chiesa cattolica si distacca dalla visione donatista, che prospettava una "Chiesa dei puri", nella quale non c'era posto per il peccatore. Dio separerà il grano dalla zizzania soltanto alla fine dei tempi, compresa la zizzania che germoglia in ogni credente. 

Ebbene, dice sant'Agostino, tutti questi animali, puri ed impuri, passarono sotto la stessa porta ed abitarono in una stessa dimora, con le stesse pareti e lo stesso tetto. Qui il vescovo d'Ippona fa riferimento ai sacramenti, con il battesimo come porta, e con il cambiamento di vita che chiedono a quanti vogliono riceverli, abbandonando il peccato. In questa armonia tra i sacramenti e la vita visibile dei cristiani, dice sant'Agostino, la Chiesa pone davanti al mondo la testimonianza non soltanto di come visse Gesù, ma di come sono chiamati a vivere i membri del corpo di Gesù. La coerenza tra i sacramenti e il modo di vita dei cristiani assicura, dunque, che la cultura sacramentale nella quale vive la Chiesa e che essa propone al mondo resti abitabile. Soltanto così può ricevere i peccatori, accogliendoli con premura ed invitandoli a un cammino concreto affinché superino il peccato. Ciò che la Chiesa non deve mai abbandonare è l'architettura dei sacramenti, pena la perdita del dono originario che la sostiene e l'oscuramento dell'amore di Gesù e del modo con cui questo amore trasforma la vita cristiana. È proprio assimilando questa struttura sacramentale che la Chiesa evita i due modi possibili di diventare una "Chiesa dei puri", l'esclusione dei peccatori e l'esclusione del peccato.

Dunque, il primo elemento chiave per questo cammino di accompagnamento è l'armonia tra la celebrazione sacramentale e la vita cristiana. Questa è la ragione della disciplina eucaristica che la Chiesa ha mantenuto sin dalle sue origini. Grazie ad essa la Chiesa può essere una comunità che accompagna, accoglie il peccatore senza per questo benedire il peccato e così offre la base affinché sia possibile un percorso di discernimento ed integrazione. San Giovanni Paolo II confermò questa disciplina nella "Familiaris consortio" 84 e nella "Reconciliatio et poenitentia" 34; la congregazione per la dottrina della fede, a sua volta, lo affermò nel suo documento del 1994; Benedetto XVI l'approfondì nella "Sacramentum caritatis" 29. Si tratta di un insegnamento magisteriale consolidato, appoggiato sulla Scrittura e fondato su una ragione dottrinale: l'armonia salvifica dei sacramenti, cuore della "cultura del vincolo" che vive la Chiesa. 

Alcuni hanno affermato che la "Amoris laetitia" ha eliminato questa disciplina e ha permesso, almeno in alcuni casi, che i divorziati risposati possano ricevere l'eucaristia senza la necessità di trasformare il loro modo di vita secondo quanto indicato in FC 84, cioè abbandonando la nuova unione o vivendo in essa come fratello e sorella. A questo bisogna rispondere che se la "Amoris laetitia" avesse voluto cancellare una disciplina tanto radicata e di tanta rilevanza l'avrebbe detto con chiarezza e presentando ragioni a sostegno. Invece non vi è alcuna affermazione in questo senso; né il papa mette in dubbio, in nessun momento, gli argomenti presentati dai suoi predecessori, che non si basano sulla colpevolezza soggettiva di questi nostri fratelli, bensì sul loro modo visibile, oggettivo, di vita, contrario alla parole di Cristo.

Ma non si trova questa svolta – obiettano alcuni – in una nota a piè di pagina in cui si dice che, in alcuni casi, la Chiesa potrebbe offrire l'aiuto dei sacramenti a chi vive in situazione oggettiva di peccato (n. 351)? Senza entrare in un'analisi dettagliata, basta dire che questa nota fa riferimento a situazioni oggettive di peccato in generale, senza citare il caso specifico dei divorziati in nuova unione civile. La situazione di questi ultimi, effettivamente, ha caratteristiche particolari che la distinguono da altre situazioni. Questi divorziati vivono in contrasto con il sacramento del matrimonio e, dunque, con l'economia dei sacramenti, il cui centro è l'eucaristia. Questa è, infatti, la ragione richiamata dal precedente magistero per giustificare la disciplina eucaristica di FC 84; un argomento che non è presente nella nota né nel suo contesto. Ciò che afferma, dunque, la nota 351 non tocca la disciplina precedente: è sempre valida la norma di FC 84 e di SC 29 e la sua applicazione in ogni caso. 

Il principio di fondo è che nessuno può veramente desiderare un sacramento, quello dell'eucaristia, senza desiderare anche di vivere in accordo con gli altri sacramenti, tra cui quello del matrimonio. Chi vive in contrasto col vincolo matrimoniale si oppone al segno visibile del sacramento del matrimonio; in ciò che tocca la sua esistenza corporea, anche se dopo soggettivamente non fosse colpevole, egli si rende "anti-segno" dell'indissolubilità. E precisamente perché la sua vita corporea è contraria al segno, non può formare parte, ricevendo la comunione, del supremo segno eucaristico, dove si rivela l'amore incarnato di Gesù. La Chiesa, se lo ammettesse, cadrebbe in quello che san Tommaso d'Aquino chiamava la "falsità nei segni sacramentali". E non siamo dinanzi a una conclusione dottrinale eccessiva, bensì dinanzi alla base stessa della costituzione sacramentale della Chiesa, che abbiamo paragonato all'architettura dell'arca di Noè. È un'architettura che la Chiesa non può modificare perché viene da Gesù stesso; perché essa, la Chiesa, nasce da qui, e qui si appoggia per navigare nelle acque del diluvio. Cambiare la disciplina in questo punto concreto, ammettendo una contraddizione tra l'eucaristia e il matrimonio, significherebbe necessariamente cambiare la professione di fede della Chiesa, che insegna e realizza l'armonia tra tutti i sacramenti, tale e quale l'ha ricevuta da Gesù. Su questa fede nel matrimonio indissolubile, non come ideale lontano ma come realtà concreta, è stato versato sangue di martiri.

Qualcuno potrebbe insistere: non ha poca misericordia Francesco se non compie questo passo? Non è troppo chiedere a queste persone che camminino verso una vita conforme alla Parola di Gesù? Succede piuttosto il contrario. Diremmo, utilizzando l'immagine dell'arca, che Francesco, sensibile alla situazione di diluvio vissuta dal mondo attuale, ha aperto tutte le finestre possibili della nave e ci ha tutti invitati a lanciare corde dalle finestre per trarre dentro nella barca l'uomo naufrago. Ma permettere, sia pure soltanto in alcuni casi, che si dia la comunione a chi tiene visibilmente un modo di vita contrario al sacramento del matrimonio non sarebbe aprire una finestra in più, ma aprire una breccia nel fondo della nave, lasciando che vi entri il mare e mettendo in pericolo la navigazione di tutti e il servizio della Chiesa alla società. Più che una via d'integrazione sarebbe una via di disintegrazione dell'arca ecclesiale, una via d'acqua. Nel rispettare questa disciplina, quindi, non solo non si pone un limite alla capacità della Chiesa di salvare la famiglie, ma si assicura anche la stabilità della nave e la sua capacità per portarci in un buon porto. L'architettura dell'arca è necessaria proprio perché la Chiesa non permetta che nessuno si blocchi in una condizione contraria alla parola di vita eterna di Gesù, cioè, perché la Chiesa non condanni “eternamente nessuno” (cf. AL 296-297). 

Nel preservare l'architettura dell'arca si preserva, potremmo dire, la nostra casa comune che è la Chiesa, stabilita sull'amore di Gesù; si preserva la cultura o l'ambiente della famiglia, decisiva per tutta la sua pastorale familiare e il suo servizio alla società. In questo modo ritorniamo a quello che abbiamo considerato il punto centrale della speranza della Chiesa per la famiglia: la necessità di creare una cultura della famiglia, di offrire una dimora al desiderio e all'amore. Si tratta di animare una “cultura del vincolo”, parallela alla “pastorale del vincolo” di cui parla il papa; cultura che oggi, nella società postmoderna, soltanto la Chiesa cattolica genera. Qui vediamo che questa disciplina della Chiesa ha un enorme valore pastorale.

Abbiamo discusso molto in questi anni sulla possibilità di dare la comunione ai divorziati in una nuova unione civile. All'inizio della "Amoris laetitia" il papa ha ricordato alcune posizioni eccessive che sono state affacciate. Gli argomenti sono stati molti e molto vari, con il rischio di perdersi in selve intricate di casistiche. Cerchiamo per un attimo di prendere un poco di distanza e guardare la questione in prospettiva, dimenticando i dettagli. Se la Chiesa ammettesse alla comunione i divorziati che vivono in una nuova unione senza chiedere loro un cambio di vita, lasciando che continuino nella loro situazione, non dovrebbe dire semplicemente che ha accettato il divorzio in certi casi? Certamente, non lo avrà accettato per iscritto, continuerà ad affermare [l'indissolubilità] come ideale, ma non la ammette come ideale anche la nostra società? In che cosa la Chiesa sarebbe diversa allora? Potrebbe dire che è ancora fedele alle parole di Gesù, parole chiare, che allora suonarono dure? Non furono queste parole contrarie alla cultura e alla prassi del suo tempo, permissive con un divorzio caso per caso per adattarsi alla fragilità dell'uomo? In pratica, l'indissolubilità del matrimonio rimarrebbe come un bel principio, perché comunque non sarebbe confessata nell'eucaristia, il vero luogo dove si professano le verità cristiane che toccano la vita e danno forma alla testimonianza pubblica della Chiesa.

Dobbiamo chiederci: non abbiamo considerato questo problema troppo dal punto di vista dei singoli individui? Tutti possiamo capire il desiderio di accedere alla comunione di questi nostri fratelli e le difficoltà che hanno ad abbandonare la loro unione o a vivere in essa in un altro modo. Dal punto di vista di ognuna di queste storie, potremmo pensare: che cosa ci costa, in fondo, lasciare che si comunichino? Abbiamo dimenticato, mi sembra, di guardare le cose da un più ampio orizzonte, dalla Chiesa come comunione, dal suo bene comune. Perché da una parte il matrimonio ha un carattere intrinsecamente sociale. Cambiare il matrimonio per alcuni casi significa cambiarlo per tutti. Se vi sono alcuni casi in cui non è importante vivere contro il vincolo sacramentale, non bisognerebbe dire ai giovani che vogliono sposarsi che queste eccezioni valgono anche per loro? Non penetrerà poi questa idea anche anche in quelle coppie che lottano per rimanere unite ma soffrono il peso del cammino e la tentazione di abbandonare? Inoltre, da un altro lato, l'eucaristia ha anche una struttura sociale (cf. AL 185-186), non dipende soltanto dalle mie condizioni soggettive, ma anche da come mi relaziono con gli altri dentro il corpo della Chiesa, perché la Chiesa nasce dall'eucaristia. Intendere il matrimonio e l'eucaristia come atti individuali, senza prendere in considerazione il bene comune della Chiesa, finisce per dissolvere la cultura della famiglia, come se Noè, nel vedere tanti naufraghi attorno alla nave, smontasse fondo e pareti per dare a ciascuno una tavola. La Chiesa perderebbe la sua essenza comunionale, fondata nell'ontologia dei sacramenti, e diventerebbe una congerie di individui che galleggiano senza meta in balia delle onde.

In realtà, i divorziati in una nuova unione civile che si astengono dall'accostarsi all'eucaristia e camminano per poter rigenerare il loro desiderio in conformità ad essa, stanno proteggendo la dimora della Chiesa, la nostra casa comune. E anche per loro stessi è un bene mantenere intatte le pareti dell'arca, della dimora dove è contenuto il segno dell'amore di Gesù. Così la Chiesa può ricordare loro: "Non ti fermare, c'è possibilità anche per te, non sei escluso dal ritorno all'alleanza sacramentale che hai contratto, anche se ci vorrà tempo; puoi vivere, con la forza di Dio, in fedeltà ad essa". E se qualcuno dice che questo è impossibile, ricordiamo le parole della "Amoris laetitia": “Sicuramente è possibile, perché è ciò che chiede il Vangelo” (AL 102). Dunque, nessuno si senta escluso dal cammino verso la vita grande di Gesù. Il desiderio di ricevere la comunione può condurre, con l'aiuto del pastore (e qui si apre la via del discernimento) a una rigenerazione del desiderio, affinché ritroviamo in noi la sete di vivere secondo le parole del Signore.

Insomma, il papa nell'esortazione ci avverte contro due deviazioni. Ci sono quelli che vogliono condannare e si accontentano di un immobilismo che non apre nuove vie affinché queste persone possano rigenerare il loro cuore. E dell'altra parte ci sono quelli che vedono la soluzione nel trovare eccezioni in diversi casi, rinunciando a rigenerare il cuore delle persone. Non sarebbe necessario elevarsi sopra tutto questo e prendere un altro punto di vista? Questo punto di vista è quello della comunione ecclesiale, quello del bene comune della Chiesa, quello di mantenere vivo nel suo centro, come cultura della famiglia, la vita stessa di Cristo che ci anima nei sacramenti. Se demoliamo la struttura dell'arca di Noè, come possiamo essere sicuri che si manterrà a galla e che non colerà a picco la speranza cristiana per tutte la famiglie?

3.2. Discernere e integrare

Dentro questa cultura della famiglia, che si poggia sull'architettura dell'arca, possiamo allora chiederci: quali sono le nuove vie che la "Amoris laetitia" ci invita ad aprire? Il papa riflette su di esse esortandoci a discernere e integrare.

Interroghiamoci anzitutto sul discernimento. Alcuni hanno interpretato che il papa, dicendo che bisogna tener più conto delle circostanze attenuanti, stia chiedendo che il discernimento si fondi su queste, come se ciò consistesse nell'esaminare se la persona è o no colpevole soggettivamente. Ma questo discernimento sarebbe alla fin fine impossibile, poiché soltanto Dio scruta i cuori. Inoltre, l'economia dei sacramenti è un'economia di segni visibili, non di disposizioni interne o di colpevolezza soggettiva. Una privatizzazione dell'economia sacramentale certamente non sarebbe cattolica. Non si tratta di discernere una mera disposizione interiore, bensì, come dice san Paolo, di "discernere il corpo" (cf. AL 185-186), le visibili relazioni concrete nelle quali viviamo.

E ciò significa che la Chiesa non ci lascia da soli dinanzi a questo discernimento. Il testo della "Amoris laetitia" ci indica i criteri chiave per arrivarne a capo. Il primo consiste nella meta che si vuole nel discernere. È la meta che la Chiesa annuncia per tutti, in qualsiasi caso e situazione, e che non deve essere taciuta per rispetto umano né per paura di scontrarsi con la mentalità del mondo, come ricorda il papa (AL 307). Consiste nel tornare alla fedeltà del vincolo matrimoniale, rientrando così di nuovo in quella dimora o arca che la misericordia di Dio ha offerto all'amore e al desiderio dell'uomo. Tutto il processo si indirizza, passo dopo passo, con pazienza e misericordia, a rinascere e a guarire la ferita della quale soffrono questi fratelli, che non è il fallimento del matrimonio precedente, bensì la nuova unione stabilita.

Il discernimento è necessario, quindi, non per scegliere la meta, ma per scegliere il cammino. Avendo chiaramente in mente dove vogliamo portare la persona (la vita piena che Gesù ci ha promesso) si possono discernere le vie affinché ognuno, nel suo caso particolare, possa arrivare li. E qui entra, come secondo criterio, la logica dei piccoli passi di crescita, dei quali anche il papa parla (AL 305). La chiave è che questi divorziati rinuncino a stabilirsi nella loro situazione, che non facciamo pace con la nuova unione nella quale vivono, che siano pronti ad illuminarla alla luce delle parole di Gesù. Tutto ciò che porti ad abbandonare questo modo di vivere è un piccolo passo di crescita che bisogna promuovere e animare. 

Veramente, chi desidera cibarsi di Gesù nell'eucaristia avrà anche il desiderio, usando l'immagine biblica, di cibarsi delle sue parole, di assimilarle nella sua vita. O meglio, come dice Sant'Agostino, avrà il desiderio di essere assimilato ad esse. Perché non è Gesù che si adegua al nostro desiderio, ma è il nostro desiderio che è chiamato a conformarsi a Gesù, per trovare in lui la sua piena realizzazione.

Da qui possiamo passare alla terza parola, "integrare", ed esaminare le nuove vie che la "Amoris laetitia" apre per i divorziati in una nuova unione. Il papa ci chiede, seguendo il sinodo, di sviluppare un percorso che deve essere realizzato in ogni diocesi sotto la guida del vescovo e secondo l'insegnamento della Chiesa (AL 300). Questo dovrebbe farsi, se possibile, con una équipe di pastori qualificati ed esperti.

È essenziale che nel percorso si annunci la parola di Dio, specialmente in ciò che riguarda il matrimonio (AL 297). Così, questi battezzati faranno man mano luce su questa seconda unione che hanno iniziato e nella quale vivono. Si aprirebbe qui anche la possibilità di rivedere un'eventuale nullità del matrimonio sacramentale, secondo le nuove norme emanate dal papa.

In questo cammino troviamo anche un'altra novità, aperta dal Papa nella "Amoris laetitia". Senza cambiare la normativa canonica generale, il papa ammette che possano esservi eccezioni riguardo all'assunzione da parte di questi divorziati di alcune cariche pubbliche ecclesiali. Il criterio è, come ho indicato prima, il cammino di crescita concreta della persona verso la guarigione.

Lungo tutto questo percorso è bene ricordare che i sacramenti non sono soltanto una celebrazione puntuale, bensì un cammino: chi inizia a muoversi verso la penitenza si trova già in un processo sacramentale, non è escluso dalla struttura sacramentale della Chiesa, già riceve in un certo modo l'aiuto dei sacramenti. Di nuovo, l'importante è essere disponibili a lasciarsi trasformare da Gesù, anche se si sa che il cammino sarà lungo, e a lasciarsi accompagnare in questo cammino. Ciò che muove il pastore è il desiderio di introdurre la persona nella cultura del vincolo, offrendo una dimora al suo desiderio, affinché possa rigenerarsi secondo le parole del Signore.

Il papa ci invita a intraprendere un percorso; questa è la chiave. La comunione eucaristica sarà nell'orizzonte finale e arriverà nel momento voluto da Dio, poiché è Lui che agisce nella vita dei battezzati, aiutandoli a rigenerare i loro desideri in conformità al Vangelo. Iniziamo passo per passo, aiutandoli a partecipare alla vita della Chiesa, finché raggiungano “la pienezza del piano di Dio in loro” (AL 297).

Concludo. Nelle acque della postmodernità liquida, la Chiesa può offrire una speranza a tutte la famiglie e a tutta la società, come l'arca di Noè. Essa riconosce la debolezza e la necessità di conversione dei suoi membri. Appunto per questo è chiamata a mantenere, nel medesimo tempo, la concreta presenza in essa dell'amore di Gesù, vivo ed efficace nei sacramenti, che danno all'arca la sua struttura e dinamismo, facendola capace di solcare le acque. La chiave è sviluppare, e la sfida non è piccola, una “cultura ecclesiale della famiglia” che sia “cultura del vincolo sacramentale”. 

San Giovanni Crisostomo dice che l'arca di Noè si differenzia dalla Chiesa in un dettaglio importante. L'antica arca accolse nel suo seno gli animali irrazionali, "alogos", e li ha  mantenuti sempre irrazionali. La Chiesa, invece, riceve anche l'uomo che, a causa del peccato, ha perso il Logos, la ragione, ed è pertanto "irrazionale", cammina senza la luce dell'amore. Ma precisamente perché la Chiesa ha l'ambiente vitale del corpo di Cristo, perché preserva l'armonia dei sacramenti, essa, a differenza dell'arca di Noè, è capace di rigenerare l'uomo, di conformare il cuore umano al Verbo (Logos) di Gesù. In essa gli uomini entrano "irrazionali" ed escono "razionali", cioè pronti a vivere secondo la luce di Cristo, secondo il suo amore che "tutto spera" e "che dura per sempre".


(Traduzione dall'originale spagnolo di Helena Faccia Serrano, Alcalá de Henares, España).
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351295


Le “Unioni civili” e le preoccupazioni di Nunzio Galantino  

Il segretario generale della CEI, che dovrebbe essere tra l’altro un sacerdote cattolico, critica l’uso da parte del governo della fiducia per giungere all’approvazione della legge. Però non spende una parola sui contenuti della legge stessa. Del resto, Bergoglio ha detto chiaramente di “non immischiarsi nella politica”. La soddisfazione di Zenit.

di Paolo Deotto
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zzzzglntnIl sig. Nunzio Galantino, avendo il titolo di monsignore ed essendo segretario generale della Cei, dovrebbe essere un sacerdote cattolico. Tra l’altro, salvo che quanto scrive Marco Tosatti (clicca qui) sia sbagliato, il sig. Galantino dovrebbe a breve diventare Presidente della Cei e Vicario dell’Urbe. Una bella carriera, che comporterà anche la nomina a cardinale. Auguri.
Tornando a noi, dicevamo che il suddetto signore, per i ruoli che ricopre e che ricoprirà, dovrebbe essere un sacerdote cattolico. Chi, come me, non è più un giovanotto, ricorderà i tempi in cui la Chiesa cattolica “si immischiava”, eccome, nelle questioni politiche legate alla difesa della Fede, alla morale e ai retti costumi. Una per tutte, la condanna, netta ed espressa in poche righe (erano i tempi in cui un’enciclica di oltre 260 pagine sarebbe stata inconcepibile), del comunismo, dottrina “intrinsecamente perversa”.
Ma i tempi sono cambiati da tempo. Scusate il gioco di parole, ma intendo dire che lo sconcio in cui viviamo adesso ha origini lontane e Bergoglio, poveretto, non fa che completare, con la dovuta rozzezza che lo rende popolare al mondo, una demolizione iniziata da altri.
Bergoglio ha detto di “non immischiarsi” nella politica, e in fondo ha ragione: dal momento che la neochiesa segue la stessa politica del mondo, perché dovrebbe immischiarsi?
Arriviamo quindi a ieri e a oggi. Oggi, come è noto, ha concluso il suo cammino parlamentare una legge aberrante, uno degli ultimi tasselli per distruggere quel poco di civiltà ancora rimasta nella società. Se andiamo sull’ANSA possiamo leggere le parole di soddisfazione del patetico Topolino Renzi, che forse non ha ancora capito che sarà estromesso quando le sue manfrine non serviranno più a chi lo ha messo a presiedere il Governo. Intanto se la gode, troppo sciocco e troppo presuntuoso per ricordarsi che un proverbio di saggezza siciliana dice che “il limone prima si spreme e poi si getta”.
Ma per ora Topolino è l’uomo giusto. Dotato di quella iattanza di cui sono capaci solo i vanitosi cronici, ha voluto porre la fiducia su un testo di legge che comunque sarebbe passato: ma doveva ben sottolineare che il Governo lo fa suo.
Ieri era stato interpellato in materia il sig. Galantino. Ce ne parla Zenit. Preoccupato di seguire le indicazioni del principale (a maggior ragione, avendo in previsione dei balzi di carriera), il segretario generale della Cei ha espresso tutto il suo rammarico… per il contenuto immorale della legge? Per la politica di distruzione della famiglia, della civiltà cristiana, che il governo sta perseguendo?
Ma và! Anzitutto, “non immischiarsi”. Però, insomma, qualcosa bisogna pur dire e allora ecco il commento che di sicuro la cristianità attendeva: “Il Governo ha le sue logiche, le sue esigenze, probabilmente avrà anche le sue ragioni, ma il voto di fiducia, non solo per questo Governo ma anche per quelli passati, spesso rappresenta una sconfitta per tutti”. E più avanti: “Penso che stia emergendo un po’ da tutte le parti una richiesta di maggior partecipazione, di maggior attenzione, di maggiore rispetto per tutti coloro che sono stati eletti”.
Il cronista di Zenit è soddisfatto: “Si tratta di un intervento molto contenuto, dai toni ponderati, ma pur sempre di una critica nei confronti della modalità di procedura che intende adottare l’Esecutivo in Aula. Insomma, si tratta di un “intromettersi” in politica, seppur delicato”.
Più chiaro di così! Il Galantino si preoccupa di galateo parlamentare, e Zenit se ne compiace.
Così si potrà comunque dire che il segretario generale della Cei ha criticato le scelte del governo… peccato che non abbia speso una parola sui contenuti della legge, che non abbia ricordato a Topolino Renzi che solo un vergognoso ipocrita si fa fotografare la domenica a Messa e negli altri giorni della settimana persegue una politica di combutta col demonio.
E così tutto è a posto. La Chiesa “non si immischia”, una criticuccia la si fa limitandosi a bacchettare il ragazzone troppo esuberante nell’uso della fiducia, e ci si acquista anche un bell’attestato di difensore della legalità repubblicana, che oggi come oggi  è uno dei titoli più ambiti.
Poi, importante è che si arrivi al traguardo stabilito: distruggere la società attraverso la distruzione della morale da sempre insegnata dalla Dottrina cattolica. E quindi, mi ripeto: non c’è motivo di immischiarsi: neochiesa e governo hanno gli stessi obiettivi. Galantino ce lo conferma. Da Santa Marta, di conferme ne abbiamo fin troppe.
Per noi resta confermata un’altra cosa: moltiplicare le preghiere, soprattutto il Santo Rosario, fare penitenza, accostarci ai sacramenti, perché questa è davvero l’epoca del demonio.
http://www.riscossacristiana.it/le-unioni-civili-e-le-preoccupazioni-di-nunzio-galantino-di-paolo-deotto/



Fiducia (pure) sulle unioni civili: serve altro per mandarli a casa?


di Giuliano Guzzo

Per il disegno di legge sulle unioni civili, alla Camera, è arrivata la richiesta di fiducia: ma che strano, da un Governo così rispettoso del dibattito parlamentare non te lo saresti mai aspettato. In fondo, dal 22 febbraio 2014, giorno del giuramento, ad oggi, l’esecutivo guidato da Matteo Renzi aveva già posto la questione di fiducia – in media – più di due volte al mese e, in proporzione, su oltre il 30% delle leggi complessivamente approvate e sul 100% di quelle decisive: Jobs Act, Italicum, Buona Scuola. Potevano dunque forse mancare le unioni civili alla magica collezione? Ma certo che no.
Così ieri è toccato al Ministro per i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi – sì è lei, è la stessa nobildonna che apostrofa i perplessi sulla riforma costituzionale come nazifascisti – dare il lieto annuncio nonostante il provvedimento non sia governativo e benché Renzi, nel corso della conferenza di fine anno tenuta il 19 dicembre 2015, a domanda avesse risposto escludendo la fiducia per la Cirinnà. Appurato quindi che le unioni civili saranno presto legge (o c’è ancora qualche sognatore che pensa dal Quirinale possano arrivare sorprese?), il dubbio che emerge è uno ed uno soltanto: in vista di ottobre, serve altro?
L’umiliazione sistematica del Parlamento con l’ossessiva richiesta di fiducia, il contraddirsi costante e la faccia tosta galattica di presentarsi come inquilino di Palazzo Chigi grazie a «una straordinaria esperienza di popolo» – talmente straordinaria da non aver mai conosciuto le elezioni -, non sono abbastanza per capire che il referendum sulla riforma costituzionale è un appuntamento fondamentale per silurare Renzi e la sua banda di cervelloni? Non importa, si badi, che simpatizziate per il centrodestra o per il Movimento5Stelle, per la Salvini o per Civati: conta che ne abbiate abbastanza di questo schifo. O ne volete ancora?
https://giulianoguzzo.com/2016/05/11/fiducia-pure-sulle-unioni-civili-serve-altro-per-mandarli-a-casa/ http://www.campariedemaistre.com/2016/05/fiducia-pure-sulle-unioni-civili-serve.html

Vescovi, il "ruggito" di Galantino è arrivato: peccato sia quello "del topo"
11 maggio 2016 ore 11:30, Americo Mascarucci
Alla fine il ruggito è arrivato: peccato sia soltanto quello del topo.
Il Governo Renzi ha messo la fiducia alla Camera per l'approvazione del disegno di legge sulle unioni civili già approvato in Senato (quello scaturito dalla mediazione con i centristi di Area Popolare e con i cattolici del Pd depurata dalla stepchild adoption) cosa mai avvenuta nella storia della Repubblica. 
I Governi hanno infatti sempre lasciato libertà di coscienza visto che spesso e volentieri, soprattutto nella Prima Repubblica quando la Democrazia Cristiana governava con i Socialisti e con i partiti laici era materialmente impossibile raggiungere una convergenza in merito. 
Sulla fiducia ha espresso malumori la Cei per bocca, pensate un pò, del segretario generale Nunzio Galantino quello anti-Family Day, quello del dialogo con tutto e su tutto, senza barricate o crociate etiche: "Il Governo ha le sue logiche, le sue esigenze, probabilmente anche le sue ragioni, ma il voto di fiducia, non solo per questo governo ma anche per quelli passati, spesso rappresenta una sconfitta per tutti" ha commentato Galantino. 
Peccato che la Cei si sia da tempo chiamata fuori dalle battaglie sui temi etici, delegando questa responsabilità all'associazionismo cattolico, al variegato popolo del Family Day. Quel popolo che si è mobilitato contro il disegno di legge Cirinnà e la stepchild adoption, denunciando come la norma sulle adozioni rischiasse di legittimare la pratica dell'utero in affitto. 
Ma i vescovi si sono presentati divisi, frastagliati, evidenziando come nella Chiesa, nonostante le parole chiare ed indiscutibili di Papa Francesco in difesa della famiglia naturale, non tutti si riconoscessero nella piazza del Family Day, Galantino su tutti che è stato spesso elogiato proprio dai fautori delle unioni civili per le sue dichiarazioni anti-Family. 
Nelle ultime ore ad agitare le acque intorno al tema delle unioni civili ci si è messo pure il candidato sindaco di Roma Alfio Marchini: "Non celebrerò unioni gay se dovessi vincere le elezioni" ha dichiarato correggendo poi il tiro di fronte alle polemiche e dichiarando di rispettare comunque la legge. Peccato che tempo addietro sostenesse posizioni diverse. 
Ma non era forse ancora il candidato sindaco di Forza Italia e de La Destra di Storace. Una posizione che puzza tanto di "demagogia politica" e rivolta tanto a catturare il voto dell'elettorato cattolico che nella Capitale, "città santa", culla della cristianità e sede del Papa ha sempre fatto la differenza.

http://www.intelligonews.it/articoli/11-maggio-2016/41166/vescovi-il-ruggito-di-galantino-e-arrivato-peccato-sia-quello-del-topo 
Unioni civili, Blondet: “L’inutilità dei vescovi salta all’occhio. Ora mi aspetto due cose”
11 maggio 2016 ore 13:15, Lucia Bigozzi 
“L’inutilità dei vescovi salta all’occhio”. “Abbiamo di fronte un’ideologia ferocissima e totalitaria che impone queste cose”. “Si vuole distruggere quel poco che resta di morale cristiana”. Tre flash del ragionamento che Maurizio Blondet, giornalista, saggista, scrittore, sviluppa conversando con Intelligonews, nel giorno della fiducia sulle unioni civili. Blondet va oltre e individua due effetti che il varo della legge porterà con sé…
 Oggi è il giorno della fiducia sulle unioni civili. I vescovi ieri hanno detto che “hanno perso tutti”. Ira a scoppio ritardato, inutile e forse anche dannosa perché evidenzia un’impotenza?
"No, è il minimo sindacale che il segretario della Cei doveva dire. Chiaro che alla Chiesa di oggi questa cosa qua vada bene…".
 Sta dicendo che è una posizione consapevole?
"La loro inutilità salta all’occhio: sono consci di essere stati messi lì per distruggere quel poco che restava di morale cristiana?".
Come valuta il no di Marchini alle unioni civili, poi corretto con il “se passa la legge, la rispetterò”. Non poteva seguire l’esempio di Marino? 
"Questo è un rullo compressore che viene da lontano, da forze potentissime. Se Marchini si volesse opporre, sarebbe stracciato da un rullo compressore. Già adesso ci sono urla e scandali per il solo fatto di averlo detto, figuriamoci se lo facesse. Abbiamo di fronte un’ideologia ferocissima e totalitaria che impone queste cose, che sono volute, come l’Europa con Grecia per fare un esempio. La gente si sta rendendo conto di essere in una morsa fatale, però questa morsa è potente… cosa vuole che conti Marchini…".
Qual è, secondo lei, il pericolo di questa legge? Cosa si porterà dietro? Omofobia, linguaggio e pensiero unico?
 "Certo, ma è ovvio. Qui mi viene in mente una citazione che diceva così: quando una classe dirigente opera per la distruzione della propria civiltà, che difesa può esserci? E’ chiaro che queste sono tutte aperture per fare ulteriori aperture. Io mi aspetto come prossimo passo due cose. Primo: l’abolizione della libertà di coscienza per i medici che non vogliono praticare l’aborto; li vedo obbligati a procurare aborti e vediamo poi cosa gli fanno. Secondo, per metterla a ridere: mi aspetto un po' più avanti, l’obbligo di soddisfare sessualmente gli omosessuali. Mi spiego: se io che sono eterosessuale vengo concupito da un omosessuale avrò l’obbligo di soddisfarlo… questi diritti civili si stanno trasformando in perdita dei diritti seri, insomma". 

UN PREMIER ANTIDEMOCRATICO

    Renzi premier delle lobby Lgbt, ignorato il popolo. Renzi pone la questione di fiducia sulle unioni civili: siamo di fronte all’azione del governo più antidemocratico della storia della Repubblica. L’intervento di Massimo Gandolfini del Family Day  


L’intervento (di M.Gandolfini). Renzi premier delle lobby Lgbt, ignorato il popolo

da Barbadillo



Pubblichiamo una nota di Massimo Gandolfini, presidente del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, promotore del Family Day, sulla discutibili scelta del premier Renzi di porre la fiducia sulle unioni civili.


Renzi pone la questione di fiducia sulle unioni civili dimostrando ancora una volta di essere il premier delle lobby e non del popolo. La legge istituisce infatti un matrimonio gay – come confermano i parlamentari vicini agli ambienti Lgbt che parlano uguali diritti e doveri – e consente le adozioni a coppie della stesso sesso grazie al comma 20 che dà carta bianca ai tribunali dei minori.
Su questi due punti la stragrande maggioranza del popolo italiano ha più volte espresso la sua contrarietà in tutti i sondaggi e con i due grandi Family Day che nel giugno e gennaio scorso che hanno visto la partecipazione di milioni di persone. Questo popolo è stato pervicacemente ignorato dal governo che ha portato avanti il ddl violando tutte le prerogative del dibattito parlamentare e da una maggioranza che, la scorsa settimana, si è perfino rifiutata di votare le mozioni che impegnavano l’esecutivo con atti concreti tesi contrastare e sanzionare ogni forma di maternità surrogata. 
Siamo difronte all’azione del governo più antidemocratico della storia della Repubblica. Facciamo quindi appello a tutti i parlamentari che hanno cuore il futuro della famiglia e il diritto dei bambini a non essere programmati orfani di padre o di madre affinché votino liberamente secondo le loro coscienze. E alla luce dei molti profili di incostituzionalità evidenziati anche in un documento presentato al Quirinale, chiediamo inoltre al Presidente della Repubblica Mattarella di rinviare la legge alle Camere.


Perché Nunzio Galantino bacchetta il governo sulle unioni gay        

 Matteo Matzuzzi

Il segretario della Conferenza episcopale italiana, mons. Nunzio Galantinofa sentire la sua voce dopo la decisione del governo di porre la questione di fiducia sul disegno di legge Cirinnà relativo alle unioni civili: “Il governo ha le sue logiche, le sue esigenze, probabilmente avrà anche le sue ragioni, ma il voto di fiducia, non solo per questo governo ma anche per quelli passati, spesso rappresenta una sconfitta per tutti”, ha detto a margine del convegno della Federazione italiana delle comunità terapeutiche. “C’è la necessità di politiche che siano più attente, e che davvero mettano al centro l’importanza della famiglia fatta di madre, padre, figli. La famiglia non deve stare a cuore solo alla Chiesa, ma a tutti, a tutta la società. Quello della famiglia non è un ruolo sussidiario o marginale. Questo la società deve capirlo”, ha aggiunto Galantino, chiarendo come la posizione dei vescovi italiani sia assai critica verso la mossa dell’esecutivo. La Stampa, a tal proposito, è categorica: “La presa di distanza è netta, senza appello”.
“E’ FASCISMO STRISCIANTE”
E a chiarirlo bene c’ha pensato, su Repubblica, anche mons. Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale e già delegato della Cei per la scuola e l’educazione: “Non si tratta di fare le barricate. Semplicemente di dire che i diritti delle persone conviventi si possono tutelare in altro modo”, ad esempio “con un testo unico sui diritti. Un testo che elenchi e ribadisca quanto l’ordinamento italiano già prevede, esplicitamente o implicitamente, per le persone impegnate in convivenze. Invece questa legge a mio avviso – prosegue Pennisi – ha un portato ideologico”. La fiducia altro non è che “fascismo strisciante, un qualcosa che in nessun modo condivido”.
IL CAMBIO DI PASSO DELLA CEI
Paradossalmente, la Cei alza i toni ora che il disegno di legge non può più essere fermato, e sempre il quotidiano diretto da Mario Calabresi nota che le parole di Galantino sono ben diverse da quelle usate solo il 25 febbraio scorso, quando il Cirinnà fu approvato dal Senato. Allora “era trapelato un certo ‘rammarico’, ma i commenti e le indiscrezioni non si erano spinte oltre”. La svolta, scrive ancora Repubblica, è stata determinata proprio “dalla richiesta del voto di fiducia. Tra i vescovi italiani, stando a quanto trapela proprio dagli ambienti della Cei, si è generato un vero e proprio fastidio”.
“DARE RISPOSTE A TUTTI”
Che il cambio di passo sia evidente lo dimostra il confronto con l’atteggiamento dialogante assunto da Galantino solo pochi mesi fa, che al Corriere della Sera riconosceva il “dovere” dello Stato di “dare risposte a tutti nel rispetto del bene comune prima e più che del bene dei singoli individui”, dal momento che “la società riconosce al suo interno anche la presenza crescente di unioni di segno diverso”.
IL COMMENTO DEL PROMOTORE DEL FAMILY DAY
Durissimo il commento di Massimo Gandolfini, presidente del Comitato “Difendiamo i Nostri Figli” (Dnf) e promotore del Family Day, a giudizio del quale “Renzi pone la questione di fiducia sulle unioni civili dimostrando ancora una volta di essere il premier delle lobby e non del popolo. La legge istituisce infatti un matrimonio gay – come confermano i parlamentari vicini agli ambienti Lgbt che parlano uguali diritti e doveri – e consente le adozioni a coppie dello stesso sesso grazie al comma 20 che dà carta bianca ai tribunali dei minori”. Secondo Gandolfini, “siamo difronte all’azione del governo più antidemocratico della storia della Repubblica”. Di qui l’appello a “tutti i parlamentari che hanno a cuore il futuro della famiglia e il diritto dei bambini a non essere programmati orfani di padre o di madre, affinché votino liberamente secondo le loro coscienze”.
http://formiche.net/2016/05/11/perche-nunzio-galantino-bacchetta-il-governo-sulle-unioni-gay/
Unioni civili, Scalfarotto festeggia e rilancia: "Eutanasia e droghe libere". Cattolici sfaldati
11 maggio 2016 ore 15:58, Americo Mascarucci
Incredibile ma vero: nel giorno in cui un Governo "non eletto dal popolo" ha posto la fiducia sul disegno di legge sulle unioni civili e la Camera come già il Senato con la spada di Damocle del "tutti a casa" l'ha approvato "turandosi il naso", i cattolici non trovano di meglio da fare che litigare fra loro. 
Sconcerta infatti la polemica innescata contro il direttore del quotidiano La Croce Mario Adinolfi da Riccardo Cascioli che con un intervento sul quotidiano cattolico La Nuova Bussola Quotidiana, rispolverando un capitolo del libro di Adinolfi "Voglio la Mamma" ha accusato il giornalista e scrittore di essere incoerente avendo manifestato in quel libro un’opinione favorevole sui diritti civili. Adinolfi intervistato da Intelligonews ha spiegato il senso di quello scritto attaccando a sua volta Cascioli.
Insomma, in quello che può essere considerato a tutti gli effetti "un giorno di lutto" per quanti credono nel valore della famiglia fondata sul matrimonio, i cattolici anziché unire le forze non trovano di meglio da fare che prendersi a "velinate"?
Una sconfitta doppia perché, mentre il fronte Lgbt si mostra unito e compatto nel sostegno ad una legge sulle unioni civili imposta a colpi di fiducia, il fronte dei cattolici, il variegato popolo del Family Day si mostra più diviso che mai. 
Guardando la questione dal punto della difesa dei temi etici si assiste al paradosso di vedere i "buoni" in guerra fra loro fra insulti e colpi bassi, e i "cattivi" invece uniti e solidali nello sferrare un altro attacco contro la famiglia naturale.
Un altro attacco che non sarà l’ultimo. 
Infatti il sottosegretario Ivan Scalfarotto esponente di spicco della comunità Lgbt ha fatto sapere che questo è soltanto il primo passo, altri ne seguiranno. 
"Penso alla legge sull'eutanasia e quella sulla liberalizzazione delle droghe - spiega a @Pdnetwork - Continuerò a combattere per l'affermazione di uno stato laico che riconosca il diritto di ciascuno a vivere in libertà e nella ricerca della propria felicita". Chissà che anche questi temi, nonostante la loro delicatezza, alla fine non finiscano con l’essere imposti a colpi di fiducia. In pratica si assisterebbe alla vittoria e all'affermazione definitiva del partito radicale di massa contro cui dovrebbero fare argine i cattolici tutti, senza distinzioni. Ma se queste sono le premesse, se i cattolici per primi si insultano fra loro, se nel giorno in cui dovrebbero presentarsi più uniti che mai si prendono a pugni in faccia (seppur simbolicamente), come pensare che alla fine possano impedire tutto questo? 
Finita l'era Ruini, la Chiesa senza "vescovi pilota" perde sulle unioni civili. Era meglio prima? SONDAGGIO
11 maggio 2016 ore 14:15, Americo Mascarucci
La vicenda delle unioni civili, la fiducia imposta da Renzi alla Camera come già al Senato per portare a casa una legge che nonostante lo stralcio del capitolo adozioni gay continua a suscitare forti maldipancia dentro e fuori la maggioranza, il ruolo arrendevole dei cattolici soprattutto della maggioranza, pongono seri interrogativi per ciò che riguarda il ruolo della Chiesa nella vita nazionale.
Durante gli anni della presidenza di Camillo Ruini alla guida della Conferenza Episcopale Italiana tutti stavano a criticare l'eccessiva invadenza delle gerarchie sulle scelte del Governo e del Parlamento, soprattutto sul tema dei diritti civili. 
I continui forti richiami del cardinale Ruini infastidivano tutti, compresi quei "cattolici adulti" stile Romano Prodi e Rosy Bindi che mal digerivano le entrature a gamba tesa del porporato contro le leggi sui Dico (primo tentativo di regolarizzare le unioni civili) proposte appunto dal Governo Prodi, o gli inviti a disertare le urne in occasione del referendum abrogativo della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita (con i Paolini di Famiglia Cristiana che invece invocavano la libertà di coscienza). 
La battaglia sui temi etici è stata durante i lunghi anni di Ruini al primo posto nell'agenda della Cei, una Cei che dopo aver rotto il tabù dell'unità politica dei cattolici in un unico partito, aveva promosso l'impegno dei cattolici nei vari schieramenti mantenendo l'unità soltanto sui cosiddetti valori non negoziabili. 
Inutile girarci intorno: proprio in quegli anni la famiglia fondata sul matrimonio trovò un baluardo invalicabile nell'impegno diretto della Cei, che seppe siglare un'alleanza vincente con il mondo dell'associazionismo cattolico dando vita nel 2007 ad uno dei primi, grandi e meglio riusciti Family Day con i vescovi in prima linea a sostenere, mobilitare e partecipare. E quella piazza fermò la legge sui Dico "mettendo in crisi" il Governo Prodi che di lì a poco sarebbe caduto (per altre ragioni ovviamente non certo sui temi etici).
Poi con la fine dell'era Ruini ecco che la Cei è andata sempre di più perdendo peso politico. 
Arrivarono i convegni di Todi benedetti dalla nuova Cei di Bagnasco con l'intento, puntualmente fallito, di ricreare l'unità politica dei cattolici intorno ad un partito. Peccato che a dar vita a questa nuova Dc erano pochi cattolici e dalle idee pure confuse oltre che animati da opposte strategie e sogni di leadership personale (da Casini a Riccardi, da Sant'Egidio alle Acli ecc). Alla fine non soltanto l'unità non si trovò ma il fronte cattolico andò frantumandosi ancora di più in partiti, partitelli e mezzi partiti.
Poi con l'avvento di Papa Francesco anche la Cei ha pensato bene di allinearsi al nuovo corso bergogliano sotterrando "l'ascia di guerra" sui temi etici e dando priorità ad altri temi (vedi l'accoglienza dei migranti). 
Ma non è tutto: se con la presidenza Ruini la Cei sapeva parlare ad una sola voce, quella del presidente, oggi appare evidente come fra i vescovi convivano, non sempre in armonia, due diverse linee. quella del presidente Bagnasco (in qualche modo nostalgico dell'era Ruini) e quella del segretario Nunzio Galantino espressione dell'anima progressista.
Il risultato è che la Cei ha perso il contatto con il mondo cattolico e con il popolo del Family Day (Galantino lo ha disconosciuto, Bagnasco ha tentato di recuperarlo in extremis con la mobilitazione di gennaio al Circo Massimo) ritrovandosi oggi una legge sulle unioni civili frutto di un compromesso al ribasso fra cattolici e laici, con i primi accontentati dallo stralcio della norma sulla stepchild (le adozioni per le coppie gay) che uscita dalla porta presto rientrerà dalla finestra. Una legge che passerà alla Camera, come è passata al Senato, con il voto di fiducia sui temi etici. Uno schiaffo senza precedenti per una Chiesa che oggi appare incapace di far avvertire il proprio peso nei palazzi della politica. 

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