ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 27 agosto 2016

La preoccupazione principale del pastore

Quale pastorale?



Nel precedente post del 22 agosto promettevo un approfondimento sulle lettere pastorali. L’intervento si rendeva necessario dopo aver accennato a tali scritti nell’intervista rilasciata al sito Cooperatores veritatis. Eccomi dunque qui a mantenere la promessa, precisando però che non ho nessuna intenzione di fare un trattato sulle lettere pastorali, ma solo cercare di capire in che senso vada inteso l’aggettivo “pastorale” ad esse attribuito. Si noti che le due lettere a Timoteo e quella a Tito non sono sempre state designate in tal modo. Il primo a farlo è stato D. N. Berdot nel 1703, seguito poi da P. Anton nel 1726. Sono state cosí chiamate perché indirizzate a due “pastori” della Chiesa e perché trattano del modo di guidare le comunità loro affidate.


Naturalmente non mi soffermerò sulla questione dell’autenticità paolina di queste lettere, perché esula dal nostro interesse. Per una trattazione equilibrata del problema rimando alla “Introduzione alle lettere pastorali” nella TOB; mentre trovo del tutto inadeguate le premesse alle singole lettere nella Bibbia della CEI (Unione editori e librai cattolici italiani, I coedizione, 2008). Come osservazione generale, faccio solo notare che il soffermarsi eccessivamente sulla questione dell’autenticità di un testo va di solito a scapito dell’attenzione ai suoi contenuti.

L’interesse che mi spinge a considerare le lettere pastorali è quello di verificare se troviamo in esse l’opposizione, oggi comune, fra “pastorale” e “dottrina”. Da una lettura, anche solo superficiale, delle tre lettere, tale opposizione non emerge in alcun modo. Anzi, direi che la preoccupazione principale del pastore debba essere, innanzi tutto, la conservazione e la difesa della dottrina.

Per prima cosa, cerchiamo di cogliere il contesto storico in cui si situano queste lettere. Si stanno diffondendo nelle comunità cristiane le prime eresie. Non voglio entrare nella questione (che ha ovviamente ricadute sul problema dell’autenticità) se si tratti di eresie a carattere gnostico (e che quindi rimanderebbero a una datazione posteriore delle lettere) o semplicemente di carattere giudaico (e che quindi sarebbero compatibili con una datazione anteriore). Quel che ora ci interessa è il fatto che nelle comunità affidate a Timoteo e a Tito sono presenti delle eresie. Se ne parla in 1Tm 1:3-11; 4:1-7; 6:3-10; 2Tm 2:14-21; 3:1-9; Tt 1:10-16. Il solo elenco dei passi fa capire quanto sia centrale nelle lettere pastorali la preoccupazione per la diffusione di false dottrine, nei confronti delle quali si deve avere un atteggiamento di totale chiusura. In qualche caso si parla anche di vera e propria “scomunica”: si vedano i casi di Imeneo (1Tm 1:20; 2Tm 2:17), Alessandro (1Tm 1:20; 2Tm 4:14) e Fileto (2Tm 2:17). Si noti che non si usano, come oggi ci aspetteremmo, espressioni del tipo “va’ in cerca della pecorella smarrita”; ma espressioni ben piú dure, quali “li ho consegnati a Satana” (1Tm 1:20).

La lotta contro le eresie avviene con la salvaguardia dell’“integrità della dottrina” (Tt 2:7). Il termine “dottrina” (in greco διδασκαλία, letteralmente “insegnamento”) ricorre 15 volte nelle pastorali: 1Tm 1:10; 4:6; 4:13; 4:16; 5:17; 6:1; 6:3; 2Tm 3:10; 4:2; 4:3; Tt 1:9 (2 volte); 2:1; 2:7; 2:10. In diversi casi essa è accompagnata dall’aggettivo “sana” (ὑγιαίνουσα): 1Tm 1:10; 2Tm 4:3; Tt 1:9; 2:1. In un caso è detta “buona” (καλή, letteralmente “bella”): 1Tm 4:6. In un altro caso essa è definita “secondo la pietà” (κατ’ εὐσέβειαν, espressione tradotta nella nuova versione CEI con “conforme alla vera religiosità”). È ovvio che proprio l’insistenza sulla fedeltà alla “dottrina”, assente nelle altre lettere paoline, costituisce uno degli argomenti portati a sostegno della non-autenticità delle lettere pastorali.

L’idea che tale dottrina vada conservata intatta viene espressa attraverso un altro concetto caratteristico delle lettere pastorali, il “deposito” (παραθήκη, derivato dal verbo παρατίθημι, col significato di “cosa depositata presso qualcuno e affidata alla sua cura”): 1Tm 6:20; 2Tm 1:12; 1:14 (in quest’ultimo caso qualificato come καλή, “buono”). In tutti e tre i casi il termine “deposito” è retto dal verbo “custodire” (φυλάσσω). Nella nuova traduzione della CEI il termine “deposito” è scomparso: è stato sostituito con “ciò che ti/mi è stato affidato” (1Tm 6:20; 2Tm 1:12) o con “il bene prezioso che ti è stato affidato” (2Tm 1:14). Nella seconda lettera a Timoteo troviamo anche una splendida enunciazione del concetto di “tradizione”: «Le cose che hai udito da me davanti a molti testimoni, trasmettile (παρατίθημι) a persone fidate, le quali a loro volta siano in grado di insegnare (διδάσκω) agli altri» (2Tm 2:2).

Un altro termine ricorrente nelle pastorali è “verità” (ἀλήθεια): 1Tm 2:4; 2:7; 3:15; 4:3; 6:5; 2Tm 2:15 (λόγος τῆς ἀληθείας, “parola della verità”); 2:18; 2:25; 3:7; 3:8; 4:4; Tt 1:1; 1:14. In tutto, 13 ricorrenze. Un’espressione che torna piú volte è “conoscenza della verità” (ἐπίγνωσις ἀληθείας): 1Tm 2:4; 2Tm 2:25; 3:7; Tt 1:1.

Come si può vedere, ci troviamo di fronte a tutta una serie di concetti “inattuali”: dottrina, deposito, conoscenza, verità. Inattuali perché visti oggi con sospetto: essi, secondo la mentalità corrente, rischiano di trasformare il cristianesimo in una ideologia, mentre la sua essenza risiederebbe esclusivamente nell’amore e nella misericordia. La pastorale viene oggi contrapposta alla dottrina, perché, anziché preoccuparsi della custodia di un corpus di verità astratte, dovrebbe piuttosto preoccuparsi di “accogliere”, “accompagnare”, “integrare” le persone. Non voglio escludere a priori la legittimità di tale tipo di pastorale. Non posso però fare a meno di rilevare la sua assoluta novità e la sua discontinuità, almeno sul piano terminologico e concettuale, con la pastorale intesa in senso tradizionale. Per cui sarebbe opportuno, come minimo, preoccuparsi di dare una fondazione biblica e teologica a questa nuova pastorale. Un dato comunque è certo: dell’attuale pastorale non c’è ombra nelle lettere pastorali, le quali invece sono tutte preoccupate proprio di ciò che la nuova pastorale guarda con sospetto. A prescindere dall’autenticità paolina, le lettere pastorali fanno parte del canone biblico e sono quindi parola di Dio. Una domanda: ma la parola di Dio non dovrebbe essere il punto di riferimento della vita della Chiesa e quindi anche della sua pastorale?
Q

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