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martedì 26 luglio 2016

Ci provano..?

I vescovi polacchi provano a disinnescare l’effetto Francesco sui migranti

Il Papa a Cracovia per la giornata mondiale della Gioventù. Perché la visita si preannuncia assai delicata sul piano politico

Polonia: festival di cultura cristiana a Cracovia, alla vigilia della Giornata Mondiale della Gioventu' 2016 (foto LaPresse)
Roma. Domani il Papa arriverà a Cracovia, per la trentunesima Giornata mondiale della Gioventù. Metterà piede nella città che ebbe come arcivescovo Karol Wojtyla, pregherà nella cappella della Madonna Nera a Czestochowa, si fermerà in silenzio davanti alle baracche di Auschwitz e Birkenau. E poi presiederà la Via Crucis con i giovani, sulle orme di Giovanni Paolo II. Ma oltre al programma fatto di momenti liturgici e rimembranze storiche, la visita si preannuncia assai delicata sul piano politico, soprattutto se si considera che nel mezzo dell’animato dibattito tra gli opposti schieramenti è finito l’episcopato polacco. E’ il tema dell’accoglienza dei profughi ad allarmare l’establishment che governa il paese, la destra che controlla la presidenza della Repubblica e il governo.
Poco propenso, quest’ultimo, a rendersi disponibile a copiare il modello delle porte aperte caro alla vicina Angela Merkel e ostile anche a dare il via libera al ricollocamento dei profughi attraverso il sistema delle quote. Una situazione, questa, che ha offerto all’opposizione di sinistra l’occasione di sfruttare la visita di Francesco per denunciare il progressivo allontanamento della Polonia dai valori – più o meno in buona salute – europei. Nelle scorse settimane, non a caso, i leader progressisti erano in testa ai cortei che a Varsavia e Cracovia sfilavano intonando lo slogan “noi siamo e resteremo in Europa”. In mezzo ci sono finiti i vescovi, vicini al partito al governo. Una vicinanza che secondo molti osservatori ostili al presidente Andrzej Duda e alla premier Beata Szydlo si tradurrebbe automaticamente in un’opposizione della gerarchia episcopale polacca al Papa e ai suoi inviti all’accoglienza.

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Fatta la premessa, il testo diffuso dal Vaticano ricorda che i vescovi polacchi fin dall’8 settembre del 2015 avevano rilanciato l’appello del Papa risalente a tre giorni prima, quando all’Angelus Francesco aveva chiesto che “ogni famiglia ospiti una famiglia di profughi”. La Nota riporta quanto disse il presidente della Conferenza episcopale polacca, l’arcivescovo Stanislaw Gadecki, pronto a garantire che la chiesa locale avrebbe fatto “tutto ciò che sarà nel suo potere per aiutare i profughi nella loro drammatica situazione”. Ma ecco il punto che rimanda alla complessa querelle tra governo, opposizione, vescovi e Vaticano: nel documento diffuso sabato, si ricorda – la frase è evidenziata e sottolineata, a rimarcarne l’importanza – un passaggio dell’omelia che proprio mons. Gadecki ha pronunciato lo scorso 10 luglio a Jasna Gora. Il presule, richiamando ancora una volta al dovere dell’accoglienza “verso chi fugge da guerre, violenze e persecuzioni”, aveva detto che “Papa Francesco è a favore di una politica di integrazione e non quella di un multiculturalismo auspicato da ambienti di sinistra”. Più che un tentativo di declinare nel contesto polacco – dove più del 70 per cento dei cittadini, stando a un recente sondaggio indipendente, è ostile ai rifugiati – la linea data da Bergoglio, l’intervento dei vertici episcopali va letto come il tentativo di togliere alle forze di sinistra l’occasione di strumentalizzare il viaggio del Papa in ottica antigovernativa. Si tratta, insomma, di “disinnescare la bomba prima che esploda”, ha scritto il sito cattolico Crux.

I vescovi, infatti, sono consapevoli che tutto ciò che il Papa dirà sul tema dei profughi durante i quattro giorni di permanenza in Polonia sarebbe immediatamente letto con le lenti della battaglia politica, con l’implicita constatazione che i vescovi non sono in linea con i dettami papali – come peraltro era accaduto in occasione del doppio Sinodo sulla famiglia, con i presuli polacchi tra i più determinati a respingere ogni apertura in materia di morale familiare. Assume dunque ancora più rilevanza il discorso che Francesco terrà domani pomeriggio al battagliero episcopato polacco riunito nella cattedrale di Cracovia. Le premesse di una riedizione in chiave europea dell’intervento pronunciato lo scorso settembre ai presuli americani, in cui aveva chiesto di abbandonare la contrapposizione muscolare, ci sono tutte.
di Matteo Matzuzzi | 26 Luglio 2016 

Dobbiamo accettare o rifiutare l’immigrazione? Qualche utile riflessione di San Tommaso d’Aquino

Il problema dell’immigrazione non è nuovo. Se n’è già occupato nel secolo XIII S. Tommaso d’Aquino nella sua celebre Summa Theologica (I-II, Q. 105, Art. 3). Ispirandosi agli insegnamenti delle Sacre Scritture, relativi al popolo ebreo, il Dottor Angelico stabilisce con chiarezza quali siano i limiti dell’accoglienza agli stranieri. Forse possiamo trarne qualche lezione.



S. Tommaso: “Con gli stranieri ci possono essere due tipi di rapporti: l’uno di pace, l’altro di guerra. E rispetto all’uno e all’altro la legge contiene giusti precetti”.

S. Tommaso afferma, dunque, che non tutti gli immigranti sono uguali, perché i rapporti con gli stranieri non sono tutti uguagli: alcuni sono pacifici, altri conflittuali. Ogni nazione ha il diritto di decidere quale tipo di immigrazione può essere ritenuta pacifica, quindi benefica per il bene comune; e quale invece ostile, e quindi nociva. Come misura di legittima difesa, uno Stato può rigettare elementi che ritenga nocivi al bene comune della nazione.

Un secondo punto è il riferimento alla legge, sia divina sia umana. Uno Stato ha il diritto di applicare le proprie leggi giuste.

L’Angelico passa poi all’analisi dell’immigrazione “pacifica”.

S. Tommaso: “Infatti gli ebrei avevano tre occasioni per comunicare in modo pacifico con gli stranieri. Primo, quando gli stranieri passavano per il loro territorio come viandanti. Secondo, quando venivano ad abitare nella loro terra come forestieri. E sia nell’un caso come nell’altro la legge imponeva precetti di misericordia; infatti nell’Esodo si dice: ‘Non affliggere lo straniero’; e ancora: ‘Non darai molestia al forestiero’”.

Qui S. Tommaso riconosce che ci possano essere stranieri che, in modo pacifico e quindi benefico, vogliano visitare un altro paese, oppure soggiornarvi per un certo periodo. Tali stranieri devono essere trattati con carità, rispetto e cortesia, cosa richiesta ad ogni uomo di buona volontà. In tali casi, la legge deve proteggere questi stranieri da qualsiasi sopraffazione.

S. Tommaso: “Terzo, quando degli stranieri volevano passare totalmente nella loro collettività e nel loro rito. In tal caso si procedeva con un certo ordine. Infatti non si riceveva subito come compatrioti: del resto anche presso alcuni gentili era stabilito, come riferisce il Filosofo, che non venissero considerati cittadini, se non quelli che lo fossero stati a cominciare dal nonno, o dal bisnonno”.

In terzo luogo, S. Tommaso menziona coloro che vogliono stabilirsi nel paese. E qui il Dottor Angelico mette una prima condizione per accettarli: il desiderio di integrarsi perfettamente nella vita e nella cultura della nazione ospitante.

Una seconda condizione è che l’accoglienza non sia immediata. L’integrazione è un processo che richiede tempo. Le persone devono adattarsi alla nuova cultura. L’Angelico cita anche Aristotele, il quale afferma che tale processo può richiedere due o tre generazioni. S. Tommaso non stabilisce un tempo ideale, affermando soltanto che esso può essere lungo.

S. Tommaso: “E questo perché, ammettendo degli stranieri a trattare i negozi della nazione, potevano sorgere molti pericoli; poiché gli stranieri, non avendo ancora un amore ben consolidato al bene pubblico, avrebbero potuto attentare contro la nazione”.

L’insegnamento di S. Tommaso, fondato sul senso comune, suona oggi politicamente scorretto. Eppure, è perfettamente logico. L’Angelico evidenzia che vivere in un’altra nazione è cosa molto complessa. Ci vuole tempo per conoscere gli usi e la mentalità del Paese e, quindi, per capire i suoi problemi. Solo quelli che vi abitano da molto tempo, facendo ormai parte della cultura del Paese, a stretto contatto con la sua storia, sono in grado di giudicare meglio le decisioni a lungo termine che convengano al bene comune. È dannoso e ingiusto mettere il futuro del Paese nelle mani di chi è appena arrivato. Anche senza colpa, costui spesso non è in grado di capire fino in fondo cosa stia succedendo, o cosa sia successo, nel Paese che ha scelto come nuova Patria. E questo può avere conseguenze nefaste.

Illustrando questo punto, S. Tommaso nota come gli ebrei non trattavano tutti i popoli in modo uguale. Vi erano nazioni più vicine e, quindi, più facilmente assimilabili. Altre, invece, erano più lontane o addirittura ostili. Alcuni popoli ritenuti ostili non potevano essere accettati in Israele, vista appunto la loro inimicizia.

S. Tommaso: “Ecco perché la legge stabiliva che si potessero ricevere nella convivenza del popolo alla terza generazione alcuni dei gentili che avevano una certa affinità con gli ebrei: cioè gli egiziani, presso i quali gli ebrei erano nati e cresciuti, e gli idumei, figli di Esaù fratello di Giacobbe. Invece alcuni, come gli ammoniti e i moabiti, non potevano essere mai accolti, perché li avevano trattati in maniera ostile. Gli amaleciti, poi, che più li avevano avversati, e con i quali non avevano nessun contatto di parentela, erano considerati come nemici perpetui”.

Le regole, però, non devono essere rigide, possono ammettere eccezioni:

S. Tommaso: “Tuttavia qualcuno poteva essere ammesso nella civile convivenza del popolo con una dispensa, per qualche atto particolare di virtù: si legge infatti nel libro di Giuditta, che Achior, comandante degli Ammoniti, ‘fu aggregato al popolo d’Israele, egli e tutta la discendenza della sua stirpe’ – Così avvenne per la moabita Rut, che era ‘una donna virtuosa’”.

È possibile, dunque, ammettere eccezioni, secondo le concrete circostanze. Tali eccezioni, tuttavia, non sono arbitrarie, hanno bensì sempre in vista il bene comune della nazione. Il generale Achior, per esempio, rischiando la propria vita, era intervenuto presso Oloferne in favore degli ebrei, guadagnandosi in questo modo la loro eterna gratitudine, nonostante la sua origine ammonita.

Ecco alcuni principi in tema di immigrazione enunciati da S. Tommaso d’Aquino, sette secoli orsono. Dai suoi insegnamenti si desume con chiarezza che qualsiasi analisi sull’immigrazione deve essere guidata da due idee-chiave: l’integrità della nazione e il suo bene comune.

L’immigrazione deve avere sempre come scopo l’integrazione, non la disintegrazione o la segregazione, cioè la creazione di piccole “nazioni” contrastanti all’interno del Paese. Oltre a godere dei benefici offertigli dalla sua nuova Patria, l’immigrante deve assumerne anche gli oneri, cioè la piena responsabilità per il bene comune, partecipando alla vita politica, economica, sociale, culturale e religiosa. Diventando un cittadino, l’immigrante passa a essere membro di una vasta famiglia, con un’anima comune, con una storia e un futuro comune, e non soltanto una sorta di azionista in un’azienda, al quale interessano appena il profitto e i benefici.

Poi S. Tommaso insegna che l’immigrazione deve avere sempre in mente il bene comune: essa non può sopraffare o distruggere la nazione.

Ciò spiega perché tanti europei provano una sensazione di sconforto e di apprensione di fronte alle massicce e sproporzionate immigrazioni di questi ultimi anni. Un tale flusso di stranieri, provenienti da culture molto lontane e perfino ostili, introduce situazioni che distruggono gli elementi di unità psicologica e culturale della nazione, distruggendo perciò la stessa capacità della società di assorbire organicamente nuovi elementi. In questo caso, si sta chiaramente attentando contro il bene comune.

Aspetto secondario ma molto importante: quello economico. In mezzo alla più grave crisi economica degli ultimi decenni, l’Europa si può permettere di prendere in carico milioni di immigrati senza ledere il bene comune dei suoi cittadini?

L’immigrazione organica e proporzionata è sempre stata un fattore di sanità e di forza per la società, introducendovi nuova vita e nuovi talenti. Quando, però, diventa sproporzionata e incontrollata, mettendo in pericolo le fondamenta della società e dello Stato, allora diventa pregiudizievole per il bene comune.

Ciò sopratutto quando si tratta di immigrazione, al meno potenzialmente, ostile, secondo le categorie proposte da S. Tommaso.

Farebbe bene l’Europa a seguire i saggi insegnamenti del Dottor Angelico. Un Paese deve usare giustizia e carità nel trattare gli immigranti. Soprattutto, però, deve salvaguardare la concordia e il bene comune, senza i quali un Paese non può durare a lungo. Questo per non parlare della Fede cristiana, il più profondo elemento fondante della nostra civiltà.

di John Horvat

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