La strage Isis a Dacca vista dalla cattolica Asia News
Analisi, fatti e testimonianze dell'agenzia Asia News
A più di 48 ore dalla strage di Dacca –
quando un commando di terroristi ha fatto irruzione nell’Holey Artisan
Bakeryuccidendo 20 ostaggi di cui 9 italiani – aumentano in maniera
crescente i timori per il dilagare del terrorismo in Asia. Ma fanno
sorgere molti interrogativi su come e perché paesi come il Bangladesh si
trovino a fronteggiare in una minaccia simile.
COLPIRE IL GOVERNO E DESTABILIZZARE IL PAESE
Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa del Pime, AsiaNews,
che cita una fonte locale rimasta anonima per motivi di sicurezza, «la strage
compiuta da un commando dello Stato islamico nel cuore della capitale del
Bangladesh ha un obiettivo preciso, ovvero il governo in carica, e uno scopo
evidente: destabilizzare il Paese per renderlo una roccaforte del terrorismo
simile ad alcune aree del Pakistan».
ATTACCO AGLI INVESTIMENTI STRANIERI E ALLA DIPLOMAZIA
La fonte di AsiaNews ha spiegato che
l’assalto, compiuto da otto o nove persone al grido di “Allah è grande”, è
molto simbolico: «Hanno voluto colpire dove fa più male, ovvero nel mondo degli
investimenti stranieri in Bangladesh. Sperano di allontanare tutti gli
stranieri del Paese perché a loro non importa nulla del benessere della
popolazione». Non solo. L’attentato avvenuto nel distretto di Gulshan,
famoso fra gli stranieri che lavorano delle ambasciate presso il Bangladesh,
aveva un altro obiettivo: la diplomazia internazionale. «Hanno voluto
dimostrare di poter attaccare il cuore diplomatico della capitale, un’area che
doveva essere molto controllata», spiega.
L’OBIETTIVO FINALE
Lo scopo? Per la fonte locale interpellata dall’agenzia di
stampa è «creare caos e paura, in modo da poter fare del Bangladesh una
roccaforte del terrorismo. Ma per ottenere questo risultato devono prima far
cadere l’esecutivo e poi spargere ovunque caos e paura. Certo, l’alternativa
non sembra molto positiva: la militarizzazione del Paese e la sospensione dei
diritti civili e democratici fino alla fine della crisi».
LA CAMPAGNA CONTRO I NON MUSULMANI NEL PAESE
Come ricorda AsiaNews, l’assalto è
avvenuto durante l’ultimo venerdì di Ramadan, mese sacro di purificazione per
la religione islamica. In Bangladesh, dove vivono 148 milioni di
musulmani, «sembra essere in corso da tempo una campagna contro i non musulmani
nel Paese, che rappresentano una esigua minoranza». Le violenze degli ultimi
mesi hanno colpito persone comuni, cristiani, musulmani, indù e la moglie del
sovrintendente di polizia di Chittagong.
Il primo ministro Sheikh Hasina, intervenendo
alla televisione nazionale, ha detto: «Si tratta di un atto vigliacco. Che tipo
di musulmani sarebbero queste persone? Non hanno alcuna religione. Il mio
governo è determinato a sradicare il terrorismo dal Bangladesh».
VIOLENZE PERPETRATE SENZA SCHEMA LOGICO
Ma tutto il continente è ormai bacino di potenziali
jihadisti e in Bangladesh le violenze si protraggono da mesi.
«Dall’inizio dell’anno in Bangladesh le vittime uccise sono
una ventina, di diverse religioni e classi sociali. Non ci sono dei target
precisi, ma l’obiettivo degli estremisti sembra essere quello di destabilizzare
il Paese». A dirlo ai microfoni dell’agenzia del Pime qualche
settimana fa era stata una fonte cattolica del Bangladesh, anche
questa rimasta anonima per motivi di sicurezza. «Quello che preoccupa di più –
aggiunge – è che non c’è uno schema logico in queste aggressioni, perciò
bisogna fare ancora più attenzione».
TENSIONE E PAURA TRA LE MINORANZE
Nonostante il maxi blitz delle forze di governo lanciato
recentemente contro presunti terroristi, e che ha portato all’arresto di oltre
5mila persone, «la tensione rimane alta. L’unica informazione certa da parte
delle autorità è che avremo a che fare con le violenze ancora per molto tempo»,
aveva commentato, confermando la situazione di massima allerta che si vive
nelle strade del Paese. «Dappertutto la polizia ha istituito posti di blocco e
controlla chiunque passi». La fonte cattolica aveva inoltre spiegato come gli
stranieri nel nord-ovest del Paese siano da mesi sono sotto scorta: «I loro
movimenti sono controllati e assicurati da guardie del corpo che li seguono in
ogni spostamento», scrive Asia News.
Alcuni giorni fa – racconta un’altra fonte all’agenzia – il
capo della polizia «ha chiamato i responsabili delle minoranze, fra cui pastori
protestanti, sacerdoti indù e parroci e ha consigliato loro ogni prudenza,
provvedendo a piazzare telecamere alle entrate degli edifici e alle porte di
casa».
L’attentato all’Holey Artisan Bakery «rappresenta
una barbarie senza giustificazioni. Il nome di Dio non può e non deve essere
tirato in mezzo a simili atti. Ora tocca ai fedeli islamici intervenire,
alzarsi in piedi per salvare la faccia della loro religione». Ha dichiarato
ad AsiaNews mons. Gervas Rozario, vescovo
di Rajshahi e presidente della Commissione episcopale
Giustizia e pace, commentando la strage del primo luglio scorso.
LE AUTORITÀ NEGANO LA PRESENZA DI GRUPPI TERRORISTICI
L’insorgenza di una guerriglia disorganizzata ma letale,
aveva spiegato qualche settimana fa la fonte anonima all’agenzia, «ha
destabilizzato le autorità, che non si aspettavano un simile sviluppo e non
sanno ancora con certezza quanto tempo sarà necessario per ristabilire
l’ordine». Il problema è anche che «esse continuano a negare la presenza di
gruppi terroristi legati ad Al-Qaeda o allo Stato islamico (Isis), ma la scorsa
settimana l’ispettore generale della polizia di Chittagong ha ammesso per la
prima volta la presenza di due gruppi attivi sul territorio. Si tratta del
Jama’atul Mujahideen Bangladesh (Jmb) e dell’Anser al-Islam. Ma il governo non
ha ancora fatto un’ammissione ufficiale», spiegava.
Secondo quanto riporta Asia News alcuni
esponenti di questi due movimenti – accusati di coinvolgimento in vari omicidi
di studenti, professori, blogger e attivisti della comunità Lgbt –, sono in
queste ore nel mirino delle autorità, che hanno diramato un’imponente azione di
polizia, criticata però dalle forze di opposizione che lamentano una sorta di
“pulizia politica” da parte del governo. Per far luce sulle motivazioni dei
criminali, la fonte aveva ribadito come «coloro che sono morti, erano tutte
vittime, non bersagli designati e precisi. L’unica cosa certa è che c’è qualcuno
che vuole portare il caos nel Paese. Non sappiamo se sia il terrorismo
internazionale. Anzi, molti ritengono che gli estremisti vengano dall’interno».
Tesi che sarebbe confermata dalla notizia giunta poche ore
fa, secondo cui il commando di Dacca non aveva alcun
collegamento con l’Isis. Stando a quanto dichiarato dal ministro degli
Interni bengalese Asaduzzaman Khan, i giovani «erano membri del
gruppo jihadista Jumatul Mujahedeen Bangladesh», dichiarato illegale nel paese
da più di dieci anni.
Solo il governo del Bangladesh, come hanno rilevato i nostri media con giusta riprovazione, insiste a dire che l’IS non c’è nel paese, e che si tratta di avversari interni e internazionali. Ha addirittura imbastito una polemica con Rita Katz, che è sempre la prima a pubblicare le foto dei morti ammazzati dell’IS da quado detto IS è in Bangladesh; e Rita Katz ha risposto per le rime, come si evince da questo comunicato:
Il motivo per cui l’IS – quello vero – s’è dovuto espandere anche in Bangladesh è presto detto: questo stato di quasi 10 milioni di abitanti s’è fortemente legato a Pechino. Appoggia esplicitamente e “fortemente” la pretesa cinese sulle isole disputate del Mar Cinese Meridionale. Il 30 maggio scorso, quando il ministro della Difesa cinese Chang Wanquan ha incontrato a Dhakka il presidente del Bangladesh, Abdul Hamid, Hamid ha dichiarato che su quelle isole disputate la Cina ha ragione, ma anche che le parti interessate – vale a dire gli Stati Uniti, che sulle installazioni cinesi fanno continue provocazioni aeronavali devono risolvere le loro questioni con negoziati.
Chang Wanquan ha spiegato in quell’occasione che Pechino intende coinvolgere il paese nel “corridoio economico” Bangladesh-Cina-India-Birmania (BCIM), coi grandi investimenti infrastrutturali (canali, ferrovie, tunnel subacquei) che è pronta a mettere in campo per dare” prosperità significativa e stabilità” alla regione; ha coinvolto il Bangladesh anche nella ‘nuova via della Seta’; è interessata infatti allo sviluppo del porto di Chittagong, che è il terzo per importanza nell’area dopo Mumbai e Colombo, come parte della “Collana di Perle”, poetico nome dato alla fila di grossi porti che Pechino sta allargando e dragando onde renderli accessibili a mea-petroliere fra il Golfo Persico e la madrepatria, per garantire il traporto del greggio via mare ed altre merci sempre attraverso paesi amici.
Specie quest’ultimo progetto ha suscitato l’irritazione di Washington, che col suo alleato Giappone, contava di portare il Bangladesh sotto il controllo americano, dopo essere già riuscita con successo ad operare il “cambio di regime” in Sri Lanka, con la rimozione, nel gennaio 2015, del presidente Mahinda Rajapakse e la sua sostituzione con il filo-americano Maithripala Sirisena. Dell’irritazione americana ha reso conto la rivista europeaModern Diplomacy:
Lo stesso giorno il ministro cinese (che è anche generale) s’è incontrato col premier del Bangladesh Sheik Hasina, ed insieme hanno firmato un accordo di piena cooperazione militare. La Cina è già il primo fornitore militare del Bangladesh, come ne è il primo partner commerciale; il fatto che il generale-ministro cinese si sia voluto incontrare anche con l’intero stato maggiore bengalese, suggerisce che si sia stretta una vera e propria alleanza militare, come si desume dall’articolo di China Military:
Poteva il Califfo sopportare un simile affronto agli interessi occidentali? Ovviamente non poteva. Come hanno spiegato i nostri media, più l’IS è in difficoltà e sta per essere disfatto in Siria, e più si trasforma in un franchising mondiale, che aumenta e migliora prodigiosamente la sua capacità di condurre nei posti più lontani dalla Siria attentati terroristici clamorosi, che vengono puntualmente coperti da Rita Katz e dalla sua celebre ditta.
Eh sì, è così. Solo il ministro dell’interno bengalese, Asaduzzaman Khan, insiste a dire che gli attentatori non erano dell’IS; che erano ragazzi di ottime famiglie locali, benestanti, che parlano fra loro in inglese, studenti universitari, e nessuno di loro veniva da una madrassa. Alla domanda perché ragazzi simili abbiano potuto fare una cosa simile, ha risposto: “Perché è una moda”. Se vi sembra strano, è perché siete troppo giovani per ricordare come anche da noi quella delle Brigate Rosse fu una moda, che attraeva molti giovani nella scelta della lotta armata e nella clandestinità. Un état d’esprit collettivo, che evidentemente s’è instaurato in Bangladesh.
Resterebbe da sapere se la strage di italiani e giapponesi corrisponde a qualche tipo di messaggio che “Rita Katz” vuole mandare a questi due paesi, alleati della Superpotenza, oppure la Holey Bakery è stata scelta perché era un bersaglio facile e accessibile. Non siamo in grado di illuminarvi su questo. Lo sa il Katz.
Dacca, l’Islam moderato e il politicamente corretto estremista
di Giuliano Guzzo
Hanno fatto irruzione armati all’Holey Artisan Bakery di Dacca, locale frequentatissimo da occidentali, hanno separato i musulmani dagli altri ed hanno iniziato a sgozzare tutti gli altri, rei di non esserlo e di non saper recitare in arabo – come prescrive il Corano – la dichiarazione di fede all’Islam: il commando di jihadisti non ha insomma avuto alcuna pietà uccidendo, fra gli altri, dieci nostri connazionali (e non nove, come scrivono i giornali: Simona Monte, 33 anni, una delle vittime, era incinta da settimane). Una strage che quindi non sconvolge solo il Bangladesh, non è neppure ascrivibile solo all’ISIS e non è neppure, a ben vedere, una novità assoluta: dal febbraio 2013 sono 40, infatti, le persone assassinate da vari gruppi islamici – 12 solo nelle ultime 14 settimane – ed è ancora viva la memoria di Ovidio Marandy, giovane cattolico trucidato dagli estremisti islamici nel distretto di Gaibandha, Bangladesh settentrionale.
Una strage, quella di Dacca, che non è quindi che l’ultimo, sanguinosissimo episodio d’una serie di violenze che dura da tempo e con una sola matrice: l’estremismo islamista. E odio, follia e terrore sono parole buone – davanti a stragi come questa – solo a distogliere l’attenzione dall’evidenza e non è un caso che siano ora le più pronunciate: quasi che delle responsabilità islamiche non si dovesse parlare e ci si dovesse limitare, all’insegna di un penoso rituale, a ricordare che esiste pure l’Islam «moderato» e che per un estremista ci sono mille bravissimi mussulmani. Ora, non so voi ma a me tutto questo inizia a stancare e fatico a non trovare sensate le parole di mons. Gervas Rozario, vescovo di Rajshahi e presidente della Commissione episcopale Giustizia e pace, il quale è stato molto chiaro: «Ora tocca agli islamici del Paese: si devono alzare in piedi per salvare l’immagine e la faccia della propria religione». Chiaro? «Ora tocca agli islamici». Non basta dissociarsi a posteriori, non più.
Occorre cioè che l’Islam «moderato» ricordi la propria esistenza non solo – come avviene da anni – dissociandosi dopo l’ennesimo atto di terrorismo: occorre che lo faccia concretamente, da subito. Per esempio: per quale ragione non è mai successo che dei mussulmani abbiano denunciato alle autorità sospetti jihadisti? Possibile che il terrorismo islamista prosperi sempre nell’ombra, all’insaputa di tutti e tutto, senza che nessuno sappia? Strano: perché sono poi loro, i terroristi, com’è accaduto a Dacca, a separare i mussulmani dai cristiani: segno che qualcosa non torna. Ricordo che, dopo una strage – mi pare quella di Parigi – un nostro telegiornale intervistò dei mussulmani italiani per commentare l’accaduto e uno di questi, credo nel tentativo di dissociarsi, si dichiarò dispiaciuto perché quella «era stata una sciocchezza». Cosa? Una «sciocchezza»? Stiamo scherzando? Ora, può darsi che quel tale intervistato avesse una scarsa conoscenza dell’italiano, ma è chiaro come non basti che l’Islam «moderato» autocertifichi la propria esistenza.
Non più: troppo comodo. Occorre, che gli islamici – come dichiarato da mons. Gervas Rozario – si alzino in piedi e ci mettano la faccia. Attendiamo fiduciosi. Nel frattempo, c’è da augurarsi che anche l’Occidente, poiché la strage di Dacca è un chiaro messaggio a tutti noi, prenda delle contromisura abbandonando non già l’islamofobia bensì l’islamofilia; senza rispolverare odiosi pregiudizi, infatti, è opportuno che, in particolare l’Europa, cessi di odiare il proprio passato e le proprie radici smettendo di ritenere intrinsecamente buono tutto ciò che non appartiene al suo DNA, Islam in primis: il fatto che il sindaco di Londra sia mussulmano e che mussulmano sia un ministro francese – due esempi evocati da una entusiasta Lilli Gruber nel corso di una trasmissione, a dimostrazione, secondo lei, che l’integrazione è realtà – non significa proprio nulla. L’integrazione non è un fatto individuale, ma collettivo, fra culture.
Ed ho i miei dubbi, francamente, che un’Europa stritolata fra un laicismo sempre più spinto e un’esterofilia sempre più ridicola sappia fare integrazione: ho invece la sensazione che stiamo sempre più confondendo l’integrazione altrui con la nostra disintegrazione, non solo perché non abbiamo valori ma perché pensiamo di averli solo nella libertà di scelta, di vestirci come ci pare e piace, di farci l’aperitivo in santa pace. A questo, addolora dirlo, ci stiamo riducendo: a guardiani del Nulla, allo smidollamento elevato a principio, senza niente che valga la pena difendere al di là del proprio ombelico. Difficile allora stupirsi di quanto ha rilevato un test choc effettuato mesi fa nella nostra scuola e che ha rivelato che, se domani arrivasse l’ISIS, 23 studenti su 25 ci convertirebbero: e verosimilmente, magari, reciterebbero pure i versetti del Corano che i nostri connazionali non hanno saputo: ci rendiamo conto del livelli a cui ci stiamo abbassando? Riflettiamoci un po’ sopra, almeno. Dacca non è poi così lontana.
https://giulianoguzzo.com/2016/07/03/dacca-lislam-moderato-e-il-politicamente-corretto-estremo/
Hanno fatto irruzione armati all’Holey Artisan Bakery di Dacca, locale frequentatissimo da occidentali, hanno separato i musulmani dagli altri ed hanno iniziato a sgozzare tutti gli altri, rei di non esserlo e di non saper recitare in arabo – come prescrive il Corano – la dichiarazione di fede all’Islam: il commando di jihadisti non ha insomma avuto alcuna pietà uccidendo, fra gli altri, dieci nostri connazionali (e non nove, come scrivono i giornali: Simona Monte, 33 anni, una delle vittime, era incinta da settimane). Una strage che quindi non sconvolge solo il Bangladesh, non è neppure ascrivibile solo all’ISIS e non è neppure, a ben vedere, una novità assoluta: dal febbraio 2013 sono 40, infatti, le persone assassinate da vari gruppi islamici – 12 solo nelle ultime 14 settimane – ed è ancora viva la memoria di Ovidio Marandy, giovane cattolico trucidato dagli estremisti islamici nel distretto di Gaibandha, Bangladesh settentrionale.
Una strage, quella di Dacca, che non è quindi che l’ultimo, sanguinosissimo episodio d’una serie di violenze che dura da tempo e con una sola matrice: l’estremismo islamista. E odio, follia e terrore sono parole buone – davanti a stragi come questa – solo a distogliere l’attenzione dall’evidenza e non è un caso che siano ora le più pronunciate: quasi che delle responsabilità islamiche non si dovesse parlare e ci si dovesse limitare, all’insegna di un penoso rituale, a ricordare che esiste pure l’Islam «moderato» e che per un estremista ci sono mille bravissimi mussulmani. Ora, non so voi ma a me tutto questo inizia a stancare e fatico a non trovare sensate le parole di mons. Gervas Rozario, vescovo di Rajshahi e presidente della Commissione episcopale Giustizia e pace, il quale è stato molto chiaro: «Ora tocca agli islamici del Paese: si devono alzare in piedi per salvare l’immagine e la faccia della propria religione». Chiaro? «Ora tocca agli islamici». Non basta dissociarsi a posteriori, non più.
Occorre cioè che l’Islam «moderato» ricordi la propria esistenza non solo – come avviene da anni – dissociandosi dopo l’ennesimo atto di terrorismo: occorre che lo faccia concretamente, da subito. Per esempio: per quale ragione non è mai successo che dei mussulmani abbiano denunciato alle autorità sospetti jihadisti? Possibile che il terrorismo islamista prosperi sempre nell’ombra, all’insaputa di tutti e tutto, senza che nessuno sappia? Strano: perché sono poi loro, i terroristi, com’è accaduto a Dacca, a separare i mussulmani dai cristiani: segno che qualcosa non torna. Ricordo che, dopo una strage – mi pare quella di Parigi – un nostro telegiornale intervistò dei mussulmani italiani per commentare l’accaduto e uno di questi, credo nel tentativo di dissociarsi, si dichiarò dispiaciuto perché quella «era stata una sciocchezza». Cosa? Una «sciocchezza»? Stiamo scherzando? Ora, può darsi che quel tale intervistato avesse una scarsa conoscenza dell’italiano, ma è chiaro come non basti che l’Islam «moderato» autocertifichi la propria esistenza.
Non più: troppo comodo. Occorre, che gli islamici – come dichiarato da mons. Gervas Rozario – si alzino in piedi e ci mettano la faccia. Attendiamo fiduciosi. Nel frattempo, c’è da augurarsi che anche l’Occidente, poiché la strage di Dacca è un chiaro messaggio a tutti noi, prenda delle contromisura abbandonando non già l’islamofobia bensì l’islamofilia; senza rispolverare odiosi pregiudizi, infatti, è opportuno che, in particolare l’Europa, cessi di odiare il proprio passato e le proprie radici smettendo di ritenere intrinsecamente buono tutto ciò che non appartiene al suo DNA, Islam in primis: il fatto che il sindaco di Londra sia mussulmano e che mussulmano sia un ministro francese – due esempi evocati da una entusiasta Lilli Gruber nel corso di una trasmissione, a dimostrazione, secondo lei, che l’integrazione è realtà – non significa proprio nulla. L’integrazione non è un fatto individuale, ma collettivo, fra culture.
Ed ho i miei dubbi, francamente, che un’Europa stritolata fra un laicismo sempre più spinto e un’esterofilia sempre più ridicola sappia fare integrazione: ho invece la sensazione che stiamo sempre più confondendo l’integrazione altrui con la nostra disintegrazione, non solo perché non abbiamo valori ma perché pensiamo di averli solo nella libertà di scelta, di vestirci come ci pare e piace, di farci l’aperitivo in santa pace. A questo, addolora dirlo, ci stiamo riducendo: a guardiani del Nulla, allo smidollamento elevato a principio, senza niente che valga la pena difendere al di là del proprio ombelico. Difficile allora stupirsi di quanto ha rilevato un test choc effettuato mesi fa nella nostra scuola e che ha rivelato che, se domani arrivasse l’ISIS, 23 studenti su 25 ci convertirebbero: e verosimilmente, magari, reciterebbero pure i versetti del Corano che i nostri connazionali non hanno saputo: ci rendiamo conto del livelli a cui ci stiamo abbassando? Riflettiamoci un po’ sopra, almeno. Dacca non è poi così lontana.
https://giulianoguzzo.com/2016/07/03/dacca-lislam-moderato-e-il-politicamente-corretto-estremo/
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