ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 6 luglio 2016

Overton church

La finestra di Overton nella chiesa


Cari amici,
nei mesi scorsi abbiamo già affrontato la questione della «finestra di Overton» (qui e qui). Diceva il Card. Bagnasco:
«Così che ciò che fino a ieri era impensabile oggi diventa plausibile e addirittura oggetto di legislazione. In diversi Paesi europei, perfino certe aberrazioni come la pedofilia, l’incesto, l’infanticidio, il suicidio assistito sono motivo di discussioni e di interrogativi non astratti.
È risaputo che tutto ciò non è casuale: attraverso alcune tecniche di persuasione delle masse – la più nota è la cosiddetta “finestra di Overton”, una finestra mentale che si allarga sempre di più attraverso sei fasi precise – si riesce a far accettare l’introduzione e la successiva legalizzazione di qualsiasi idea o fatto sociale, fosse anche la pratica che, al momento, l’opinione pubblica ritiene maggiormente inaccettabile. Uno di questi passaggi è quello che potremmo chiamare la “cultura degli eufemismi”: consiste nel chiamare le cose peggiori con nomi meno brutali e respingenti per la sensibilità generale.»
Riassumendo: sulla base della finestra di Overton, si possono costruire (e sono state costruite) campagne a favore di alcune idee non ancora accettate dalla società. Le idee passano dalle seguenti fasi:
impensabili (inaccettabile, vietato);
radicali (vietato ma con eccezioni);
accettabili;
sensate (razionalmente difendibili);
diffuse (socialmente accettabili);
legalizzate (introdotte a pieno titolo)

Questo schema è utilizzato anche dai novatori per costruire la nuova chiesa, che in realtà è l’anti-chiesa. Abbiamo già detto che il punto decisivo è l’attacco al Sacrificio eucaristico della Santa Messa. Decisiva è la natura dell’eucaristia: per noi cattolici al momento della consacrazione il pane ed il vino transustanziano nel Corpo e nel Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo. Transustanziazione significa che il pane ed il vino permangono solo nella specie apparente ma in realtà si trasformano sostanzialmente nel Corpo e Sangue di NSGC. Tutti i Protestanti negano decisamente questo grande mistero, al più parlano di presenza spirituale.
A questo punto, per qualsiasi cattolico degno di questo nome, è evidente che l’intercomunione è impossibile, impensabile, inaccettabile e vietato. Questo è il punto 1 della finestra di Overton.
I cattolici novatori cripto-protestanti, però, stanno applicando la finestra di Overton per fare deviare la Santa Chiesa verso l’eresia luterana.
Ed ecco il punto 2, quello radicale (vietato ma con eccezioni). Entriamo nel merito: si parte da un domanda che sembra lecita o innocua: “Si può partecipare insieme alla Cena del Signore?” che, secondo il punto 1, presuppone una risposta secca e decisa e di due sole lettere: NO! Ma con il punto 2 s’inocula il veleno dell’eccezione:
Si può partecipare insieme alla Cena del Signore?A questo punto si ricollega papa Francesco, il quale prosegue: “Ma non abbiamo lo stesso battesimo? E se abbiamo lo stesso battesimo, dobbiamo camminare insieme. Lei [il papa si riferisce alla signora che aveva posto la domanda] è una testimonianza di un cammino anche profondo, perché è un cammino coniugale, un cammino proprio di famiglia, di amore umano e di fede condivisa. [...] Quando lei si sente peccatrice – anch’io mi sento tanto peccatore –, quando suo marito si sente peccatore, lei va davanti al Signore e chiede perdono; Suo marito fa lo stesso e va dal sacerdote e chiede l’assoluzione. Sono rimedi per mantenere vivo il battesimo. Quando voi pregate insieme, quel battesimo cresce, diventa forte. [...] La domanda: e la Cena? Ci sono domande alle quali, soltanto se uno è sincero con se stesso e con le poche luci teologiche che io ho, si deve rispondere lo stesso [...]. ‘Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue’, ha detto il Signore; ‘fate questo in memoria di me’, e questo è un viatico che ci aiuta a camminare”.
Ma allora si può partecipare insieme alla Cena del Signore? A questo proposito il papa ha fatto una distinzione: “Io non oserò mai dare il permesso di fare questo, perché non è mia competenza”. Poi ha aggiunto, ricordando le parole dell’apostolo Paolo: “Un battesimo, un Signore, una fede” (Ef 4, 5), e ha esortato, continuando: “È un problema a cui ognuno deve rispondere. [...] Parlate col Signore e andate avanti”.
Qui entra in gioco la missione principale della Chiesa, formulata anche nel Codice di diritto canonico come “salus animarum, quae in Ecclesia suprema lex esse debet” (cfr. 1752). La necessità di una valutazione concreta su ciascun singolo caso è assolutamente ribadita da quella che è la missione precipua della Chiesa, la “salus animarum”. In forza di ciò, di fronte a casi estremi, l’accesso alla vita di grazia che i sacramenti garantiscono, soprattutto nel caso dell’amministrazione della eucaristia e della riconciliazione, diviene imperativo pastorale e morale.
[(Quaderno N°3985 del 09/07/2016 - (Civ. Catt. III 3-104 )): “CATTOLICI E LUTERANI. L’ECUMENISMO NELL’«ECCLESIA SEMPER REFORMANDA» di Giancarlo Pani S.I. Civiltà cattolica]


Come vedete, la riposta è lunga e… senza risposta chiara. Quel gran genio di G.K. Chesterton scriveva in Eugenetica e altri malanni: “Le parole brevi allarmano, mentre le parole lunghe tranquillizzano. Dite loro: i poteri persuasivi e finanche coercitivi del cittadino dovrebbero consentirgli di far sì che la longevità della generazione precedente non diventi un fardello eccessivo e intollerabile, specie per le donne; dite così e dondoleranno dolcemente come infanti messi a dormire nella culla. Dite loro: uccidi tua madre, e avranno un soprassalto. Eppure le due frasi, a rigor di logica, sono esattamente identiche”
Avete notato il punto decisivo del discorso di Pani? Ve lo riscrivo: “La necessità di una valutazione concreta su ciascun singolo caso è assolutamente ribadita da quella che è la missione precipua della Chiesa, la “salus animarum”. In forza di ciò, di fronte a casi estremi, l’accesso alla vita di grazia che i sacramenti garantiscono, soprattutto nel caso dell’amministrazione della eucaristia e della riconciliazione, diviene imperativo pastorale e morale”. Questo è il cuore del punto 2, ossia il passaggio dal vietato al radicale (vietato ma con eccezioni).
Dov’ è la fallacia del discorso di Pani? È abbastanza evidente ed è il metodo classico usato per sdoganare tutte le porcherie bioetiche, dall’aborto all’fecondazione extracorporea, passando per l’utero in affitto e i matrimoni gay fino all’eutanasia.
Si parte da una legge generale sacrosanta “salus animarum, quae in Ecclesia suprema lex esse debet” (cfr. 1752)”, la si spiega correttamente in termini generali: “La necessità di una valutazione concreta su ciascun singolo caso è assolutamente ribadita da quella che è la missione precipua della Chiesa, la “salus animarum”. In forza di ciò, di fronte a casi estremi, l’accesso alla vita di grazia che i sacramenti garantiscono, soprattutto nel caso dell’amministrazione della eucaristia e della riconciliazione, diviene imperativo pastorale e morale”, ma è ASSOLUTAMENTE ERRATA NELL’APPLICAZIONE DEL CASO IN QUESTIONE. Sulla corretta applicazione si tace, si transige. Scopriamo bene il trucchetto: lo stesso Pani, più avanti, cita il Codice di diritto canonico (can. 844 § 4):
Del resto, dieci anni prima, il Codice di diritto canonico dettava le condizioni in cui i fedeli delle Chiese nate dalla Riforma (luterani, anglicani ecc.) possono ricevere i sacramenti in particolari circostanze: per esempio, “se non possono accedere al ministro della propria comunità e li chiedano spontaneamente, purché manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti” (can. 844 § 4).


Leggiamo in toto il can. 844:
Can. 844 - §1. I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti ai soli fedeli cattolici, i quali parimenti li ricevono lecitamente dai soli ministri cattolici, salve le disposizioni dei §§2, 3 e 4 di questo canone e del can. 861, §2.
§2. Ogniqualvolta una necessità lo esiga o una vera utilità spirituale lo consigli e purché sia evitato il pericolo di errore o di indifferentismo, è lecito ai fedeli, ai quali sia fisicamente o moralmente impossibile accedere al ministro cattolico, ricevere i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi da ministri non cattolici, nella cui Chiesa sono validi i predetti sacramenti.
§3. I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi ai membri delle Chiese orientali, che non hanno comunione piena con la Chiesa cattolica, qualora li richiedano spontaneamente e siano ben disposti; ciò vale anche per i membri delle altre Chiese, le quali, a giudizio della Sede Apostolica, relativamente ai sacramenti in questione, si trovino nella stessa condizione delle predette Chiese orientali.
§4. Se vi sia pericolo di morte o qualora, a giudizio del Vescovo diocesano o della Conferenza Episcopale, urgesse altra grave necessità, i ministri cattolici amministrano lecitamente i medesimi sacramenti anche agli altri cristiani che non hanno piena comunione con la Chiesa cattolica, i quali non possano accedere al ministro della propria comunità e li chiedano spontaneamente, purché manifestino, circa questi sacramenti, la fede cattolica e siano ben disposti.
§5. Per i casi di cui nei §§2, 3 e 4, il Vescovo diocesano o la conferenza dei Vescovi non diano norme generali, se non dopo aver consultato l’autorità competente almeno locale della Chiesa o della comunità non cattolica interessata.

Giustamente, secondo il succitato Codice di diritto canonico un Protestante che rifiuta pervicacemente la transustanziazione, che avviene nel Sacrificio eucaristico, non solo NON può partecipare ad una comunione che sarebbe sacrilega, ma NON lo potrà mai perché la proibizione è sancita dalla legge divina [Concilio Vaticano II. Decr. sulle Chiese orientali cattoliche Orientalium Ecclesiarum, 26]!
Pani, più avanti, cita l’ultima enciclica di Giovanni Paolo II, “Ecclesia de eucharistia”, in maniera molto fumosa:
Papa Giovanni Paolo II, nella lettera enciclica “Ecclesia de eucharistia”, del 2003, ha precisato alcuni punti al riguardo, asserendo che “occorre badare bene a queste condizioni, che sono inderogabili, pur trattandosi di casi particolari determinati”, come quella del “pericolo di morte o altra grave necessità”.

Leggiamo in toto il n. 44-45-46 di “Ecclesia de eucharistia”:
44. Proprio perché l’unità della Chiesa, che l’Eucaristia realizza mediante il sacrificio e la comunione al corpo e al sangue del Signore, ha l’inderogabile esigenza della completa comunione nei vincoli della professione di fede, dei Sacramenti e del governo ecclesiastico, non è possibile concelebrare la stessa liturgia eucaristica fino a che non sia ristabilita l’integrità di tali vincoli. Siffatta concelebrazione non sarebbe un mezzo valido, e potrebbe anzi rivelarsi un ostacolo al raggiungimento della piena comunione, attenuando il senso della distanza dal traguardo e introducendo o avallando ambiguità sull’una o sull’altra verità di fede. Il cammino verso la piena unità non può farsi se non nella verità. In questo tema il divieto della legge della Chiesa non lascia spazio a incertezze,92 in ossequio alla norma morale proclamata dal Concilio Vaticano II93 (nota 93 «La comunicazione in cose sacre che offende l’unità della Chiesa o include la formale adesione all’errore o il pericolo di errare nella fede, di scandalo e di indifferentismo, è proibita dalla legge divina»: Decr. sulle Chiese orientali cattoliche Orientalium Ecclesiarum, 26.)
Vorrei comunque ribadire quello che nella Lettera enciclica Ut unum sint soggiungevo, dopo aver preso atto dell’impossibilità della condivisione eucaristica: «Eppure noi abbiamo il desiderio ardente di celebrare insieme l’unica Eucaristia del Signore, e questo desiderio diventa già una lode comune, una stessa implorazione. Insieme ci rivolgiamo al Padre e lo facciamo sempre di più “con un cuore solo”».
45. Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza della piena comunione, non accade lo stesso rispetto all’amministrazione dell’Eucaristia, in circostanze speciali, a singole persone appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso, infatti, l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza di singoli fedeli, non di realizzare una intercomunione, impossibile fintanto che non siano appieno annodati i legami visibili della comunione ecclesiale.
In tal senso si è mosso il Concilio Vaticano II, fissando il comportamento da tenere con gli Orientali che, trovandosi in buona fede separati dalla Chiesa cattolica, chiedono spontaneamente di ricevere l’Eucaristia dal ministro cattolico e sono ben disposti. Questo modo di agire è stato poi ratificato da entrambi i Codici, nei quali è considerato anche, con gli opportuni adeguamenti, il caso degli altri cristiani non orientali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica.
46. Nell’Enciclica Ut unum sint io stesso ho manifestato apprezzamento per questa normativa, che consente di provvedere alla salvezza delle anime con l’opportuno discernimento: «È motivo di gioia ricordare che i ministri cattolici possano, in determinati casi particolari, amministrare i sacramenti dell’Eucaristia, della Penitenza, dell’Unzione degli infermi ad altri cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, ma che desiderano ardentemente riceverli, li domandano liberamente, e manifestano la fede che la Chiesa cattolica confessa in questi Sacramenti. Reciprocamente, in determinati casi e per particolari circostanze, anche i cattolici possono fare ricorso per gli stessi Sacramenti ai ministri di quelle Chiese in cui essi sono validi».
Occorre badare bene a queste condizioni, che sono inderogabili, pur trattandosi di casi particolari determinati, poiché il rifiuto di una o più verità di fede su questi Sacramenti e, tra di esse, di quella concernente la necessità del Sacerdozio ministeriale affinché siano validi, rende il richiedente non disposto ad una loro legittima amministrazione. Ed anche inversamente, un fedele cattolico non potrà ricevere la comunione presso una comunità mancante del valido sacramento dell’Ordine.
La fedele osservanza dell’insieme delle norme stabilite in questa materia è manifestazione e, al contempo, garanzia di amore sia verso Gesù Cristo nel santissimo Sacramento, sia verso i fratelli di altra confessione cristiana, ai quali è dovuta la testimonianza della verità, come anche verso la stessa causa della promozione dell’unità. 

Nell’enciclica è espresso chiaramente il concetto ed il fine: “l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza di singoli fedeli, non di realizzare una intercomunione, impossibile fintanto che non siano appieno annodati i legami visibili della comunione ecclesiale”.
L’articolo di Pani riguarda proprio l’intercomunione ed è in pieno contrasto con il magistero di San Giovanni Paolo II:
Il 31 ottobre 2015, festa della Riforma, la Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti e la Chiesa evangelica luterana in America hanno pubblicato una dichiarazione congiunta che fa il punto sulla storia dell’ecumenismo nell’ultimo mezzo secolo. […] Il testo è stato reso noto dopo la chiusura del Sinodo dei vescovi sulla famiglia e in vista della commemorazione comune dei 500 anni della Riforma nel 2017. […] Il documento si conclude con una rilevante proposta positiva: “La possibilità di un’ammissione, sia pure sporadica, dei membri delle nostre Chiese alla comunione eucaristica con l’altra parte (cioè la ‘communicatio in sacris’) potrebbe essere offerta più chiaramente e regolata in modo più misericordioso (compassionately)”

e non c’è altro da aggiungere, se non rimarcare che, secondo il Concilio Vaticano II ripreso dall’enciclica Ecclesia de Eucharistia, «la comunicazione in cose sacre che offende l’unità della Chiesa o include la formale adesione all’errore o il pericolo di errare nella fede, di scandalo e di indifferentismo, è proibita dalla legge divina» [Decr. sulle Chiese orientali cattoliche Orientalium Ecclesiarum, 26].
La battaglia sulla realtà dell’eucaristia è in pieno svolgimento.

San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia!
mercoledì 6 luglio 2016

Autore: Mondinelli, Andrea  Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it

1 commento:

  1. ha voglia la pastora a invocare lo spirito.....quello rimane pane e lei una buffona che mima le "le Istituzioni di Dio" blasfema ...poverina...renderà conto al Signore...poverino chi fa maneggiare il Corpo di Cristo senza averne il diritto....

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