Putin, Erdogan e la Siria
E così, dopo tanta attesa, disturbata da un fallito colpo di
Stato in Turchia tentato proprio per mandare all’aria questo impossibile
riavvicinamento, Putin ed Erdogan si sono incontrati.
Un incontro che chiude i mesi di gelo, seguiti
all’abbattimento di un velivolo militare russo da parte dei turchi, al quale
Mosca aveva risposto emanando sanzioni durissime contro Ankara.
Proprio le sanzioni russe sono state al centro dei colloqui:
saranno gradualmente sollevate, ma, cosa molto più importante per Ankara, sarà
ripristinato il progetto Turkish Stream, la nuova via del petrolio russo
diretto in Europa.
E però sulla crisi siriana, il vero nodo da sciogliere per
dare effettiva valenza ai rapporti tra i due Stati e per dare una speranza di
stabilità alla regione, le divergenze sono ancora tutte la sciogliere.
Significativa la sintesi delle rispettive agenzie di stampa:
se quella turca, Anadolu, accenna solo a una convergenza non meglio specificata
su un «obiettivo finale» (si immagina di pace), Ria Novosti dettaglia che la
questione siriana sarà messa a tema in prossimi incontri, che si terranno tra i
rispettivi ministri degli Esteri e dirigenti dei servizi segreti.
Purtroppo a complicare la diatriba è la complessità della
crisi siriana: i tanti attori regionali e locali ne fanno una vera e propria
guerra mondiale.
Una guerra dalla quale si può uscire solo attraverso un
compromesso tra Mosca e Washington.
Compromesso che, però, finora, sembrava dover tagliar fuori
la Turchia, uno dei protagonisti della crisi, dal momento che gli Stati Uniti,
garanti del fronte anti-Assad, erano più propensi a favorire i loro alleati
sauditi (e in generale il fronte sunnita), piuttosto che accondiscendere alle
mire territoriali di Ankara.
Ciò perché sia per Washington che per Israele, convitato di
pietra di questa guerra, è sempre stato prioritario rafforzare l’asse anti-Iran
piuttosto che accondiscendere alle mire territoriali turche sul suolo siriano.
Da questo punto di vista, l’incontro tra il sultano turco e
il nuovo Costantino, avvenuto
nell’omonimo palazzo di San Pietroburgo, spariglia le carte: se è vero che non
è possibile chiudere la crisi siriana solo attraverso un accordo tra i due
convenuti, è però possibile che Putin sia in grado di offrire a Erdogan quei
benefici che invano il sultano ha preteso dai suoi alleati Nato, frenati
dall’ossessione anti-iraniana.
Putin ha molto da offrire, non solo direttamente, ma anche
attraverso i suoi alleati nella regione: dall’Iran ai Paesi caucasici, area di
vitale importanza per gli interessi turchi.
Vedremo gli sviluppi, purtroppo complicati dalle elezioni
americane. I neocon, ormai certi dell’elezione della loro beniamina Hillary Clinton,
stanno già progettando un futuro di bombe: sulla Siria come sull’Iran. In
questo clima è ardua ogni possibile chiusura della crisi.
Anzi, il prolungamento del conflitto è vitale per chi crede
che la Clinton alla Casa Bianca saprà ribaltare la situazione che vede oggi
Assad e i suoi alleati in vantaggio.
E per prolungare il conflitto si usa di tutto: non solo armi
e miliziani, ma anche, e soprattutto, la propaganda.
In particolare l’emergenza umanitaria, mai come in questa
crisi utilizzata a scopi militari: ogni volta che sembra che la vittoria arrida
alle forze lealiste, l’Onu e altre agenzie umanitarie lanciano appelli
disperati sulle condizioni umanitarie del popolo siriano, completamente
ignorate quando a martellare sono le forze del terrore anti-Assad.
È accaduto anche su quest’ultima decisiva, battaglia di
Aleppo. Grazie all’appello dell’Onu, in parte accolto dalla Russia, le forze
anti-Assad possono rifiatare, ricevere aiuti umanitari (come ad esempio le
bombole di gas usate per massacrare i civili della parte opposta della città),
come anche armi e munizioni.
Così il gioco al massacro potrà continuare per altri mesi.
Quanto basta per rinfocolare le speranze dei neocon, ai quali serve prolungare
il conflitto fino a che la loro protetta non siederà alla Casa Bianca. Per
questi ambiti vale alla lettera il titolo di un noto film di Alberto Sordi:
finché c’è guerra c’è speranza.
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